Salone, icone e reliquie

23 Maggio 2011

 

Anche quest’anno il Salone del Libro di Torino ha fatto il pieno: di visitatori (a centinaia di migliaia) e di attenzione, da parte di tutte le pagine culturali.

La conferma di connotazioni che si replicano di anno in anno a volte fa sottovalutare l’imporsi di modalità che a poco a poco si fanno strada con sempre maggiore chiarezza e che rivelano non poche cose. E non solo sul mondo dell’editoria e sul rapporto tra libri e lettori. In un certo senso il Salone sta alla società italiana, anzi, alla parte di questa società che ha qualche rapporto con la lettura, come le discoteche di Rimini e Riccione stanno all’universo giovanile: test rivelatori dove prendono corpo, in nuce, le nuove mode, i nuovi trend che poi si estenderanno e prenderanno il posto delle vecchie connotazioni.

 Al Salone del Libro, al tempo delle icone più o meno mediatizzate, si va a caccia di reliquie. Accanto alle folle che fanno la fila per acquistare il biglietto d’ingresso sostano le “blindate”, quelle dei magistrati che intervengono nei dibattiti e degli altri ospiti minacciati dalle oscure potenze del Male. Dunque seguiti passo passo da scorte imponenti.

I ragazzini delle medie si staccano dagli insegnanti e si fanno fotografare davanti alle “blindate”.

Qualcuno, più intraprendente, chiede l’autografo al body-guard con auricolare e gessato scuro che sta pulendo il cruscotto della Tema dai vetri azzurrati.

All’interno, nelle sale dove si svolgono gli incontri, è ressa ad ogni apparire di viso noto che dal piccolo schermo si materializza sul palco. Sulla soglia c’è la folla degli esclusi che non riescono a partecipare all’“evento” – ormai anche l’oste accanto alla mia cascina ha imparato che al mondo ci si sta giusto per partecipare agli “eventi”. Tanto che, per fare il di più, all’ingresso dell’osteria ha inalberato un cartello: “qui si organizzano eventi...etrenta”.

Chi ha pagato il biglietto d’ingresso ha diritto non solo a esserci, all’evento, ma anche a portarsi via una prova tangibile del contatto avvenuto con l’icona che si è materializzata.

Al Salone le reliquie delle icone che si incontrano le si produce in tempo reale e “col fai da te”.

Attorno alla Mazzantini che ha finito di parlare si forma una lunghissima fila di persone che, con la copia di “Nessuno è solo”, attende il proprio turno per farsela firmare, per scambiare qualche parola, per lasciare giù un brandello della propria vita. Per raccogliere un consiglio, un sorriso, un invito a rimanere in contatto. La scrittrice è paziente, cortese, attenta: a tutti risponde con parole assennate. Almeno sembra sia così per quel che si può udire, perchè - pur nella ressa che le si forma attorno  - si è creato una specie di spazio di rispetto antistante l’autrice. Una spazio giusto uguale a quello che nelle farmacie consente di ordinare prodotti imbarazzanti senza che gli altri clienti debbano udire. Ci sono molte coppie che utilizzano “Nessuno è solo” come un pass coniugale per avanzare assieme. A dispetto della storia che vi viene narrata, ovvero il definitivo dissolversi di un matrimonio, chiedono alla scrittrice – sfidando ogni scaramantica precauzione - di porsi in mezzo a loro due e farsi fotografare. Sarebbe interessante, l’anno prossimo, fare una statistica: quante di queste coppie saranno scoppiate? Oppure la fotografia come nuova reliquia opererà il miracolo?

Al Salone santità e scaramanzia, presenzialismo e umiltà si danno il braccetto. Vanno forte profeti che parlano a folle osannanti e che si dichiarano “voci clamanti nel deserto”. Sfilano inquisitori, predicatori, santi monaci.

Uno di questi monaci – il priore della comunità di Bose Enzo Bianchi, autore di bestseller quali “Il pane di ieri” e “ogni cosa alla sua stagione” - è stato colto da Alfonso Berardinelli, sul Corsera, mentre presenzia a uno degli incontri del Salone: “il monaco di Bose era un eccezionale retore. La sua fonazione era fenomenale e di per sé carismatica. Inchiodava il pubblico con la ripetizione martellante di un solo messaggio: “io ascolto, io ascolto, io ascolto”. Gli applausi sono stati scroscianti. Quell’essere singolare, quel monaco così sublime nell’umiltà infinita dell’ascoltare, conquistava gli ascoltatori con un ruggito biblico che gli contraeva la fronte e risuonava nella sala come il vero suono di una vera fede che si fa carne ad ogni sillaba. In televisione un simile sant’uomo deve avere una resa magnifica. In effetti ce l’ha. Il pubblico in televisione l’ha già visto, e per questo che accorre. Vuole emozioni religiose impastate con “il pane di ieri”.”

Siamo un Paese dove la tradizione cattolica ha codificato il rapporto con le reliquie che costituiscono tramite carismatico tra il credente e l’oggetto del suo culto. Le reliquie sono di prima classe se costituite dal corpo o da pezzi del corpo del santo (ex ossibus, exz piliis, ex cineribus, etc) Sono di seconda classe se provengono da abiti indossati o oggetti utilizzati e di terza classe diventano le cose entrate in contatto con ciò che appartiene alla categoria precedente. Ogni santo, con le sue reliquie, provvede a ben precisi adempimenti: San Rocco a combattere la peste, San Giorgio a proteggere i lattai, etc.

Anche alle nuove Icone che percorrono il Salone vengono chiesti adempimenti difficili o improbabili ma verso i quali vanno le preghiere e i voti degli astanti: combattere il Male della Criminalità, proteggere i Matrimoni, evocare e distribuire un Mondo di spiritualità in vite che pensano di essersi smarrite. Da questo punto di vista le reliquie del contatto con le Icone che si sfiorano nel Salone sono le obbligate passerelle verso il Miracolo.

In questo senso anche  gli omaggi offerti dalla direzione del Salone ai relatori (quest’anno una stecca di cioccolato fondente Gobino e 250 grammi di caffè solidale Huehuetenango) costituiscono delle reliquie. A patto ovviamente che siano entrate in contatto con personaggi classificabili come “iconabili”. O meglio “iconoscibili”. Dunque il cioccolato non va mangiato e il caffé non va sprecato nella moka. Il tutto dovrebbe essere conservato per saecula saeculorum. O almeno sino al prossimo Salone. E all’arrivo delle nuove Icone. 

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