Indicativo presente | Duecento giorni in classe / Un altro ritmo insieme, tutto l’anno

29 Giugno 2019

Cosa fate durante le vacanze? «Dormiamo». Come, tutto il giorno? «Ci svegliamo per il pranzo». Il letargo che si rileva in classe per gran parte delle 6 ore di forzata posizione seduta su piccoli banchi di legno e metallo è in gran parte dovuto al debito di sonno. Se uno studente chiedesse a un professore cosa fa durante le vacanze il professore risponderebbe: «Dormo». Svegliarsi alle 6.30 o prima – dipende dalla logistica – ed essere alle 8 in punto pronto alla attivazione integrale di ogni risorsa mentale psichica emotiva e nervosa comporta bruciare in poche ore la maggior parte delle energie recuperate durante il sonno notturno. Molti miei colleghi, in questi giorni di riunioni per classe (i consigli, gli esami orali, quando siamo in dieci) o per istituto (collegi, preliminari di esame, e poi ratifiche degli scritti, e poi ratifiche degli orali, quando siamo in cento) patiscono la mancanza del fondamentale riposino del primo pomeriggio; torniamo a casa verso le 14.30, dobbiamo cucinare un pasto, pur piccolo, mangiamo, e poi ci coglie un annebbiamento totale, che si può rimediare con un sonnellino di 10, 20 minuti o, nel caso la sera prima si abbia vissuto qualche attività sino a mezzanotte o l’1, di 2 ore.

 

Questo tipo di bioritmo porta a volte a discreti stati di allucinazione, che si collocano a metà strada tra il rincoglionimento di fine pomeriggio di un impiegato, e lo stato di pre-vampirismo dei lavoratori notturni. La cosa più frustrante per me è la caduta dell’energia intellettuale. Tra la fine delle lezioni e i primi scritti di esame dormiamo quindi tutti. Dovreste percepire come in gran parte della città i pomeriggi siano stranamente silenziosi, onirici, dormendo tutti gli studenti e tutti i professori. Impossibile che non sentiate nell’aria tutti i nostri sogni, i nostri incubi aleggiare mentre voi, uomini e donne extrascolastici, operate alla luce del giorno.

L’altro effetto immediato, tra lezioni ed esami, è la liberazione delle energie nervose, la loro lenta ma spettacolare rigenerazione. Non so i ragazzi, ma dopo alcuni giorni in cui dormo come un orso in letargo a poco a poco le energie mi tornano: la voglia di sistemare la casa; la voglia di smaltire gli arretrati sulla scrivania; poi la voglia di leggere i miei post preferiti on line; seguono la voglia di leggere gli inserti culturali accumulati da settimane su un tavolo, e infine accade il Ritorno al Libro e alla Scrittura. Come se la linfa intellettuale che il combattimento ludico-intellettuale delle sei ore di scuola mi risucchia (nei giorni belli in vaso comunicante con i ragazzi, nei giorni brutti in vaso di scarico, ovvero direttamente nella dispersione fognaria del fallimento integrale) lentamente risorgesse, come le calle, i lilium, i narcisi e le rose nei vasi del mio balconcino.

 

 

Più che stimare, o invidiare, ascolto con stupore le strenue capacità di lavoro intellettuale incessante dichiarate da alcuni: gente che si alza alle 7 e la tira fino a mezzanotte e fa lezione, e legge, e scrive, e prepara lezioni, e studia, e dibatte culturalmente senza dichiarare altra attività umana che il pranzare e – alcuni – il rotolarsi in nudità sessuale per qualche minuto o quarto d’ora. Davvero, mi stupiscono. Non guardano mai una serie tv, leggono 4 o 5 giornali ogni giorno. Delle vere macchine costruttrici di sapere. Mah. Io no. E parlando con i colleghi in sala insegnanti ogni giorno, o meglio, con alcuni colleghi che non la attraversano come in trance, o come zombie non comunicanti ogni mattina, o lagnosi, tutti abbiamo sempre sonno.

 

Una delle tracce di esame scelte dal valoroso plotone di volontari del Dipartimento Umanistico (i 5 o 6 eroi che hanno lavorato qualche ora in più gratuitamente) c’era un “testo descrittivo/creativo»: la vecchia, cara lettera al dirigente scolastico. I più furbi l’hanno scelta, perché hanno schivato il confronto con un lungo testo argomentativo o letterario; quelli che da me viaggiavano sotto la sufficienza l’hanno conseguita, con la traccia A. Beh, è stato interessante leggere queste “produzioni creative”: i consigli per migliorare la “nostra” scuola (non LA SCUOLA ITALIANA, EUROPEA, MONDIALE), proprio solo questa nostra baracca di quartiere, erano diffusamente pochi e a mio giudizio rivoluzionari:

  1. entrare a scuola un po’ più tardi (chi diceva le 9, chi le 10, niente di oscenamente pigro);
  2. riaprire la mensa, per poter mangiare tutti insieme e finalmente comunicare tra noi tutti in modo spontaneo e conviviale;
  3. uscire di scuola il pomeriggio azzerata qualsiasi attività di studio o di esercitazione ulteriore a casa;
  4. fare più intervalli, un po’ più lunghi durante il tempo scolastico, uscendo in giardino.

Tutto qui. Quello che chiedono i ragazzi coincide con le più avanzate riflessioni della pedagogia più avanguardista, ovvero quella che riparte da intuizioni come quelle di Rousseau, o  Dewey, o Montessori, o Freinet. Abbiamo la fortuna di poter imporre ai bambini e ai ragazzi un grande tempo del loro giorno in cui con-vivere con gli altri, imparare a contenere il proprio ego aggressivo e ignorante-l’altro, possiamo leggere insieme, disegnare, pitturare e capire la grande arte, migliorare la tecnica di scrittura e la nostra fondamentale capacità assertiva orale, che può diventare educata, brillante, commovente, affascinante come un sermone di Martin Luther King jr., imparare a pensare scientificamente, matematicamente, poi a ragionare filosoficamente. Perché questo fantastico tempo di comunità dovrebbe continuare ad essere segregante e anti-corporeo? Perché dobbiamo chiuderci tra quattro muri? Perché l’attività del corpo è limitata a due ore settimanali in palestra? Perché non possiamo mangiare insieme recuperando il classico del convivium? del seminarium?

 

Agli esami orali sono arrivati con occhi più guardanti e orecchie più senzienti. Nessuno di loro odorava acremente di batteri e secrezioni ormonali poiché una qualche doccia nei giorni di stop l’hanno tutti incrociata. Erano vestiti con la massima cura per loro possibile. Erano stupiti della mise en scène dell’esame, che come coordinatore di sottocommissione ho voluto garantire con rituale educato, serietà cordiale, riconoscimento integrale dell’individualità del cittadino candidato. I ragazzi erano stupiti e riconoscenti per essere uno alla volta trattati come noi professori possiamo trattarli se non abbiamo di fronte una banda di oppositori. Ognuno di loro ha performato meglio del solito intorno alle mappe concettuali che abbiamo preparato insieme in varie simulazioni anche “teatrali” e “oratorie” da maggio in poi. Marcella, che non ha studiato un’ora neanche questa volta, è crollata di lagrime di panico e disperazione prima dell’orale; io e il collega di Francese le abbiamo porto il bicchier d’acqua versato dalla Bottiglia del Candidato da noi donata in un empito di qualità e empatia. Io le ho porto un fazzolettino di carta come tanti psicanalisti e psicologi mi hanno porto durante molte delle sedute della mia ormai mediamente lunga vita alla ricerca continua di una vita sorridente.

 

 

Poi ho condotto la conversazione con lei portando il suo vissuto su tematiche che alcuni suoi compagni hanno studiato. I colleghi le hanno voluto dare 4, non ero d’accordo ma non l’ho fatta lunga. Le più brave ci hanno commosso con uno speech coordinato, tenace, rispondendo brillantemente alle domande che volevano smontare la catena mnemonica e riattivare il ragionamento. Alla fine, sono crollate a piangere scaricata la tensione. Che tenerezza! 

Gli esami, se i commissari sono empatici e hanno lavorato insieme ai ragazzi, servono eccome. Sono un punto di svolta epocale delle nostre vite. Li ricorderemo per sempre, come pietre miliari della nostra strada. Ci toglieranno dal nostro buco individuale e verificheranno se stiamo facendo funzionare la nostra interazione con la comunità in cui viviamo.

 

Le vacanze, invece, non so se servono. Non mi piace questa interruzione totale per due mesi, due mesi e mezzo. Ai quattro punti cruciali proposti dai miei allievi nella lettera alla dirigente scolastica ne aggiungerei un quinto, indirizzato al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, all’Unione Europea e all’ONU; io andrei a scuola tutto l’anno, ogni giorno facendo tante pause (di 15 minuti ogni ora di lavoro intellettuale) per mangiare insieme, correre, giocare in giardino, passeggiare o sdraiarci a guardare le fronde stormire; andrei a scuola dal martedì al venerdì, e mi fermerei tutti i sabati, le domeniche e i lunedì; ogni studente e ogni docente avrebbero a disposizione un pacchetto di 4 settimane di assenza da giocarsi una settimana per volta quando non ce la fa più e ha bisogno di starsene un po’ da solo. Tutto l’anno. I ragazzi crescerebbero sereni intelligenti emotivi in una comunità non ideale, ma reale; e noi prof non avremmo più bisogno di fare pisolini, e potremmo fare bene il nostro intensissimo bellissimo lavoro.                                                                                                                                                          

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