Dialogo tra due artisti / Dalì&Duchamp

25 Gennaio 2018

Mercredi soir / Chère Gala, Cher Dalì / je voudrais vérifier quelques / dates dans la boîte-valise / que vous avez. / À tout hasard je/passerai à Port Lligat / vers midi demain Jeudi. / J’espère vous voire pour / une minute. / Affectueusement / Marcel Duchamp – Vergato con lettere svolazzanti, questo breve messaggio racchiude un intero universo. Poche parole esplicative e illuminanti del processo di realizzazione e di approccio alle proprie opere da parte del padre del ready-made, illustrative della quotidianità e delle personali relazioni amicali del grande scacchista.

Inviato a Salvator Dalì (1904–1989) e a Gala (1894-1982; soprannome di Elena Dmitrievna D’jakonova, musa e moglie prima dello scrittore surrealista Paul Éluard e poi di Dalì), il messaggio ci informa che Marcel Duchamp (1887–1968) sta lavorando a uno dei suoi capisaldi, Boîte-en valise (Scatola in valigia). Lo sottopone alla visione del suo amico, durante i mesi di vacanza a Cadaqués. E vuole discutere con lui di alcuni dettagli. Siamo negli anni Sessanta, dunque Duchamp si sta dedicando alla seconda edizione della Boîte-en valise. La prima edizione della Boîte risale agli anni 1935-1941 e fu ideata per raggranellare soldi al fine di pubblicare il catalogo in miniatura completo della sua produzione. Un’opera che sottolineava la volontà dell’artista di portare con sé i suoi lavori (non dimentichiamo che l’Europa è in guerra: Duchamp si fece rilasciare un pass come commerciante di formaggi per poter transitare nelle parti occupate e raggiungere il porto di Marsiglia e spedire l’opera a New York).

 

 

Interpretata, infatti, come un piccolo “museo portatile”, oppure “album da viaggio”, per evidenziare i concetti di peregrinazione, spostamento, ben presenti in Duchamp; allo stesso tempo tendeva a indicare la questione della circolazione crescente delle opere dei musei attraverso le loro riproduzioni (siamo negli anni di L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica di Walter Benjamin). Egli metteva, perciò, in discussione l’importanza dell’opera “originale”, rendendo frammentaria l’idea stessa di opera d’arte, in quello spirito di “estraneità”, “indifferenza”, “neutralità” dell’autore. L’edizione deluxe, susseguente a Boîte Verte (1934; inizialmente realizzata in trecento esemplari e contenente novantaquattro note di appunti sul Grande Vetro), consiste in ventiquattro valigette in cuoio da viaggio, progettate con Louis Vuitton per Peggy Guggenheim (sostenitrice economica del progetto), contenenti ciascuna sessantanove riproduzioni in miniatura delle sue opere e un “originale” diverso per ogni valigetta, tutte differenti tra di loro per piccoli dettagli e varianti nel contenuto. 

 

 

La seconda edizione, quella degli anni Cinquanta e Sessanta, invece, è composta da sei serie nelle quali sono state eliminate le valigie, utilizzati tessuti di diversi colori per la copertina, e alterato il numero di articoli all'interno. Ulteriore variante può essere considerata anche Couple of Laundress's Aprons' from Mimi Parent, della serie Boîte alerte (1959), realizzata come catalogo deluxe dell’Esposizione Internazionale del Surrealismo, comunemente conosciuta come Eros, organizzata da André Breton e Marcel Duchamp nella Galerie Daniel Cordier di Parigi nel 1959.

Ma, riprendendo il messaggio, nondimeno esso fa intendere una frequentazione alquanto assidua e costante tra i due artisti. È questa, infatti, l’idea centrale intorno alla quale è stata costruita tutta la mostra dal conciso titolo Dalì | Duchamp, allestita nelle sale del primo piano della Royal Academy of Arts di Londra. La sfida di affiancare i due grandi artisti, da taluni designati come i due grandi provocatori del Novecento, apparentemente distanti, è stata resa possibile grazie alla stretta collaborazione di importanti istituzioni, tra cui il Museo Dalí e la Royal Academy. Esse hanno voluto dimostrare la vicinanza di questi due mostri sacri dell’arte del Novecento attraverso una documentazione sapientemente costruita che permette di osservare, sotto una luce diversa, alcuni lavori e relativi rimandi.

 


Alle ottanta opere esposte, suddivise per quattro tematiche in cinque sale della Royal Academy è stato, dunque, affidato il compito di evidenziare e avvalorare diversi aspetti: Duchamp e Dalì furono legati da un lungo rapporto di amicizia; condivisero diversi interessi, nonché le tematiche più profonde della loro produzione e visione artistica; nessuno dei due influenzò l’altro in maniera decisiva; concordavano pienamente sull’idea del ruolo che l’arte assurge nella vita; avvertivano entrambi la crisi dei valori del modernismo: per Duchamp l’arte non deve più essere “retinica” (come lo era stata dall’avvento dell’Impressionismo, preoccupata solamente delle reazioni fisiche del colore, invece di guardare alle nuove scoperte scientifiche come i raggi X) e abbraccia il Dadaismo, per Dalì la costruzione visiva/figurativa è, invece, la base dell’intera produzione artistica, fatta eccezione di quella iniziale Surrealista; Duchamp arriva a far coincidere arte/vita (sancito dai suoi ready-made, che significa già pronto, già fatto, che non viene manufatto dall’artista, conferendo quindi uno scopo estetico, sottraendolo da quello pratico), Dalì arte/psicoanalisi, abbracciando le teorie di Freud e Lacan, nel puro tentativo di dare realtà al mondo irreale della mente; al contrario di Dalì, Duchamp dal 1919, dopo aver realizzato Tu m’, abbandona pubblicamente ogni attività artistica, dedicandosi al gioco degli scacchi da professionista. 

Puntuali dettagli, presenti in alcuni lavori, attestano sì una velata reciprocità, ma anche sostanziali differenze.

 

 

Da scritti, cartoline, fotografie, tele, emerge, dunque, questa familiarità, dal loro incontro a Parigi agli inizi degli anni Trenta, alle vacanze trascorse insieme ogni estate, in Spagna, fino alla morte di Duchamp. Partendo da una comune base filosofica, nel 1938 crearono una sala per l’Esposizione Internazionale Surrealista, allestita presso la Galerie des Beaux-Arts di Georges Wildenstein a Parigi, riproposta nell’esposizione londinese nella sala THE BODY AND THE OBJECT. Senza dimenticare, però, che i due avevano già esposto congiuntamente nel 1930 in La Peinture au défi, alla Galleria Goemans di Parigi. Duchamp era presente con due versioni di L.H.O.O.Q., Pharmacy, Eau de Voilette e Monte Carlo Bond, mentre Dalí con I primi giorni di primavera.

Tale intervento a quattro mani diede altresì l’avvio a una stretta cooperazione artistica, che si protrasse fino alla realizzazione di Étant Donnés (conclusa nel 1966). Alcuni disegni d’après Courbet e d’après Ingres su carta giapponese, nonché quelli preparatori e lo stesso studio Étant donnés: 1. La chute d’eau, 2. Le gaz d’éclairage (1948-49), realizzato con pigmenti su velluto verde conservato a Stoccolma, affiancati a quelli con Scene erotiche di Dalì del ’32 e del ’43, evidenziano non soltanto una certa vicinanza stilistica, ma anche il comune interesse per l’erotismo.

 

Così, sin dalla sala IDENTITY, si mira, per l’appunto, a delineare l’identità dei due artisti. Quella identità addirittura messa in discussione dal francese con la creazione di Rrose Sélavy, il suo alter ego femminile nato nel 1920 a New York. Una serie di fotografie di piccolissimo formato (che riprendono i Nostri, con l’onnipresente Gala, a Cadaqués nel 1933 e nel 1958), unitamente a delle cartoline indirizzate a Dalì da Duchamp e da Man Ray, e all’articolo apparso su “Art News” del 1959 a firma dello spagnolo (che esalta Il re e la regina circondati da nudi veloci e lo inserisce nel naturale sviluppo del nudo nella storia dell’arte), attestano questa consolidata frequentazione. Rimarcata dal Ritratto di mio padre (1925) di Dalì e dal Ritratto del padre dell’artista (1910) di Duchamp ancora pittore e figurativo. A questi si accostano altri lavori di importanza cruciale, a partire dal piccolissimo ritratto fotografico, probabilmente realizzato da Man Ray, Tonsure (del 1919 o del 1921). Un ritratto carico di rimandi e implicazioni, tra cui “il non fare”: posare come l’equivalente dell’atteggiamento del vivere più elementare, che “suggella il ‘geloso silenziodell’artista sulla propria attività” (Michele Dantini, Macchina e stella, Joahn & Levi, 2014). Cui si accosta Ritratto di Dalì (1943) di Horst P. Horst, dove l’artista è ripreso con gli occhi chiusi e con un’aria sognante, in una dimensione a metà tra la vita e la morte, in una posa, quindi, e di nuovo, del “non fare”. A essi si uniscono anche L.H.O.O.Q. (1919), accompagnato dall’articolo di Francis Picabia del 1920; Pharmacy (1917 – uno tra i ready-made pittorici), Multiple (1914-45; di nuovo una riflessione sul concetto di identità). 

 

 

Come detto, pur partendo entrambi dal Surrealismo, ben presto se ne allontanano. Per Dalì, la rottura avvenne con la presentazione al Salon des Indépendants del 1934 de The Enigma of William Tell, in cui William Tell ha le sembianze di Lenin, visto come l’emblema autoritario del Comunismo. Ciò suscitò l’ira di Breton che lo accusò di favorire il nazifascismo, mentre in realtà, per Dalì, rappresentava il rifiuto dell’impegno politico abbracciato dal movimento artistico. Lo stesso rifiuto più volte sottolineato anche da Duchamp con i suoi lavori “non aneddotici”, attraverso i quali era impegnato a difendere la libertà dell’artista, rimarcando la sua “filosofia di indifferenza”.

Quanto già accennato, nella seconda sala, oltre alla sezione dedicata all’Erotismo, in una grande teca sono riproposte le opere esposte nella mostra Surrealista del ’38, tra cui i primissimi ready-made realizzati da Duchamp, i celebri Ruota di Bicicletta (1913) e Scolabottiglie (1914), cui seguirono Anticipo per un braccio rotto (1915), With Hidden Noise (À bruit secret) (1916), Traveller’s Folding Item (Underwood Cover) (1916), Hat Rack (1917), Fountain (1917), Paris Air (1919), Why Not Sneeze, Rrose Sélavy? (1921), per citarne alcuni; a essi si uniscono Lobster Telephone (1938) di Salvador Dalí e Edward James, Scatalogical Object Functioning Symbolically Gala’s Shoe (1930) di Dalì. 

 

È la sala EXPERIMENT WITH REALITY che maggiormente evidenzia la vicinanza tra i due autori, per la comune riflessione e ricerca sui concetti di energia, tempo, spazio, sono esposte altrettante opere importanti. La riproduzione del Grande Vetro (1965-66) di Richard Hamilton, Trois stoppages étalons (1913-14) di Duchamp; Coppia con le teste piene di nuvole (1937; ispirato alla Porta di Gradiva che Duchamp ha realizzato nel 1937 nella galleria di Breton.), Due pezzi di pane esprimono il sentimento dell’amore (1940 – dove il pezzo degli scacchi, rappresentante il pedone, è un diretto riferimento a Duchamp), Cristo di San Giovanni della Croce (1951), Still life (1956), Madonna di Dalì (1958; nel 1960 Duchamp e Breton curano l’International Exhibition of Surrealism nella D’Arcy Galleries di New York e Duchamp inserisce questa tela nell’esposizione, il cui pattern anticipa la Pop Art); ma anche la proiezione di Spellbound di Hitchcock, a riprova della prolifica attività artistica di Dalì anche per il cinema. Non si dimentichi la sua collaborazione con Luis Buñuel nel cortometraggio Un chien andalou (1929 – la pellicola più significativa del cinema surrealista) e nel film L’âge d’or (1930).

Non poteva di certo mancare la sezione PLAYING GAMES, con le celebri scacchiere, tra cui anche quella appositamente realizzata da Dalì per Duchamp, dove ogni pezzo è completamente rivisitato dal catalano secondo la sua inconfondibile sigla stilistica.

Chiude il percorso l’installazione immersiva realizzata in occasione del ballo di fantasia Una notte surrealista in una foresta incantata (1941), all'Hotel Del Monte, Monterey, California, nella quale Dalí trasforma una stanza in una grotta dal cui soffitto pendono cinquemila sacchi, insieme a manichini, con l'intenzione di deprimere gli ospiti.

L’oculata scelta da parte dei curatori ha fatto in modo che in questa mostra si sia raccolto un grande numero di opere che, al contempo, sono le fondamenta dell’arte del XXI secolo, altresì tracciando in filigrana, il profilo di un’epoca con i suoi stravolgimenti artistici, scientifici e sociali. 

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