Eroi borghesi / Onestà. Boschi, Raggi: perché restate?

18 Dicembre 2016

Perché Maria Elena Boschi non deve rispettare la parola data e Matteo Renzi sì?

 

È molto semplice. Perché Boschi è una donna, e le donne non hanno una parola, la parola; hanno le parole (è un po' come la vecchia storia che dice che non hanno un mestiere ma i mestieri). Chiacchierano tanto, ma si sa che sono volubili; la donna è mobile e muta d'accento e di pensier. La sua fedeltà, se ce l'ha, non è a un'idea, ma al più a un uomo. E anche in quel caso, «è la fede delle femmine come l'araba fenice...». L'uomo invece la parola la può dare, e la può anche tradire, certo. In ogni caso da lui si esige qualcosa che alla donna è perdonato, e il risultato di questo modo di pensare che si reputerebbe remoto e superato, ecco che lo vediamo praticato anche ai nostri giorni: così, nonostante le esternazioni della ex-ministra divulgate dal web («Anche io lascio se Renzi se ne va: ci assumiamo insieme la responsabilità»), la ritroviamo in pole position, pronta a riportare tutti i particolari in cronaca al suo capo, da cui c'è da aspettarsi che ritornerà.

 

La responsabilità di Boschi evidentemente non vale quanto quella di Renzi, che infatti dichiara di volersela assumere tutta di persona personalmente, deprivandone la collega; la quale peraltro avrebbe potuto anche protestare. Invece ha approfittato della situazione rafforzando il pregiudizio pur essendone vittima, e adeguandosi alla terribile posizione per la quale di fatto la donna virtuosa, la donna onesta, non ha da essere leale e coraggiosa, audace e sincera (non saprebbe nemmeno esserlo, queste capacità le sono precluse), ma unicamente casta.

A Roma, in queste ultime ore, il principale collaboratore della sindaca 5 stelle viene arrestato, mentre si autosospende il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, sotto accusa per Expo. Virginia Raggi aveva detto di Marra: «Se va via lui, vado via anch’io», e invece...

 

Ma che cosa c'entra tutto questo con l'onestà? C'entra, c'entra.

 

 

I sensi dell'onestà

 

Nonostante il fatto che ci siamo abituati a limitare la nozione di onestà all'aspetto economico dell'evitare furto, imbroglio, corruzione e concussione, dilazione dei pagamenti ecc., nel concetto di onestà è presente anche un altro senso legato alla parola, che consiste nel non mentire, non ingannare, non nascondere o omettere informazioni e soprattutto, ultimo ma non meno importante, osservare la parola data, mantenere impegni e promesse. Entrambe le accezioni, l'onestà intellettuale, chiamiamola così (dire la verità, non mentire, non ingannare, mantenere impegni e parole), e quella commercial-economica (non rubare, non frodare, non corrompere né farsi corrompere) sono presenti nel linguaggio e nell'uso comune. Ora, è rilevante che una persona sia onesta? Potrebbe essere più importante che sia compassionevole o generosa. Persino per essere disonesti, poi, ci possono essere molte buone ragioni: si possono deludere e ingannare alcune persone per proteggerne altre, o per beneficare la società. Perché privilegiare l'onestà? E oltre a ciò, che cos'è l'onestà? È una virtù? È sempre una virtù e che cos'è una virtù? E per quanto riguarda la persona politica, anche in questo caso specifico, è rilevante che sia onesta? O non è meglio che ottenga successo? Appellarsi all'onestà non sarà un comportamento da mammolette che non hanno capito nulla della politica, la quale richiede non soltanto capacità di compromesso ma pure una certa dote di spregiudicatezza?

 

 

L'onestà è una virtù?

 

Benché l'onestà sia considerata una dote morale importante, essa non fa parte delle quattro virtù platoniche: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, chiamate poi «cardinali» e riguardanti l'uomo, le quali, sommate in seguito alle tre virtù «teologali» di Paolo di Tarso, fede, speranza e carità, riguardanti la divinità, andarono a formare il canone delle sette virtù cristiane. L'assenza dell'onestà dalle virtù canoniche potrebbe apparire bizzarra e di fatto lo è, vista dal punto di vista contemporaneo, dove dire di qualcuno che è una persona «disonesta» equivale a emetterne una severa condanna morale. Si notava poco sopra che ci possono essere buoni motivi per essere disonesti; e in effetti quella dell'onestà come virtù sempre e ovunque sembra essere una questione difficile e complessa. Si potrebbe osservare infatti che fare esercizio di sola onestà non basti a rendere qualcuno una brava persona e, viceversa, che anche forme di comportamento disonesto possano essere proprie, come nel caso di Robin Hood, di «brave persone». Il possesso di una sola virtù non implica il possesso di tutte, benché l'attribuzione di onestà a qualcuno – «è una persona onesta» – paia attribuirgli una patina di moralità assoluta, residuo forse del tempo in cui «onestà» indicava il possesso complessivo di tutte le virtù. Essere onesto in ogni caso non implica essere razionale o coscienzioso, e nemmeno giusto e compassionevole, magnanimo e generoso; potremmo per esempio concepire un dittatore onesto, o persino un giudice disonesto che rimane tuttavia «una brava persona».

 

 

Il politico disonesto è sempre un politico?

 

Nota Remo Bodei che oggi, per lo meno alle nostre latitudini, «è aumentata la resistenza degli individui a mettere in gioco la propria vita e, più in generale, ad assumere obbligazioni etiche di lunga durata, a causa della spiccata propensione, empiricamente constatabile, verso quella che Robert Nozick ha definito non binding commitments, impegni che non impegnano, promesse non vincolanti, revocabili e comunque riformulabili» (Bodei, Immaginare altre vite, p. 126). Sarà conseguenza di questi venti di leggerezza il fatto che l'agire del politico sembra non essere legato a comportamenti corretti, ma potersi lasciar andare a azioni leggere e non rispettose della moralità né della legalità? Nei nostri tempi, nei quali sembrano essersi sviluppati «gli anticorpi del disimpegno» (ivi) e in cui termini come impegno, rispetto della parola, vergogna, ecc. suonano obsoleti e anacronistici, nessuno ci chiede di morire per l'onestà, come non ci si chiede di morire per l'onore; persino il coraggio, che potrebbe essere necessario in tali frangenti, è una virtù fuori moda, per la quale mancano persino le occasioni di esercizio, nelle democrazie dove dominano le passioni grigie. Ci rifugeremo così presso eroi normali, pallidi e non sanguigni, eroi borghesi, gente come noi, e assurgeremo a simbolo di eroe dell'onestà un personaggio letterario. Sarà di necessità un uomo, perché l'onestà delle donne, ormai lo sappiamo, è un'altra cosa.

 

Piranesi, Antichità Romane 1756

 

Un eroe borghese

 

William Stoner, il nostro eroe borghese, è il protagonista di un romanzo americano del 1965, opera di un professore di letteratura inglese dell'Università di Denver, Colorado, John Williams (1922-1994). Stoner è un romanzo di vita universitaria (visto dalla parte dei docenti), quale fu la vita del suo autore e quale è la vita di molti di noi che scrivono libri, prevalentemente di saggistica, talvolta di letteratura, talaltra dell'uno e l'altro genere. Stoner è un uomo di umili origini, umili come la terra che i suoi genitori, poverissimi contadini, lavoravano, e che anche Stoner lavorò prima di andare al college. Era destinato a studiare agricoltura ma si innamorò della letteratura inglese: «the required survey of English literature troubled and disquieted him in a way nothing had ever done before». La sua vita cambia dopo l'incontro con un lettore del dipartimento di Inglese, Archer Sloane, così che Stoner abbandona la scienza per studiare letteratura inglese fino a ottenere il Master of Arts e poi il dottorato. Il romanzo continua tracciando i particolari della vita e della carriera universitaria di un professore di inglese dentro le mura dell'università: l'insegnamento, le letture altrui e la propria scrittura, le amicizie, l'innamoramento con una donna idealizzata, le nozze con lei e poi la scoperta del carattere instabile, privo di tatto come di rimorsi, della moglie, e del suo fare dell'unica docile figlia, Grace, l'arena di lotta del loro matrimonio.

Era un testimone (witness) di valori che sono importanti, dice di Stoner il suo creatore letterario: Stoner era un uomo onesto, un uomo probo. Era un uomo devoto al suo lavoro, la scrittura, l'insegnamento soprattutto, che svolgeva con l'energia del tagliapietre contenuto nel suo cognome, per quello che è e dovrebbe essere, puro studio, in sé, puro studio onesto, non apprendimento utilitaristicamente finalizzato a risolvere problemi per rendere le cose più efficienti e i guadagni più alti. Tra l'utile e l'onesto Stoner, senza essere pietrificato nello stupore come un'altra interpretazione del suo cognome lascerebbe supporre, aveva scelto l'onesto, anche nel suo comportamento con alcuni studenti opportunisti e con certi colleghi corrotti o amanti del quieto vivere; e lo perseguiva in maniera coscienziosa, anche quando avrebbe potuto lasciar correre; con ostinazione e pacatezza, senza mostrarsi quale inflessibile fustigatore di costumi. Un onesto professore di letteratura dell'Università del Missouri che eseguiva il suo compito con entusiasmo e impegno e passione anche se si trattava semplicemente di insegnare i fondamenti della grammatica a un gruppetto di matricole. Non era un Don Chisciotte del campus, solo un onesto docente interessato all'influenza classica e latinomedievale sulla letteratura del Rinascimento inglese; che non si faceva però incantare dallo studente brillante e protetto dal potente professore ma carente nella preparazione, nemmeno quando l'amico decano cerca di convincerlo che il promuoverlo avrebbe avuto positivi risvolti pratici e avrebbe evitato vendette e attriti in facoltà. Insomma Stoner «had no talent for dissimulation», non cerca protezioni e appoggi per avanzamenti di carriera se deve per questo passar sopra quei valori importanti, primo dei quali l'onestà.

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