Quale futuro per il Valle Occupato?

9 Luglio 2014

Su queste pagine abbiamo seguito da vicino le evoluzioni della vicenda culturale romana cercando di dedicare attenzione sia alla scena teatrale più istituzionale sia a quella rappresentata da realtà diverse, tra cui spazi autogestiti o occupati, che allo stesso modo perseguono originali politiche artistiche. All’incirca un anno fa avevamo parlato, proprio in merito a questi ultimi soggetti, di una “rivolta culturale” che era in corso nella Capitale in grado di rispondere con progettualità e strumenti nuovi a una crisi di cui il lato economico era ed è solo il più evidente. In questo anno che è passato di stravolgimenti rispetto a quella situazione che avevamo descritto ce ne sono stati e non pochi. L’Angelo Mai Altrove Occupato è stato sgomberato e posto sotto sequestro preventivo assieme a due occupazioni abitative cui era legato: dopo diverse settimane di chiusura forzata, lo storico centro vicino alle Terme di Caracalla sta lentamente riprendendo le attività, grazie anche al riconoscimento del suo ruolo culturale per il tessuto cittadino in cui è immerso. Sempre a Roma, notizia di pochi giorni fa, il Teatro Eliseo è sotto sfratto, il provvedimento scatterà domani, 10 luglio. I lavoratori sono in assemblea permanente e hanno richiesto l’intervento delle istituzioni per evitare che la situazione scivoli verso l’irreparabile.

Un clima simile si respira anche  al Teatro Valle Occupato di Roma, il cui destino in questi giorni sembra essere racchiuso in una fugace nota del Sindaco Ignazio Marino che, dopo un lunghissimo silenzio sulla questione, ora sembra voglia riprendersi quell’antico teatro nel centro della città, trascurando l’esperienza che all’interno di quelle mura è andata maturando in questi tre anni di occupazione. Ricapitoliamo velocemente questa vicenda che in molti luoghi, all’estero ma anche in Italia, è vista con una punta di ammirazione e speranza. Nel giugno del 2011, un gruppo di lavoratori e lavoratrici dello spettacolo decisero di occupare il Teatro Valle, fino ad allora gestito dall’Eti e con la soppressione dell’ente, destinato alla chiusura. Doveva essere una breve avventura quella dell’occupazione, invece è diventata un’esperienza che ha scavallato i limiti della questione meramente artistica e culturale. Difatti l’anno scorso è nata la Fondazione Teatro Valle Bene Comune che già nel nome suggerisce un nuovo modo di considerare questo luogo e di immaginarne un futuro. Nata dalla volontà di più di cinquemila soci e dotata di un proprio capitale sociale, la Fondazione e il suo Statuto sono stati il risultato di un percorso di grande e inedita partecipazione dal basso che ha coinvolto illuminate menti: attraverso incontri e decine e decine di assemblee con la cittadinanza è stato creato un sistema in grado di subentrare in modo democratico e aperto al ruolo degli occupanti, senza tradirne la storia. La futura gestione del Valle immaginata nello Statuto (per lungo tempo disponibile online per eventuali emendamenti e ulteriori proposte) risponde a un modello basato su partecipazione attiva, decisioni collettive e, importantissimo, turnazione delle cariche. Una affollatissima conferenza stampa nel settembre scorso salutò la nascita della Fondazione e a lungo applaudì giuristi come Ugo Mattei e Stefano Rodotà (che in quell’occasione pronunciò una frase che ben riassumeva la portata di quella giornata: “Ci stiamo inventando le istituzioni dei beni comuni”).

 



L’occupazione del Valle e la nascita della Fondazione sono avvenute nel silenzio dell’amministrazione comunale che, in un certo senso, ha lasciato fare, permettendo la programmazione e accollandosi giusto il peso economico delle utenze. Terminato il mandato dell’ex sindaco Alemanno, si pensava che con il nuovo arrivato, Ignazio Marino, qualche spiraglio di luce si sarebbe aperto sulle sorti del Valle. In realtà, con Flavia Barca, assessore alla Cultura della città, vi erano stati diversi incontri di avvicinamento e dialogo, interrotti però dalle sue anticipate dimissioni sul finire di maggio. La scorsa settimana, per lanciare una provocazione ma anche per accendere un riflettore sulla questione, gli occupanti del Valle hanno intrapreso una nuova simbolica missione: quella di occupare per un giorno i locali dell’assessorato alla Cultura per denunciare la “vacanza culturale” in cui verte la città di Roma. Hanno atteso invano per tutta la giornata un colloquio con il sindaco che non si è fatto vivo. Si è fatto vivo solo lo scorso venerdì sera con la nota cui abbiamo accennato che sembra cancellare in poche righe la nuova vita e le strade aperte da questo teatro che era destinato a una tragica e silenziosa chiusura.

Si tratta di una nota che ritorna, ancora una volta, a porre rigidamente la questione in termini di legalità/illegalità che mal si adattano a una esperienza così eterogenea, ricca e multiforme come quella del Valle. Gli occupanti hanno tracciato un nuovo cammino che ha saputo porre in essere una sperimentazione giuridica e assolutamente innovativa nella gestione dei beni comuni, essenzialmente dei beni che appartengono a tutti noi. Hanno costruito un contenitore del tutto originale che sapesse proteggere e valorizzare per il futuro quel luogo che avevano “salvato” dall’abbandono. In questa nota del sindaco, l’esperienza di questi ultimi tre anni viene derubricata a “una forma di contraddizione evidente” (evidente per chi?). Ed è quantomeno torbido come giudizio perché non tiene conto delle migliaia di spettatori che con la loro partecipazione massiccia sono diventati allora complici di tale contraddizione. Si parla di restituire il teatro Valle ai romani come se fosse stato chiuso e utilizzato per fini personalistici, quando invece è accaduto proprio il contrario: questo teatro è stato vissuto e messo a disposizione della città come mai lo era stato prima. E anzi gli occupanti lo hanno posto al riparo dall’incapacità di prendersene cura dimostrata dall’amministrazione comunale e dallo Stato, alla metà del 2011.

L’altro problema che a mio avviso emerge dalla nota del sindaco è la soluzione che viene prospettata per il futuro del Teatro Valle. Si parla di bandire al più presto una “gara di evidenza pubblica di intesa con il Mibact”: anche qui, i precedenti quanto meno fanno sollevare qualche dubbio. Ma quel che è certo è che oggi non si può più immaginare un Teatro Valle al netto di tutta l’esperienza di questi oltre trenta mesi di occupazione, come se niente fosse stato. Sarebbe sciocco e miope. Come miope è quell’ultima frase della nota di Marino che chiede agli occupanti di farsi da parte, di “rendere disponibile la struttura”. Ma cosa significa? Un imminente sgombero? È ovvio che chi ha difeso questo posto non lo lascerà per vedere cancellata in un batter d’occhio la propria azione e il proprio sforzo con la promessa che verrà “fatto tesoro” dell’esperienza fino ad ora maturata. Ma in che termini? Con quali garanzie?

 



Ieri ci si aspettava quantomeno qualche delucidazione in merito a questa situazione: il sindaco Marino era, infatti, presente alla conferenza stampa di presentazione della stagione del Teatro di Roma. Ma andiamo con ordine nel raccontare anche qualche novità positiva. Antonio Calbi, nuovo direttore artistico e in carica per i prossimi quattro anni, ha raccontato con entusiasmo il suo interessante progetto per il Teatro di Roma, destinato a essere l’anno prossimo Teatro Nazionale. Una delle più importanti novità è certamente la riapertura del Teatro India, dopo i lavori di ristrutturazione che sono iniziati in questi giorni. Immaginato come polo contemporaneo del circuito dello Stabile romano, l’India dovrebbe riaprire i battenti a ottobre e ospitare un cartellone di spettacoli in grado di dare spazio e valorizzare artisti come Lucia Calamaro, Fabrizio Arcuri, Deflorian/Tagliarini, Veronica Cruciani (per dirne solo alcuni) che stanno portando avanti una ricerca composita e innovativa e che sembrava stessero finendo nel dimenticatoio romano. Anche per quanto riguarda il Teatro Argentina la stagione 2014/2015 è all’insegna di tanti progetti. “Cantiere.Roma.Italia” è il cappello che deve racchiudere la politica culturale inaugurata dalla direzione artistica di Calbi per il Teatro di Roma: un cantiere, appunto, che rimanda al fare, al costruire, ma prima ancora al progettare, possibilmente su un periodo medio lungo. Il teatro, secondo Calbi, deve ritornare ad essere “agorà civile e casa pubblica di tutte le arti” e per farlo deve aprirsi alla città, lasciarsi attraversare dalla città e attraversarla a sua volta, respirare la stessa aria dei cittadini, non perdere di vista quello che si vive nella dimensione urbana e nella dimensione Paese (che altrove non può portare, se non a relazionarsi con il mondo stesso). Sono numerosissimi i progetti in partenza: c’è “Prospettiva Stein” che darà vita a una Compagnia in Residenza stabile guidata dal regista tedesco; c’è “Prospettiva Roma” che persegue il fine, cui in parte abbiamo accennato, di valorizzare quella (“non) scuola” romana che è cresciuta e si è fatta le ossa  nonostante le difficoltà e la mancanza di spazi. Tra le innumerevoli altre iniziative ci sono anche due omaggi dedicati a due artisti scomparsi: De Filippo nel trentennale dalla morte e Pier Paolo Pasolini, a quasi quaranta dall’uccisione. Tornando alla conferenza stampa di presentazione di ieri, data la presenza del sindaco, ci si aspettava un accenno alla situazione del Valle e dato anche il contenuto della sua nota che chiamava in causa il Teatro di Roma per un aiuto nel “disciplinare la situazione”. Quell’occasione poteva essere utilizzata da Marino per spiegare meglio la propria posizione, considerata l’accelerazione impressa alla questione. Occasione immancabile persa, trincerato dietro un silenzio che non avremmo voluto.


È davvero un peccato perdere queste occasioni. Sono convinta che l’amministratore della città in cui vivo non dovrebbe perdere occasioni simili per riflettere sulla portata culturale che una struttura come il Teatro Valle Bene Comune riveste per Roma. Ma sono anche convinta che questa esperienza non deve essere assolutamente repressa perché racchiude in sé una fortissima vocazione pubblica. Scelte partecipate, programmazione artistica trasversale e sperimentale, prezzo accessibile, stretto rapporto con la città e i suoi abitanti: ma non è questo quello che si  chiede alle politiche culturali? È necessario intavolare al più presto un dialogo con coloro che questa esperienza l’hanno costruita, anche servendosi di facilitatori come era stato durante le prime riunioni con Flavia Barca. Ma il punto di partenza imprescindibile di questo dialogo deve essere la considerazione del Valle Occupato come un bene comune: questo deve essere un punto di non ritorno, una conquista anche e soprattutto per la città di Roma. È arrivato il momento di inaugurare una stagione nuova in questo senso che tocchi anche la storia delle amministrazioni in cui finalmente si aprono gli occhi su nuove modalità e su nuove definizioni che costituiscono un’evidente ricchezza per l’intera comunità.

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