L’ultima volta di Pathosformel

7 Agosto 2014

Una centrale idroelettrica di inizio Novecento tutta per loro dove fare rivivere gli spettacoli che hanno creato: è così che Centrale Fies/Drodesera ha voluto salutare i pathosformel. Fondato nel 2004 attorno alle menti di Daniel Blanga-Gubbay e Paola Villani, pathosformel è entrato nel 2007 nel progetto Fies Factory dove ha continuato a elaborare una propria ricerca visiva e poetica spesso complessa, ma potente e affascinante. Lo scorso gennaio il duo, attraverso una lettera, aveva reso nota la volontà di chiudere il proprio percorso artistico legato a pathosformel, di sparire dalle scene avendo esaurito il proprio cammino congiunto di ricerca.

 

 

È stato emozionante vedere, per l’ultima volta, (quasi) tutti gli spettacoli riallestiti per un giorno all’interno della Centrale. Emozionante anche perché di rado capita di avere la consapevolezza che è l’ultima volta che si sta guardando un lavoro che mai si più rivedrà. E questa consapevolezza carica la visione di un certo sapore malinconico, gli occhi leggono seguendo un filtro che raramente adottiamo e i sensi stanno sull’attenti, come a cogliere qualcosa che ancora non si è avuto l’occasione di catturare. È stato un tour de force di un giorno in cui è stato possibile rivedere T.E.R.R.Y, La prima periferia, An afternoon love, La più piccola distanza e La timidezza delle ossa.

 

pathosformel non ha mai privilegiato il discorso e la parola aggrappandosi invece al gesto, quello più o meno espressivo, per raccontare le possibili relazioni e implicazioni che ne possono scaturire. Negli anni di attività, i due artisti sono riusciti a regalare suggestioni profondissime sul nostro essere umani, sul nostro essere animali sociali e sulla moltitudine di rapporti che dall’uomo nascono, sia con gli altri simili sia con l’intorno nel quale siamo immersi. In An afternoon love è un giocatore di basket con la sua palla a lasciarci immaginare una miriade di nuove possibilità relazionali tra un uomo e un oggetto inanimato: possibilità relazionali tanto complesse al pari di quelle che possono scaturire tra due persone.

 

An afternoon love (ph. Andrea Pizzalis)

An afternoon love (ph. Andrea Pizzalis)

 

Una palla può stare ferma, immobile, oppure in balia di un palleggio oppure ancora punto di appoggio per il giocatore, fedele compagna nei momenti di massimo sforzo e in quelli di riposo. Da una semplicità scenica come quella appena raccontata, pathosformel riesce a suggerire riflessioni che mettono in guardia lo spettatore, lo investono di nuovi interrogativi e lo lasciano solo poi a ripercorrersi nella mente quegli indizi visivi.

 

Il punto più alto del percorso di pathosformel, chissà, è stato raggiunto ne La prima periferia. Tre corpi in scena (che del corpo hanno mantenuto solo la struttura scheletrica, senza espressività né fisionomia) sono il nucleo attorno al quale si sviluppa lo spettacolo: tre esseri che si abbandonano completamente nei movimenti alla guida di tre persone. Ogni gesto viene eseguito sulle loro strutture essenziali: piccole azioni asciutte e semplici come portare la mano alla testa o spostare il piede. Emettono solo un suono: lo scricchiolio del materiale di cui sono fatti, una voce che sembra accompagnare le azioni lente e misurate di cui sono, involontariamente, protagonisti.

 

La prima periferia  (ph. Alessandro Sala)

La prima periferia (ph. Alessandro Sala)

 

È lo spettatore a riempire di sentimento quei gesti. E così quelle gestualità rimandano a un universo di atteggiamenti solo immaginati: la cura di un vecchio, l’assistenza di un disabile, una carezza alla persona amata. È questo il grande dono di pathosformel: lasciare una metà da riempire di noi stessi, costruire un letto di un fiume dove fare fluire le nostre sensazioni di quel momento, dove impegnarsi e sporcarsi le mani di quello che stiamo vedendo. Questo stesso fenomeno di liberazione dell’immaginazione emerge prepotentemente anche ne La timidezza delle ossa, uno dei primi lavori del gruppo mostrato per ultimo in Centrale, come il punto che chiude un cerchio iniziato oramai dieci anni fa.

 

La timidezza delle ossa (ph. Andrea Pizzalis)

La timidezza delle ossa (ph. Andrea Pizzalis

 

Da un sottilissimo strato di tessuto bianco iniziano lentamente a emergere frammenti di strutture ossee: un polso, una mano, un braccio e poi ammassi di ossa che fanno tornare alla mente tragedie del Novecento. Una epidermide che contemporaneamente nasconde e mostra, che toglie e dà, che livella e porta in primo piano.

 

La sparizione dalle scene di pathosformel ha dato avvio anche a un’ultima creazione curata dal gruppo e da Centrale Fies assieme a Work of Others (Matteo Antonaci e Chiara Pirri) cui è stato dato il titolo di Disparition. Per alcuni mesi e fino ai giorni del festival è stato possibile lasciare on line una traccia di memoria, un ricordo degli spettatori legato agli spettacoli visti scrivendo un commento libero o più descrittivo (poteva essere una sola parola o un pensiero anche molto lungo, un ricordo personale sulla visione).

 

Queste memorie disseminate saranno raccolte, rielaborate, rimescolate e ricomposte andando così a formare una grande memoria collettiva in grado di unire le suggestioni offerte in questi anni dal gruppo e il frutto dell’immaginazione del pubblico. Disparition assume così le sembianze di una specie di ultimo lavoro del gruppo in collaborazione con tanti coautori: un modo per lasciare una impronta del lavoro del duo, ma anche per ricomporre, allacciare e stringere un nucleo stretto (sottratto alla sparizione) tra il lavoro di pathosformel e i suoi fruitori. (Mi sembra interessante anche riflettere su questa necessità di tracciare memorie collettive intorno a pezzi di teatro e grazie al mezzo del teatro, così come è stato fatto da un gruppo di artisti romani in un percorso di due anni confluito sotto il titolo di Art you lost?).

 

La più piccola distanza (ph. Alessandro Sala)

La più piccola distanza (ph. Alessandro Sala)

 

La notizia della fine dell’esperienza di pathosformel ha aperto un dibattito anche sul Nuovo Teatro: è stato Renato Palazzi a interrogarsi sul destino dei gruppi che nell’ultimo decennio abbiamo visto nascere e intraprendere percorsi artistici ben definiti e arrivare, oggi, invece, a una fase più di assestamento e consolidamento. L’universo teatrale attuale è densamente abitato da giovani compagnie composte da trentenni e (quasi) quarantenni che si sono trovate a tracciare il loro percorso artistico in una fase di crisi economica e culturale forse senza precedenti.

 

Nate negli anni Duemila, hanno sperimentato sulla propria pelle la recrudescenza del momento che viviamo e per forza di cose a questa situazione hanno in parte dovuto adattare le proprie scelte artistiche. Molti gruppi continuano ad arrabattarsi per trovare uno spazio dove provare e finiscono per chiudersi in posti di fortuna prestati da amici e parenti; senza contare poi la difficoltà di influenzare le proprie idee con scelte sceniche al ribasso per contenere le spese oppure per riuscire poi a girare con “lo spettacolo che sta in auto”.

 

In questo senso rappresenta un discorso a parte la Fies Factory che racchiude Teatro Sotterraneo, Anagoor, Codice Ivan, Dewey Dell, Francesca Grilli, Marta Cuscunà e i già citati pathosformel: quantomeno in questo caso i gruppi hanno la possibilità di fare residenze dove provare e fare crescere il proprio lavoro. Resta comunque anche per loro, come per tutti, la severità del momento che pone condizioni pesanti sul lavoro degli artisti: quasi ogni anno si sostengono produzioni per fare uscire nuovi spettacoli a cui spesso è garantito unicamente il debutto e una manciata di altre date; spettacoli che spesso si perdono nei meandri delle uscite teatrali.

 

Si riduce il tempo per gli approfondimenti e per una progettualità che permetta di crescere e di affrontare temi in una maniera complessa ed esaustiva. Ma forse oggi non è il caso di pensare a questo e occorre solo salutare come si deve pathosformel e ringraziarli per il lavoro fatto fino ad ora: un lavoro che pare proprio che non vedremo più, ma che continueremo a ritrovare, disseminato, nella nostra memoria.

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