Peer-to-Peer e marxismo

28 Giugno 2013

Pubblichiamo un’intervista, realizzata da Jean Lievens, sul rapporto tra P2P e Marxismo. Il fondatore della Fondazione per le Alternative Peer-to-Peer, Michel Bauwens, descrive l’ascesa del modo di produzione P2P e dei nuovi processi politici che possono nascerne.

 



Tutti conosciamo esempi di P2P nel campo immateriale: Linux, Wikipedia, Arduino. Puoi darci degli esempi di P2P nel mondo ‘reale’, materiale, ad esempio nel campo della produzione?

 

Arduino è già un esempio che tocca la produzione materiale poiché le schede madri progettare collaborativamente sono prodotte e vendute sul mercato da imprese che usano il marchio Arduino. Un caso che mi piace davvero è il Nutrient Dense Project [Progetto per l’Alta Densità di Nutrienti], una rete collaborativa di ricerca di agricoltori e di scienziati urbani che utilizza direttamente la ricerca sui nutrienti nella propria produzione immediata. Una delle aree più eccitanti è probabilmente quella delle cosiddette automobili open-source, come la Rallye Motor e il veicolo d’assalto della marina XC2V finanziato dalla Darpa, quest’ultimo basato su contributi di oltre 30.000 progetti […]. Nella sezione Wiki della Fondazione P2P sul Product Hacking [modifica/personalizzazione di prodotti], abbiamo annotato circa 300 progetti con hardware aperto. Ma sono solo la punta dell’iceberg.



Tu paragoni la transizione dal capitalismo al P2P alla transizione dalla schiavitù al feudalesimo, o dal feudalesimo al capitalismo. In entrambi i casi c’è stato uno scambio reciproco tra il vertice e la base. Che dire della transizione dal feudalesimo al capitalismo? Ci fu la nascita di una nuova classe e la trasformazione dei nobili in capitalisti, ma è arduo affermare che gli operai stessero meglio di prima. Dunque dov’è il cambiamento positivo rispetto al basso?

 

La transizione da una forma di società di classi diseguali a un’altra è sempre problematica per le classi produttrici di valore che stanno in basso. Si può sostenere che la servitù sia intrinsecamente una posizione migliore della schiavitù, ma ha continuato ad essere sfruttamento e dominio e molti servi in precedenza erano contadini liberi. La situazione con il capitalismo non è tanto diversa; anche se ci sono state e ci sono tante privazioni, i diritti formali dei lavoratori costituiscono certamente un miglioramento e, almeno per la classe operaia occidentale, c’è stato per un lungo periodo un miglioramento sostanziale.

Nel complesso i sistemi si sono avvicendati perché il vecchio sistema non era più sostenibile e il nuovo era in generale più efficiente nel creare ricchezze materiali. Tutto dipende dal contratto sociale e dal rapporto relativo delle forze in gioco. Forti movimenti sindacali hanno enormemente migliorato la situazione dei lavoratori e la situazione nel Medioevo, tra il decimo e il tredicesimo secolo, rappresentava una situazione di miglioramento della qualità della vita rispetto a prima. I precedenti sono, dunque, eterogenei e le persone stesse di solito hanno una chiara idea di quello che deve essere migliorato. Ad esempio, quale lavoratore vorrebbe tornare alla servitù come condizione sociale?
Poiché ho difficoltà a immaginare una società priva di classi, vedo i produttori peer-to-peer in conflitto con il capitale che domina la rete [netarchical capitalism, capitalismo netarchico] riguardo alle proprie condizioni sociali, ai propri diritti e alle condizioni di vita materiale; questo almeno fino a quando i produttori peer-to-peer diverranno lo strato sociale chiave e i beni comuni il luogo chiave della creazione del valore. Non è uno scenario scientifico con un finale certo e inevitabile bensì una descrizione del campo di tensione in cui si sviluppa la produzione paritaria.



Per proseguire con questa analogia: vedi sorgere una nuova classe nel capitalismo o una sorta di “capitalisti illuminati” che si rivolgono all’Open Source (come descritto in Wikinomics)?

 

I beni comuni sono, e saranno sempre più, il cuore della creazione di valore. Di questo valore, tuttavia, continua sostanzialmente ad appropriarsi l’economia di mercato e il netarchical capitalism è il segmento del capitale che comprende tale cambiamento e vuole trarne profitto. Ciò significa che  sia il capitalismo in generale sia quello netarchico dovranno sia consentire sia dare potere alla produzione sociale, ma anche assoggettarla al proprio controllo in modo da potersi appropriare del valore da essa generato. La prima parte li costringe a un comportamento strategico che promuove la condivisione, mentre la seconda li costringe a mantenere un contesto generale di continuo dominio. Questa è, in essenza, la nuova tensione sociale dell’emergente era P2P, in cui si confrontano comunità di produttori peer-to-peer e proprietari delle piattaforme. La chiave per i produttori peer-to-peer sta nel conquistare il controllo delle proprie vite e della propria riproduzione sociale e, secondo me, il modo migliore per farlo consiste nel creare i propri veicoli cooperativi/imprenditoriali che chiamo, seguendo i suggerimenti di Neil Stephenson in L'era del diamante e di LasIndias.net, “Phyllis”, ovvero entità comunitarie/di sostegno che consentano ai cittadini di sostenere il proprio lavoro nei beni comuni e sottrarlo all’economia convenzionale della massimizzazione del profitto.

 



Riesci a vedere un parallelo tra il P2P e il movimento cooperativo nato nel diciottesimo secolo (socialismo utopico) o con gli hippy e le comuni degli anni sessanta?

 

L’impulso all’operare in comune è uno degli aspetti permanenti dell’umanità; con alti e bassi a seconda delle condizioni sociali, e io penso che stiamo assistendo a una rinascita di tale impulso. Tuttavia c’è una grande differenza: le forme cooperative di organizzazione possono ora lavorare attorno a Commons di progettazione aperta e diventare iper-innovative e possono conseguire economie di scala tali da superare le multinazionali basate sull’azionariato. Le cooperative perciò non sono più “forme nane” ma  delle avanguardie del nuovo sistema di produzione P2P. Se si combinano i beni comuni dell’innovazione aperta condivisa (invece che della proprietà intellettuale privatizzata che rallenta l’innovazione) con queste nuove entità di massimizzazione dei prodotti, si può conseguire un balzo quantico nella produttività. È per questo che i capitalisti delle reti investono in piattaforme ed è per questo che l’economia etica alternativa deve fare la stessa cosa, e se lo fa potrebbe sostituire, nel cuore della nostra economia, le industrie finalizzate al profitto.



Tu dici che dobbiamo preparare un’alternativa al capitalismo. Il movimento P2P è una specie di fuga?

 

La crescita infinita non è possibile in un ambiente finito e noi ora stiamo toccando i limiti della crescita. Questo significa che il capitalismo è sempre meno in grado di uscire dai suoi problemi attraverso la crescita e che la percentuale dell’1% può crescere solo mediante l’esproprio, ed è a questo che stiamo assistendo ora in Europa, con la Grecia come esempio di quel che è in serbo per la popolazione che lavora. Dunque non si tratta di fuga. Il vecchio sistema sta morendo e deve essere sostituito, ma potrebbe essere sostituito da qualcosa di peggiore, potrebbe regredire come nei primi secoli dopo la caduta dell’Impero Romano, o potrebbe riorganizzarsi a un livello più elevato di risultati e complessità, il che è quello che indica l’approccio P2P.



Affinché il P2P fiorisca davvero, dobbiamo liberarci dei diritti di proprietà intellettuale, dei diritti d’autore, dei brevetti, ecc. Come pensi che possiamo riuscirci?

 

Personalmente non sono un abolizionista puro, perché ritengo che un mucchio di artisti e creativi credano nella necessità dei diritti d’autore, perciò penso che possiamo discutere di numeri. Riportare la protezione a periodi ragionevoli di tempo, non più dei 14 anni originali di protezione, o meno; il Partito Pirata propone un limite di cinque anni. Accanto a ciò vi è l’offerta di una scelta ai creativi, rendendo popolari licenze basate sulle scelte, come i Creative Commons. Ma la priorità sta nel trovare nuovi modi di finanziare la creazione… ciò si può fare attraverso licenze collettive e altre forme di finanziamento pubblico, promuovendo e sostenendo modelli di commercio aperti e, alla fin fine, mediante un reddito minimo, che riconosca che ogni cittadino contribuisce al valore e lo crea. Questi obiettivi si possono conseguire in parte attraverso l’innovazione sociale che deriva dalle comunità di produzione paritaria che sperimentano intensamente nuove forme di commercio, quali il movimento per la cultura gratuita, i Partiti Pirata, e altre espressioni della nuova cultura della condivisione.

 



Dichiari che il P2P rende possibile una nuova e “più elevata” forma di società. Prima non è stato così perché la tecnologia non esisteva. I Marxisti dicono la stessa cosa da più di 150 anni. Pensi che si sbagliassero allora, che forse abbiano ragione oggi oppure P2P è qualcosa di completamente diverso?

 

Considero il marxismo e le altre forme di socialismo e anarchismo, alla fin fine come un’espressione della dicotomia all’interno del sistema capitalista industriale e che propongono altre logiche per gestire il modello industriale. Ma P2P è espressione delle dinamiche di classe e sociali in evoluzione sotto il capitalismo cognitivo.
E anche se il primo era sostanzialmente anti-capitalista e non poteva realmente puntare a una nuovo modello iper-produttivo di organizzazione della produzione (il socialismo era un’ipotesi, e gli esempi della sua attuazione reale inevitabilmente hanno deluso; non vi era un socialismo emergente all’interno del capitalismo e solo il ‘capitalismo di stato’ al di fuori di esso) quello che è diverso nel movimento P2P è che può puntare a modelli già esistenti che superano in cooperazione e competizione i modelli capitalisti classici, ovvero è post-capitalista. Marx aveva ragione riguardo al capitalismo ma aveva torto riguardo al socialismo e io credo che il modello, diretto politicamente, del cambiamento sociale, quando non sia basato su un modello produttivo già esistente, sia stato mal concepito. Il movimento P2P è perciò pronto a realizzare quello che non è stato possibile per i movimenti del diciannovesimo e ventesimo secolo. All'epoca non esisteva alternativa all'iper-produzione.  Le politiche dei flussi P2P da pratiche sociali esistenti, oggi, sono la differenza chiave.




L'intervista a Michel Bauwens è stata realizzata da Jean Lievens, il 3 gennaio 2012 e tradotta da Marco Giustini e dal Socialforge team. L'editing della versione qui pubblicata è a cura di doppiozero.

 

Qui invece l'intervista in forma estesa rilasciata sotto licenza Creative Commons 3.0.

Se continuiamo a tenere vivo questo spazio è grazie a te. Anche un solo euro per noi significa molto. Torna presto a leggerci e SOSTIENI DOPPIOZERO