Like or Dislike

5 Ottobre 2015

In una recente sessione di domande pubbliche Mark Zuckerberg ha esplicitato che Facebook sta lavorando all’introduzione di un bottone “Dislike” usando queste parole:

“le persone hanno chiesto il pulsante Dislike per molti anni ... oggi è il giorno in cui posso effettivamente arrivare a dire che ci stiamo lavorando e che siamo molto vicini a testarlo.”

 

Mark Zuckerberg

 

Il dibattito emerso in Rete e nella stampa – sia specializzata che generalista – ha da subito ipotizzato una realtà binaria fatta di Like/Dislike, in cui un’umanità connessa si contrappone a colpi di voti a favore e contro. La riduzione del discorso in pubblico ad un sistema di voto emotivo fatto di pollice alzato o abbassato è la prima immagine mentale che molti hanno abbracciato. Il dato culturale che va sottolineato è come si sia trasformato negli anni il nostro immaginario sull’umanità connessa che prima, nell’epoca dei blog, ha visto descrivere l’ambiente emergente come una realtà conversazionale e che oggi guarda al web sociale come un terreno caratterizzato fortemente dalla polarizzazione e da un pensiero talmente sintetico da essere ridotto a un binario pro o contro. Un mondo connesso privo di sfumature, quindi?

 

Partendo da tale dato diventa quindi ancora più rilevante approfondire cosa sottende la trasformazione a cui Zuckerberg allude, perché presenta un campo di possibilità che fanno pensare a una direzione di sviluppo in cui la dominanza emotiva della Rete tenderà a emergere al di là di sintesi binarie, simulando una complessità emotiva che risponde, da una parte, al bisogno di espressività di noi che abitiamo questo ambiente e, dall’altra, alla necessità di ridurre tale emotività alla dimensione di un dato leggibile a fini di mercato.

 

 

È che “ci dispiace”.

 

In realtà ciò a cui Facebook starebbe lavorando ha un senso più sfumato e si colloca all’interno di un’evoluzione del nostro essere connessi in massa attraverso siti di social network: il pulsante Dislike non sarebbe quindi tanto un “non mi piace” quanto un “mi dispiace” che tiene conto di come nel condividere le nostre vite e le nostre opinioni mettiamo in gioco sempre di più sensibilità diverse che richiedono un riconoscimento da parte degli altri in termini empatici.

 

Come viene spiegato:

“in realtà non si tratterebbe veramente di un pulsante che si contrappone al Like perché “non vogliamo trasformare Facebook in un forum in cui le persone votano pro o contro un post di altre persone. Non è il tipo di comunità che vogliamo creare. Le persone non sono alla ricerca di votare negativamente i post di altre persone. Ciò che vogliono veramente è di essere in grado di esprimere empatia. Non ogni momento è un buon momento, giusto? E se si condivide qualcosa che è triste, che si tratti di qualcosa di attualità come la crisi dei rifugiati che vi tocca personalmente o se un membro della famiglia muore, allora potreste non sentirvi a vostro agio a mettere un Like su quel post”.

 

 

 

Cerimonie mediali e connessione

 

La trasformazione che viene colta da Facebook è innanzitutto culturale e il pulsante Dislike tiene conto del fatto che gli ambienti di connessione online sono diventati nel tempo luoghi in cui celebriamo cerimonie mediali collettive attorno a eventi gioiosi o tragici, accendendo simboliche candele fatte di Like, condivisioni, reTweet ecc. attorno ad hashtag come quello #jesuischarlie o all’immagine del bambino siriano riverso sulla sabbia dopo il naufragio. Il bottone del “dispiacersi” sintetizzerebbe quindi un’espressione emotiva in modo più chiaro ed efficace, rispondendo al bisogno di interagire con (i contenuti de)gli altri mostrandosi attenti – ti ho letto – e discreti – non me la sento di commentarti – o, anche, soddisfacendo quella necessità di immediatezza che l’emotività richiede, anche a sfavore della riflessione. Siamo abituati a scorrere il flusso di contenuti più che a leggerlo, a cogliere la superficie di un post, a reagire con il passaggio del pollice su uno schermo, a rispondere tattilmente all’onda emotiva che coglie. È un bottone, quello in progettazione, che ci solleverebbe dall’imbarazzo di mettere un “mi piace” ad uno status emotivo negativo senza dover necessariamente passare dalle parole scritte: a volte pensiamo che una mano sulla spalla crei più vicinanza che una frase di circostanza. Senza contare che i molti contenuti fruiti dagli schermi dei cellulari in mobilità si scontrano con la difficoltà visiva e di digitalizzazione.

 

Parallelamente l’esistenza di una possibilità di comprensione empatica su eventi negativi ridefinisce le possibilità esplicite del nostro mostrarci online: potremo attirare non solo “mi piace” per i nostri successi ma ci sentiremo legittimati ad esprimerci anche nelle sfumature delle nostre giornate no.

 

 

Facebook è un posto per gli adulti ed è pronto ad essere un ambiente meno protetto dalle emozioni

 

Un’altra mutazione di cui tenere conto è quella generazionale: gli adolescenti sono fuggiti quando i loro genitori sono entrati in modo massiccio su Facebook e si sono rifugiati su Instagram e nelle pieghe della comunicazione interpersonale su WhatsApp (entrambi, strategicamente di proprietà dell’azienda di Menlo Park) o nell’impermanenza di Snapchat. La presenza dell’unico pulsante “Like” ha per lungo tempo rappresentato un modo di salvaguardare l’ambiente digitale per i teenager, disegnando un’economia morale del “mi piace” vocata alla positività e rendendo più complesso esprimere emozioni negative con un semplice gesto. L’orientamento guidato all’emozione positiva ha in parte svolto la funzione di sopire le preoccupazioni degli adulti, caratterizzando l’ambiente con quel pollice alzato che ne è diventato il simbolo conosciuto e condiviso. Oggi la realtà di Facebook è diventata più adulta e i contenuti presenti si sono a loro volta adultizzati, richiedendo l’espressione di sentimenti più sfumati e non sempre positivi. Le strategie della piattaforma di orientarsi maggiormente a contenuti di news – pensiamo a come la app “Paper” di Facebook rappresenti una vocazione in tal senso – porta molte tematiche controverse ad essere condivise e spesso discusse ma per lo più velocemente segnalate positivamente o negativamente: cosa proviamo di fronte alle notizie di rifugiati che attraversano in modo incerto i confini? Cosa suscita il video della distruzione del tempio di Bel a Palmira?

 

 

Rendere produttive le emozioni

 

Un’ultima trasformazione in atto ha a che fare con la centralità che la dimensione emotiva assume nelle strategie di marketing online e nella pubblicità comportamentale. Il behavioural advertising si occupa di mettere a frutto l’analisi delle nostre preferenze, quelle espresse spesso attraverso semplici Like, per tradurre i nostri comportamenti di gusto in elementi strategici per il mercato. Monitoraggio che non è solo interno alla piattaforma ma che attraverso i nostri Like monitora percorsi di gusto sul web. Immaginiamo di andare più a fondo nella possibile analisi delle scelte emozionali degli utenti attraverso altri pulsanti che consentono di attribuire maggiore sfumatura empatica a contenuti – post letti, oggetti che desideriamo acquistare, ecc. I pulsanti delle emozioni provate garantirebbero una sentiment analysis più facilmente codificabile, più adatta alla costruzione di algoritmi del gusto o alla ridefinizione di quello che costruisce il nostro news feed. Non dimentichiamoci che Facebook non è nuova alla sperimentazione sui sentimenti dei suoi utenti, basti ricordare la ricerca del 2012 sulle emozioni che ha visto la manipolazione dei contenuti visti da circa 700mila utenti così che, si legge nei risultati, “Le persone a cui è stata ridotta la quantità di contenuti positivi nel news feed hanno cominciato a scrivere più frasi dal tono negativo e meno parole positive. Quando la negatività è stata ridotta, il modello si è invertito”.

 

Più in generale la crescita di contenuti su Facebook che si legano al piacere e alle emozioni esplicitate dagli utenti darebbe vita a un gigantesco panel in tempo reale in cui i brand potrebbero muoversi tra analisi predittive e real time marketing, offrendo pubblicità capaci di mettersi in immediata relazione alle emozioni delle persone circa aventi accaduti.

 

In tal modo Facebook si confermerebbe come una delle più grandi risorse di dati sui consumatori appetibile per il mercato.

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