Sull’insopportabile inconsistenza del delirio anti-gender

23 Giugno 2015

La retorica polemica dispiegata nei confronti della cosiddetta “ideologia del gender”, così definita non dai “soliti raccomandati di famiglia e di sezione di partito”, come insinua Franco La Cecla nel suo articolo Gender studies. Evidentemente noi italiani. Dall'immaginazione al politichese, ma da quei gruppi appartenenti all’ala dell’integralismo cattolico che di questa battaglia hanno fatto la loro nuova crociata, ha raggiunto, negli ultimi mesi, livelli a dir poco deliranti. Che si tratti degli opuscoli della Manif pour tous o di prese di posizione di intellettuali aprioristicamente ostili, la lettura attenta e approfondita dei riferimenti bibliografici sembra cedere il passo a una pesante disinformazione più o meno premeditata.

 

 

Nell’articolo di La Cecla, per esempio, la comunità scientifica italiana è accusata di aver sviluppato una sindrome fobica nei confronti di tutto ciò che è “costruzione culturale”, considerata, “una violenza sulla libertà individuale, si tratti di identità sessuali, ma anche di patrimonio linguistico, di tendenze artistiche e di tutto ciò che consideriamo cultura”. Viene poi ripreso un argomento chiave dei movimenti “no gender” secondo cui l’ISIS e la teoria queer metterebbero in atto lo stesso tipo di fondamentalismo distruttivo. La lettura critica del sociale proposta da numerosissimi studi teorici e empirici nel discorso dei “no gender” diventa così un’ideologia fondamentalista e terroristica. L’avvocato “per la vita” Gianfranco Amato, sorta di pasionaria della mobilitazione “anti-gender”, in un’intervista rilasciata il 6 maggio scorso, in occasione di una delle sue numerosissime conferenze, si spinge fino ad affermare che il “gender” è addirittura più pericoloso delle derive totalitarie del Novecento: “Ha ragione il Papa quando dice che questo è peggio del nazismo. Perché il nazismo e il comunismo hanno ucciso l’uomo, e noi piangiamo quei morti. Ma qui stanno spegnendo l’anima, stanno trasformando l’antropologia. Trasformare l’uomo in un transumano è peggio di ucciderlo”.

 

Purtroppo, gli “incontri” organizzati su tutto il territorio nazionale dai “no gender” presentati come momenti di “scienza” e di “conoscenza” sono dei comizi politici a tutti gli effetti il cui scopo è di attirare persone venute a informarsi, talvolta ingenuamente, talvolta per convinzione, nella rete militante dei contro-movimenti di reazione cattolica pro-life e antiabortisti, cultori di una morale integralista profondamente sessista, anti-femminista, contro l’omosessualità e contro il principio democratico dell’uguaglianza. Il Family Day svoltosi a Roma il 20 giugno scorso, per protestare contro le (timide) proposte di riforma della famiglia e contro l’introduzione di un’educazione che sensibilizzi i giovani alle violenze e alle discriminazioni legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere, ne è stata una triste dimostrazione. Davanti a una massa silenziosa di credenti per lo più occupati a disciplinare bambini sovraeccitati, Gandolfini, Amato, Adinolfi e altri ideologi auto-proclamati leader di un movimento populista, spalleggiati anche dal neocatecumenale Kiko Arguello, si sono dilettati nel proferire il verbo di un odio per la diversità travestito da amore per la famiglia “naturale”, cellula inviolabile del creato, vittima di un complotto guidato da poteri occulti. Ricorderemo il raduno “no gender” di questa triste giornata particolare con un sentimento di oppressione, lo stesso così magistralmente trasmesso dal film di Ettore Scola.

 

 

Le argomentazioni assurde e irrazionali di questa propaganda si fondano su una visione del tutto distorta e confusa dell’epistemologia costruzionista e del pensiero queer che utilizzano il genere e la sessualità come categorie analitiche per studiare, per l’appunto, come storicamente, socialmente e politicamente queste categorie sono state costruite e incorporate come fossero “naturali”, e dunque per metterne in evidenza e comprenderne gli effetti normativi e prescrittivi. Si tratta di analizzare le logiche disciplinari che agiscono socialmente per produrre e riprodurre le categorie di genere e della sessualità e che impongono tutta una serie di sanzioni per quei soggetti che escono dal perimetro della normalità. In questo senso, la discriminazione è una forma di sanzione e di controllo sociale che notificano al “diverso” che è un “deviante” rispetto a ciò che dovrebbe essere, e cioè alla norma. Per un approfondimento razionale e scientifico sugli usi accademici del genere e della sessualità, consiglio la lettura della rivista internazionale di studi di genere “About Gender” dell’Università di Genova per comprendere il lavoro prezioso di studiose e studiosi, anche e soprattutto italiani, anche e soprattutto precari, che da qualche anno a questa parte hanno aperto in Italia questo fondamentale campo di studi.

 

 

Il dibattito a cui assistiamo intorno al “gender” non si riduce al delirio chiassoso di un manipolo di illuminati sinistrorsi italiani, che delle teorie queer di provenienza nord-americana non avrebbero capito nulla, ma riguarda un conflitto sociale e politico che coinvolge la gerarchia ecclesiastica e una parte della base cattolica italiana, la classe politica nazionale e locale, docenti e dirigenti scolastici, genitori e associazioni di genitori, universitari, movimenti per i diritti umani e per i diritti civili delle minoranze sessuali. L’offensiva “anti-gender” è una realtà che si sta muovendo in tutta Italia e in particolar modo nel Nord-Est attraverso un’operazione di propaganda ideologica, usando mezzi poco scientifici come la manipolazione, la strumentalizzazione e la deformazione delle informazioni e del sapere accademico.

 

Il pensiero femminista e gli studi di genere, il pensiero queer e gli studi sulla sessualità, probabilmente alcuni dei contributi teorici e scientifici tra i più stimolanti e innovanti degli ultimi decenni, hanno proposto una lettura critica dei meccanismi coercitivi, già messi in luce dalle discipline umanistiche e sociali, ma spostando l’attenzione sul genere e sulla sessualità, per avanzare una lettura dei rapporti sociali e della costruzione identitaria dell’individuo in quanto essere sessuato e sessuale. Se le prospettive critiche emerse in ambito accademico come pensiero del minoritario e delle soggettività minoritarie incrociano in alcuni casi il campo dei movimenti sociali è perché lo spessore della norma e dei modelli maggioritari è più visibile dal margine che dalla prospettiva blind del centro.

 

La proposta emersa nell’ambito dell’attivismo lesbico, gay, bisessuale, transessuale e transgender, queer e intersex (LGBTQI) per l’autodeterminazione di sé e della propria identità è una forma di resistenza che non ha nulla a che fare con il politically correct, ma piuttosto con una politica dell’orgoglio che sfida, nella fatica di una lotta quotidiana, la rigidità dei regimi di genere (e di coloro che li difendono). E non per il piacere della futile polemica politichese radical-chic, ma perché ne va della dignità e dell’autonomia della persona, e perché dignità e autonomia individuale – prima ancora di essere tradotti in diritti civili (autodeterminazione della propria identità di genere senza dover subire abusi medico-psichiatrici, riconoscimento del valore sociale e della legittimità delle unioni omosessuali e delle famiglie omogenitoriali, istituzionalizzazione della lotta contro le discriminazioni omofobiche e transfobiche) sono beni inegualmente distribuiti di cui alcuni dispongono a proprio piacimento, il sociologo Pierre Bourdieu li chiamerebbe dominanti, e di cui altri subiscono la privazione, lo stesso Bourdieu parlerebbe di dominati.

 

Nel frattempo, tra un cardinale che definisce il referendum irlandese sull’apertura del matrimonio alle coppie omosessuali “una sconfitta per l’umanità”, un avvocato per la vita che dichiara di “odiare l’omosessualità come peccato”, uno pseudo-scienziato che difende la “naturalità” dell’unione eterosessuale e la “naturale complementarietà” dei sessi, in puro spirito tardo ottocentesco, tra un politico che parla di inutilità sociale delle coppie gay e lesbiche, e tentativi di infiltrare la scuola pubblica per discreditarla e per discreditare il lavoro delle e degli insegnanti, è forse utile e necessario riflettere e argomentare a partire dalla consistenza materiale dei fatti e della realtà, per non scadere nella sterile chiacchera che stuzzica “evidentemente noi italiani”, e per meglio comprendere quello “sbaglio della mente umana”, per riprendere le parole di Bergoglio, che è l’ideologia del no gender.

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