Leonardo Frosina. L’ultima foglia

19 Aprile 2013

Percorro Milano-Roma, Roma-Milano in meno di 24 ore.

Ho atteso a lungo il momento in cui avrei visto per la prima volta sul grande schermo il film di Leonardo Frosina: la proiezione è al festival RIFF, al Pigneto.

Finalmente in sala. Leonardo, in piedi al centro davanti allo schermo, ringrazia tutte le persone che direttamente e indirettamente hanno contribuito alla nascita e allo sviluppo del progetto de L’ultima foglia. Racconta di un progetto indipendente, reso possibile dalla collaborazione e dall’impegno di molti professionisti che hanno creduto nel film, della fatica di portarlo a termine perché in condizioni di basso budget è facile perdersi, smettere in corso d’opera.

Invece, dopo due anni di lavoro e molti momenti in cui si è temuto che il film non vedesse la luce, L’ultima foglia è pronto. 

Nella sala gremita del cinema Aquila cala il buio.

Sono emozionata.

 

 

Iniziano a scorrere i fotogrammi, il film apre col protagonista che si prepara per lasciare il posto di lavoro in vista del trasferimento.

L’inizio è lento, la storia sembra quasi incagliarsi, fa fatica. Un po’ come quelle persone che in un momento di disagio, di fatica interiore, sono colte da afasia: non sanno dirsi. Il tema della fatica interiore e dell’indolenza inizia a emergere, lo si vede e lo si sente.

In questo momento iniziale il regista porta lo spettatore a sospendere il giudizio, in questo stato si è pronti ad osservare le storie senza prendere posizioni nette, lasciandosi trascinare nell’intimità dei personaggi.

I piani stretti, serrati sui protagonisti ci permettono, in un attimo, di immedesimarci nei personaggi e nelle relazioni che animano il film: nelle dinamiche di coppia, dove all’indolenza di Zeno si antepone una ricerca d’aiuto e ascolto di Rossana, alla ricerca di evasione dell’uno la chiusura in casa e nell’intimo della musica dell’altra; e anche in Ela, la bella barista rumena, donna seducente, accogliente che sa ascoltare e che rappresenta il proibito, l’altrove, anche se è un altrove che potrebbe sembrare misero.

 

La trama è una storia comune, universale: è il pretesto per raccontare il tema dell’amore in crisi. La storia è quella di una coppia che attraversa un periodo di difficoltà: al trasferimento in una nuova città si accodano altri problemi... Mentre Rossana, musicista, resta in casa Zeno, lavora come metronotte. Nella quotidianità, le vite di Rossana e Zeno, delineano il susseguirsi ritmico di due polarità: la donna e l’uomo, il giorno e la notte, Eros e Thanatos, amore e morte, la realtà e l’immaginazione, la verità e la menzogna, il rosso e il blu.

Mi sembra anche che ogni dettaglio sia stato ponderato, mai lasciato al caso.

La fotografia, un vintage che mi ricorda istagram, porta in scena alcuni paesaggi in grado di creare poesia e di amplificare le emozioni di questa vicenda dell’anima. Infatti nel film sembra esserci spazio quasi solo per il vissuto interiore, gli ambienti fanno da eco, come cartoline spedite da una stazione emotiva, suscitano nello spettatore il sorgere di emozioni come la solitudine, la tristezza, la dolcezza.

 

 

La Roma che fa da sfondo allo scorrere de L’ultima foglia è una Roma dell’anima, fatta di paesaggi onirici, come la struttura del gasometro che si staglia all’alba o i laghi dell’EUR.

Il coro è un elemento fondamentale del film. Non è solo il coro dei bambini che canta in apertura, è il coro costituito dai discorsi fuoricampo come il televisore, la radio che accompagna Zeno nella Roma del metronotte, ed è un coro che fa il controcantoalla tragedia interiore. Tutto parla d’amore e delle fatiche dell’amore. Il coro riporta la voce della società, il discorso razionale così lontano dal sentire e dal vissuto dei protagonisti.

 

 

Anche le musiche, la color e le soluzioni del montaggio giocano un ruolo fondamentale ne L’ultima foglia.

La musica permea il film: la protagonista è una musicista e usa la musica e le struggenti melodie del violino come rifugio dal dolore e dalla solitudine. La musica è anche la canzone che accompagna il primo bacio tra Rossana e Zeno, quando erano innamorati e felici. 

Nicola Giunta, il compositore, crea una melodia che ci accompagna in tutto il film, è una musica triste e dolce che pesca nell’animo e crea una relazione tra lo spettatore e la storia dei protagonisti.

Le scelte di toni colore sottolineano quel movimento tra polarità di cui ho accennato sopra, i toni colore passano dai colori freddi: il blu che accompagna la vicenda di Zeno, il nero delle notti romane, gli azzurri dei neon della sede dei metronotte; ai colori caldi: i rossi e i marroni della casa, i gialli e i marroni del bar di Ela, luoghi chiusi, accoglienti e di rifugio dalla notte e dal naufragio interiore.

 

 

Infine il montaggio. La storia non segue una scansione temporale lineare, ma si muove avanti e indietro con  flash back e flash forward, tra quello che è successo e quello che succederà: dove il futuro esprime i desideri, le aspettative e le preoccupazioni dei protagonisti. La realtà e l’immaginazione a tratti si mescolano e confondono le attese dello spettatore: qui si gioca la forza de L’ultima foglia, perché resta aperta all’interpretazione.

 

L’ultima foglia è tornato con me a Milano, mi stuzzica nei tempi morti dei tragitti in bicicletta, e come ci ha suggerito il regista prima della proiezione lo terrò con me per un po’ e poi lo lascerò andare.

Pochi giorni dopo da Roma mi arriva la notizia che Giorgia Cardaci con L’ultima foglia, ha vinto il premio come miglior attrice nella sezione lungometraggi italiani.

 

 

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