Una destabilizzata quotidianità

25 Febbraio 2016

Harper Regan, Simon Stephens. È assai probabile che i due nomi in questione non vi dicano nulla. Ebbene: il primo è il titolo di uno spettacolo in scena fino al 6 marzo a Milano, il secondo il nome del giovane anglosassone autore del testo. Difficile credere che, con una locandina a così basso impatto, un teatro possa riempire la sala per un mese di repliche. Ma vi manca un elemento, per svelare l’arcano: l’allestimento è firmato da Elio De Capitani e presentato al Teatro dell’Elfo.

 

Harper Regan, Martin Chishimba e Elena Russo Arman

 

Il teatro meneghino è riuscito, negli anni, a instaurare un vero e proprio patto di fiducia con i suoi molti spettatori: qualsiasi cosa gli ‘Elfi’ metteranno in scena – nuova drammaturgia o classico – sarà senz’altro poco autoreferenziale, ben recitato e, in definitiva, contemporaneo. Per questo e altri motivi De Capitani, Ferdinando Bruni e gli altri soci si sono trovati a svolgere una funzione tristemente scomparsa dal nostro orizzonte: quella del mediatore, ovvero colui che scopre e importa i talenti della drammaturgia europea sui palchi italiani e li consegna alle simpatie del pubblico nostrano. Non sarà un caso che negli ultimi anni i maggiori successi della compagnia siano legati a nomi del panorama anglosassone, a partire da Angels in America di Tony Kushner (2007), passando per Rosso di Peter John Logan (2012), fino a Frost/Nixon di Peter Morgan (2012).

 

Harper Regan, Cristina Crippa e Elena Russo Arman

 

Eppure, a sentire De Capitani, non è questo l’obiettivo dell’Elfo: “le nostre scelte”, ci ha assicurato, “dipendono per prima cosa dalla necessità di fare un certo lavoro sull’attore. In Italia abbiamo una straordinaria tradizione interpretativa, ma l’abbiamo smarrita: ora abbiamo bisogno di recuperare il nostro modo di stare in scena”.

 

Ha seguito simili criteri anche la selezione di Harper Regan, rappresentato al National Theatre di Londra nel 2008 con la regia di Nick Hytner; Stephens, classe 1971, era allora già consacrato dalle platee-gotha del playwriting inglese, a cominciare dal Royal Court. Al centro del testo lo snodo della vita di una donna quarantenne (qui interpretata da Elena Russo Arman) che, con l’occasione di un’improvvisa visita al padre morente, intraprende un percorso di riscoperta del sé: quando Harper tornerà a casa, trovando il marito e la figlia adolescente in estrema apprensione, si scoprirà diversa e più consapevole.

 

Harper Regan, Cristian Giammarini e Elena Russo Arman

 

I motivi di interesse del copione, edito in italiano da Cue Press e già acquistabile online, sono molteplici. In primis la scelta di affidare la trasformazione della protagonista a episodi non eclatanti ma sotterraneamente decisivi, in quella sottile linea di confine che separa la normale quotidianità e l’impatto di un’esperienza destabilizzante: “la scrittura di Stephens è capace di infiltrarsi nelle pieghe del vivere”, sottolinea De Capitani, “e di restituire attraverso questo apparente ‘nulla’ le contraddizioni più profonde dell’essere umano”. Il secondo punto di forza è lo stile asciutto ed essenziale scelto dall’autore, in bilico tra l’astrazione di un viaggio psicologico e la concretezza del lessico familiare. La traduzione diviene quindi questione cruciale e, come accade quasi sempre all’Elfo, viene prodotta ad hoc dalla compagnia (in questo caso a firmarla è Lucio De Capitani, figlio di Elio, che per ovvi motivi si trova ‘a casa’ con il linguaggio della scena).

 

A conferire portata universale a una vicenda che potrebbe incagliarsi in una dimensione iperrealistica, quasi da fiction televisiva, sono la regia precisa ed essenziale di De Capitani e la bella scenografia geometrica e asettica di Carlo Sala: lo spazio è sapientemente diviso in tre ambienti che, come in un quadro di De Chirico, aprono progressivamente la prospettiva dello spettatore spingendolo a guardare oltre. Ed ecco che in questo ambiente i tavoli da cucina e i telefonini, i bicchieri di vino e gli accappatoi sembrano quasi stilizzarsi, e diventare così strumenti per penetrare nella psicologia dei personaggi. Molti i punti caldi toccati dal testo, dalla pedofilia all’immigrazione, dal ruolo della donna in una società apparentemente evoluta nelle pari opportunità fino al rapporto generazionale (e proprio nel rapporto tra Harper e la figlia, una convincente Camilla Semino Favro, si toccano i momenti più emozionanti dello spettacolo): “è un tema, quello del rapporto genitoriale, che ci sta particolarmente a cuore e che per la prima volta indaghiamo dal punto di vista femminile”.

 

Haper Regan, Camilla Semino Favro, Elena Russo Arman


E al termine del viaggio, cosa accade? Quali risposte ottiene Harper su se stessa e la propria famiglia? Chi si aspetta un radicale sconvolgimento della realtà preesistente o finali risolutivi resterà deluso: a cambiare sarà piuttosto lo sguardo della donna e, si spera, quello spettatore. “Non a tutti piace il finale aperto scelto da Stephens”, rivela De Capitani: “alcune persone non sopportano che alla fine le questioni rimangano irrisolte e che le verità resti celata. Chiedono che tutto venga spiegato, pretendono di avere la chiave per capire cosa è giusto e cosa è sbagliato”. Eppure, sembra suggerire De Capitani, nutrire simili pretese non può che portare a semplificazioni. Nel teatro come nella vita.

 

 

 

Harper Regan. Due giorni nella vita di una donna, di Simon Stephens, traduzione di Lucio De Capitani, regia di Elio De Capitani, scene e costumi Calo Sala, con Elena Russo Arman, Cristina Crippa, Camilla Semino Favro, Marco Bonadei, Cristian Giammarini, Francesco Acquaroli, Martin Chishimba, luci di Nando Frigerio, suono di Giuseppe Marzoli, produzione Teatro dell'Elfo.

In scena all’Elfo Puccini di Milano fino al 6 marzo.

 

Le dichiarazioni di Elio De Capitani sono tratte da un’intervista rilasciata a Maddalena Giovannelli il 22 febbraio 2016.

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