Roan Johnson. I primi della lista

15 Novembre 2011

Hitchcock diceva che per fare un buon film servono tre ingredienti: una buona storia, una buona storia e una buona storia. E se questo è vero l’opera di questo trentasettenne pisano di padre inglese è decisamente un buon film. Forse non entrerà nella storia del cinema - come Hitchcock... - o nei libri che questa storia studiano, forse non introdurrà nuove sfide formali o sposterà i confini della narrazione, ma la storia che racconta è davvero una buona storia. E di questi tempi ci pare già un miracolo.

 

Johnson narra di questo soggetto capitatogli tra le mani quasi per caso e scritto da tale Renzo Lulli, classe 1951, residente in Marocco e produttore di sculture in legno: già solo su carta un personaggio. Il Lulli racconta di una disavventura piuttosto bislacca occorsa, nel giugno del 1970, a lui, al compagno di lotta politica e musicale Fabio Gismondi e all’allora già celebre, almeno localmente, Pino Masi, cantautore impegnato noto per aver fondato il Canzoniere Pisano, avere scritto la Ballata del Pinelli e composto l’inno di Lotta Continua.

 

 

Il Gismondi e il Lulli hanno diciannove anni e il Masi è un mito per questi ragazzi di provincia arsi (bei tempi…) da una coscienza politica crescente, nutrita dagli eventi degli ultimi anni: la strage di Piazza Fontana, Valpreda, il Maggio Francese, il golpe in Grecia, Pinelli… Vogliono a tutti i costi suonare con lui, girare il mondo imbracciando la chitarra, parlare di compagni e partigiani, operai e collettivi di sinistra. Ed è così che si ritrovano, in un tranquillo pomeriggio di giugno a casa del Masi, coinvolti loro malgrado, almeno inizialmente, in una grande fuga: “il colpo di Stato è alle porte” - incita il Masi - e loro, che fanno parte del movimento e frequentano i collettivi proletari, sono i “primi della lista”, i primi che i colonnelli golpisti verranno a cercare.

 

Il cantautore è chiaramente un paranoico, un invasato con manie di persecuzione ma per i due ragazzi è il mito che parla, e il mito non si discute, si segue. A bordo della A112 del padre del Lulli i tre si mettono in viaggio verso il confine, per espatriare, prima che il golpe sia effettivo, e chiedere asilo politico. Prima puntano verso la Jugoslavia e poi - spaventati dall’idea di dover lavorare 12 ore al giorno... che di sinistra va bene, compagni anche, ma non esageriamo... - verso la più liberale Austria, dove forzano il confine coinvolgendo tre ignari ed annoiati carabinieri e finiscono per farsi arrestare e detenere. L’incidente diplomatico assume contorni grotteschi fino ad arrivare alle orecchie dell’allora Ministro degli Esteri Aldo Moro. Chiusi in una cella, dove il Masi ancora crede di vedere spie e microspie, capiranno di essere solo tre poveri diavoli che si sono resi ridicoli davanti a due nazioni e a una città, Pisa, che non aspetta altro che di vederli rientrare per sfotterli all’infinito: non c’è stato nessun golpe e le imponenti forze militari che avevano avvistato avanzare verso Roma altro non erano che i consueti convogli precettati per la parata del 2 giugno…

 

 

Johnson confeziona una commedia garbata, divertente, scritta più che dignitosamente e molto ben recitata. Ottimi i protagonisti, così come tutti gli attori secondari. I mezzi sono pochi e si vede ma le intenzioni sono buone, lo spirito è giusto e l’operazione gli riesce. In tempi di Soliti idioti è un piccolo miracolo, una boccata d’aria fresca, una promessa mantenuta, una risata sana, pulita, mai volgare. Chi ha fatto questo film si è divertito, si è sentito parte di un gruppo affiatato, non si è preso troppo sul serio ed è riuscito nell’ardua impresa di comunicarlo allo spettatore: questo vale il prezzo del biglietto e di sicuro vale un incoraggiamento a fare ancora e a fare di più.

 

Pino Masi è facile incontrarlo ancora oggi fuori dell’Università di Pisa a cantare le sue canzoni sugli operai della Piaggio e della Pignone oppure a sfoderare un nuovo repertorio antiberlusconiano, sempre in prima fila per difendere i diritti dei compagni e dei lavoratori: militante vero, duro e puro - seppur chiaramente paranoico... - è uno che ha preferito la coerenza ai soldi e la visione critica alla visione comoda.

 

 

E tutto sommato, nella sua paranoia persecutoria in quel giugno del 1970 non aveva visto troppo lontano: la notte tra il 7 e l’8 dicembre Junio Valerio Borghese, il “principe nero” ex comandante della Xª Flottiglia MAS, tentò il colpo di stato, salvo poi annullarlo mentre era in corso di esecuzione per motivi che non sono mai stati chiariti.

 

L’Italia entrava in un decennio nero che Johnson non ha la pretesa di raccontare ma solo di lasciare filtrare sullo sfondo di una sgangherata vicenda umana, che stempera quegli anni di lotte con umorismo nostalgico, che mette da parte il piombo e che ha il sapore romantico di quelle vecchie storie colorite che si tramandano nei paesi, seduti al tavolino di un vecchio bar, tra una sigaretta e un giro di carte.

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