Speciale

Entro, oltre, ai bordi della città mondo

25 Agosto 2015

Lungi dal presentarsi come discorso sulla scomparsa e sulla dissoluzione di confini e frontiere, la globalizzazione manifesta una loro incessante produzione. O meglio, una incessante moltiplicazione e diversificazione delle frontiere. Queste frontiere non sono più intese semplicemente come i limiti territoriali degli stati nazionali: emergono invece come spazi mobili, relazionali, come processi sociali, culturali e politici complessi prodotti, ma ad un tempo anche in grado di produrre identità individuali e collettive. In questo senso, il rapporto fra processi globali e costruzione di confini (bordering) assume un profilo molto interessante: l’intensa circolazione dei flussi di merci, denaro, persone, conoscenze, simboli, lungi dal generare una scomparsa delle frontiere del mondo, è all’origine di una vera e propria diffusione delle delimitazioni spaziali. Nel contesto globale, i confini non scompaiono: sono invece ridisegnati, ricollocati, non solo fra gli stati, ma anche negli spazi urbani.

 

Le città oggi, soprattutto le grandi città globali, sembrano estendersi senza limiti, diffondendosi in modo incontrollato sul territorio: una distesa crescente e magmatica di insediamenti produttivi, aree residenziali, poli commerciali, sportivi, spazi per il divertimento. Tuttavia, “infinita” non è semplicemente la città che cresce quantitativamente in estensione territoriale e complessità dell’articolazione multipolare. “Infinita” è anche la città che tende a farsi mondo: il mondo intero, con le sue contraddizioni, o meglio l’infinita molteplicità di mondi, cresce oggi dentro la città. Da sempre, sfuggire alla città è stato assai difficile. In epoca globale, sfuggire alla città è diventato quasi impossibile. Non solo perché ci si ritrova, volenti o nolenti, a vivere dentro la dimensione urbana, divenuta incredibilmente “sovradimensionata”. Ma soprattutto perché sembra impossibile immaginare un fuori. Assorbendo e dissolvendo distanze e specificità territoriali, l’urbano ha invaso il reale, ma soprattutto l’immaginario. Da una parte, dunque, le città tendono a superare continuamente i propri confini esterni, fino a dissolverli progressivamente entro città di città, inglobando porzioni sempre più ampie di territorio. Dall’altra parte, la vita urbana è impegnata in un’incessante produzione di confini (bordering): tende a moltiplicare, dislocare e differenziare confini materiali e immateriali, fisici e simbolici.

 

 

I confini metropolitani di Londra sono convenzionalmente segnati dalla famosa M25, l’autostrada, o meglio la circonvallazione a dieci corsie che abbraccia la città con i suoi oltre 200 chilometri, collegando le aree periferiche lungo l’orbita autostradale. Si tratta di un anello intorno a Londra, un circuito teso a seguirne e tracciarne i confini, progettato in fasi diverse fin dalla fine degli anni ’30, ma sostanzialmente realizzato fra il 1975 e il 1985 per frammenti, segmenti di autostrada costruiti e giustapposti, «graffettati», come suggerisce Ian Sinclair nel resoconto del suo straordinario viaggio a piedi intorno al grande raccordo. «Devo ammetterlo: stavo sviluppando un’ossessione morbosa per il raccordo autostradale di Londra, la M25. La siepe squallida, il profilattico tra guidatore e paesaggio. Era possibile che il triste collare d’asfalto, inaugurato da Margaret Thatcher il 29 ottobre 1986, fosse il vero recinto della città? Quel fossato concettuale segnava il limite di ciò che chiamavamo Londra, di qualunque cosa si trattasse? Oppure era il laccio emostatico, finanziato dal ministero dei Trasporti e dall’Ente Autostrade, che soffocava l’alito vitale della metropoli?» (Sinclair, London Orbital, Il Saggiatore, Milano 2008, p. 25).

 

Tuttavia, se la M25 costituisce il suo confine esterno, sappiamo che oggi certo Londra non “finisce” lì. Non solo attraverso la metropolitana più antica del mondo, ma soprattutto attraverso un sistema di trasporti, di linee ad alta velocità e grazie al supporto tecnologico, alla piattaforma mobile della rete che tutto cattura e collega, già oggi e sempre più in un futuro prossimo,“orbiterà” sulla città una moltitudine di persone in continua crescita, milioni di pendolari. In questo modo, il fuori della famosa tangenziale si spinge fino a Bristol, Birmingham, Liverpool, Edimburgo, Belfast, in ogni direzione. Addirittura oltre la Manica, verso il cuore d’Europa. È questa la “Londonsphere”, come si annunciava recentemente dalle pagine del Financial Times. Sono queste le potenzialità della città nell’epoca della globalizzazione, che si sviluppa ben al di là dei limiti e delle possibilità della prossimità fisica.

 

Margaret Tatcher inaugura la M25 il 29 ottobre 1986

 

Entro, oltre e ai bordi del raccordo autostradale della M25, lontana dal cuore finanziario della City, come dalle case popolari delle periferie che sorgono all’interno, cresce, si propaga e si stratifica la Londra dei margini, una vastissima terra di confine che ospita vite di confine. Terre e vite di confine che raccontano oggi vezzi, desideri, allucinazioni e ossessioni della civiltà globale: asfalto, automobili e cemento in ogni dove; degrado urbano espresso nella proliferazione smisurata della spazzatura; consumismo celebrato nelle cattedrali di enormi centri commerciali; testimonianze di un glorioso passato industriale, archeologie manifatturiere abbandonate in cui la natura si infiltra, cresce (per lo più contaminata) e pervade ogni interstizio possibile; vuoti urbani a perdita d’occhio. Ma entro e oltre il grande confine della M25 si moltiplicano, proliferano, crescendo l’una accanto all’altra, l’una sopra l’altra molte città differenti, molte Londra in una. Non mi riferisco solo alla presenza dei numerosi borghi (che sono di fatto municipalità autonome) e dei quartieri: si tratta di una moltiplicazione e dislocazione di confini interni e aree di separazione, ma anche di sovrapposizione, che fanno della città un caleidoscopio di forme spaziali, sociali e culturali, di presenze, di storie: un’esperienza ricca e insieme perturbante di differenze che si intrecciano a livelli diversi.

 

Così, accanto ad aree in cui i confini stabiliscono dispositivi di esclusione, controllo spaziale e sociale, vere e proprie zone di confinamento e segregazione, nelle città contemporanee si diffondono confini che sono spazi fluidi, mobili, spazi intermedi in cui avvengono molteplici transiti di persone, significati, narrazioni. Si tratta di confini o aree di confine a volte non immediatamente riconoscibili, costituite e attraversate da corpi, discorsi, pratiche e relazioni che provvedono a ridefinire e ricomporre quelle divisioni tra dentro e fuori, fra incluso ed escluso, fra cittadino e straniero, a ridisegnare paesaggi e nuove rappresentazioni di sé, degli altri, di identità e differenze.

 

La complessa relazione fra spazio, esperienza vissuta e potere dischiude negli spazi urbani di confine, o meglio nelle pratiche e nei modi di abitare, vivere, rappresentare e raccontare il confine, inedite espressioni di creatività, possibilità di resistenza, rivendicazioni, che vanno ben oltre l’interpretazione delle frontiere contemporanee quali meri meccanismi di esclusione. Certo, violenza e sopraffazione accompagnano spesso le vite e le relazioni che si giocano attraverso i confini, che sono legati a dispositivi di sfruttamento e segregazione. Tuttavia, nello stesso tempo, occorre prestare attenzione alle lotte e alle pratiche di traduzione, non necessariamente conflittuali, che avvengono lungo e dentro le zone di confine. Questi spazi, infatti, appaiono luoghi di contatto e di scambio, interessanti «in-between». D’altra parte, questo è il carattere doppio del confine: chiusura e apertura, inclusione ed esclusione, controllo e creatività.

 

Brick Lane

 

Il confine fra la natura e cultura, soprattutto intesa nella sua veste industriale, sembra dischiudere a Londra interessanti prospettive. Al di là delle aree nelle quali tale relazione appare codificata, disciplinata da un ordine estetico e funzionale, intorno ai margini esterni della città, si assiste a una sorta di “esplosione” della relazione fra natura e cultura, fra aree verdi e aree industriali dismesse, parchi, centri sportivi e ferrovie, che si spinge a nord-est fino alla “cintura verde” ai confini della foresta di Epping, oppure fino al parco della Lea Valley. Tale relazione si esprime ancora una volta entro la dialettica fra distruzione e creazione. Esemplare in questo senso sembra il Camely Street Natural Park. Non lontano da King’s Cross, dietro una ex area industriale e un grande gasometro, nei pressi di un vecchio deposito di carbone, nasce questo parco naturale, che cresce lungo le sponde del Regent’s Canal: una riserva selvaggia di biodiversità nel cuore urbano.

 

Ma è l’East London una delle zone più interessanti. Area dai confini geografici incerti, si chiama East End la Londra che si estende a est della City, o meglio della Torre. Nata come area portuale lungo il Tamigi, è stata area di approdo di flussi migratori fin dal 1600, per poi accogliere uno sviluppo demografico incontrollato dal 1800. Deve a questa origine storica, in particolare all’alta densità di residenti immigrati, la sua connotazione di area segnata da povertà, illegalità e criminalità diffusa: una zona affollata di baracche, stalle, taverne, case da gioco e bordelli. È nelle strade dell’East End che uccideva Jack lo Squartatore. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, questa zona conobbe rapido sviluppo urbanistico, caratterizzato soprattutto dalla diffusione di alloggi popolari. Ma è negli ultimi anni che l’East End è stata investita da un’opera vistosa di rigenerazione urbana, in particolare in concomitanza con le Olimpiadi del 2012. È oggi sicuramente la zona più interessante di Londra, quella in cui la capitale esprime al meglio se stessa come un “mondo dentro la città”, in un miscuglio disordinato, rumoroso e intensamente odoroso, fatto di atelier di moda, ristoranti asiatici e locali musicali, quartieri popolari, gallerie d’arte, mercati. Aree progettate come residenze per la classe operaia, nuovi insediamenti di migranti con le proprie attività commerciali, aree industriali e portuali dismesse e recuperate per la cultura e il tempo libero, nuovi insediamenti esito di processi di gentrificazione: Whitechapel, Spitalfied, Brick Lane, Bethnal Green, fino a Stratford e alle Dockslands, la vita dell’East End è un’ininterrotta stratificazione di aree di separazione e aree di sovrapposizione, di confinamenti e sconfinamenti, per lo più immaginari e simbolici. La globalizzazione e la gentrificazione hanno fatto di questi quartieri, un tempo veri e propri ghetti urbani, qualcosa di nuovo: un luogo di passaggio (i confini possiedono una dimensione temporale) fra la città del passato e quella che verrà, un luogo affascinante proprio perché capace di conservare e lasciare emergere qui e là quel margine di diversità, di azzardo, di ribellione, di autenticità.

 

 

A Whitechapel Road al numero 321, nel quartiere multietnico di Tower Hamlets, situato in un’area di altissima densità tra la City e il Tamigi, nell’East End di Londra, sorge uno degli Idea Store presenti in varie zone della capitale, una rete di servizi bibliotecari e centri culturali polivalenti, che offrono corsi di formazione e per il tempo libero destinati ad adulti e famiglie, biblioteche e ludoteche per bambini, servizi informazioni, caffetterie e spazi per l’arte. L’edificio di specchi e vetrate, coerentemente con l’immagine dell’estetica postmoderna, sorge su una delle strade principali del quartiere, in cui sono collocate altre attività locali, vicino alla stazione della metropolitana e ad altri servizi di uso comune, per facilitare la frequentazione quotidiana. In particolare, questo Idea Store sorge proprio di fronte a un mercato rionale arabo: un marciapiede li divide. Oppure no: un marciapiede li unisce. Fra il mercato e l’Idea Store sembra fluttuare una membrana osmotica che viene penetrata incessantemente nei due sensi. Torna il confine come filtro di traduzione. Gli abitanti del quartiere, gli stessi acquirenti del mercato, entrano ed escono dall’Idea Store, trascorrono il tempo, leggono, frequentano corsi, ascoltano musica, bevono caffè. Dalle 16 i bambini del quartiere riempiono l’ala loro dedicata per fare i compiti e ogni genere di attività ludica e creativa...

 

Stockwool, progetto per l'Idea Store, Londra

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