La Torre di Genova

Il comandante Giovanni Lettich è un istriano alto e vigoroso, è stato proprio lui ad accoglierci appena una settimana fa al terzo piano di quel bizzarro «fungo» che era la Torre piloti. Adesso non abbiamo cuore di chiamarlo.

 

 

Scorriamo con angoscia la lista dei nomi pubblicata online dal Secolo XIX per paura di trovarci il suo o quello di uno dei suoi collaboratori appena conosciuti e con cui abbiamo scherzato.
Il suo ufficio aveva un’aria vagamente retrò, con quei timoni in legno e le immagini appese di navi d’antan, in mezzo a quel groviglio di alta tecnologia che è una Torre piloti. Manufatto di ferro cemento e vetro alto cinquantaquattro metri, finiva con una cabina di regia tutta specchi che, dominando l’intero scalo di Genova da Molo Giano, controllava chi entra e chi esce dal porto e coordinava l’attività delle «pilotine», gli agili e potenti scafi che raggiungono le immense fabbriche del mare quando devono ormeggiare o lasciare le banchine. Devono guidarle ai moli o in mare aperto. Gesti e azioni ripetute, sempre le stesse, eseguite con precisione, competenza e sempre con un occhio alla sicurezza: della nave, del carico, degli equipaggi.

 

 

Adesso che quella torre non c’è più ci vengono in mente le facce dei piloti che abbiamo conosciuto, dei centralinisti e dei timonieri, degli addetti alla segreteria e del comandante Lettich che, con la pazienza che si deve ai giornalisti, è stato un’ora a spiegarci come funziona una pilotina e cosa fa un pilota: «è il primo a salire sulla nave e l’ultimo a scendere», ci aveva detto per spiegare il lavoro fondamentale dei suoi uomini («carte nautiche parlanti», li chiamano) che devono salire in mare aperto su petroliere, merci, navi passeggeri e guidare in porto la manovra per fare poi la stessa cosa quando la nave se ne riparte.

 

Spiega che anche questa, come molte altre al porto, è una cooperativa con una tradizione e un’identità: sono 22 i piloti e - dice - c’è appena stato un cambio generazionale nei ranghi dei comandanti che son quasi tutti molto giovani ma con già centinaia di operazioni di servizio alle spalle. Tutti ex naviganti con una lunga storia marina. Gente che i «vapori» li conosce.

 

Lettich ci conduce poi a una pilotina. Il timoniere Fabio Clerici di Camogli accende i motori e ci accompagna in porto dove un cargo di 260 metri da quarantaduemila tonnellate sta lasciando la banchina. I piloti sono a bordo. I rimorchiatori manovrano con i cavi per direzionare la nave oppure la spingono da un lato per fare resistenza alla spinta delle eliche laterali che servono allo scafo per mollare gli ormeggi. A operazione conclusa Clerici carica a bordo i comandanti Savarese e Gazzale che scendono dalla «biscaglina», la scaletta di corda che corre lungo la pancia della nave, e saltano in corsa sulla pilotina.

 

Concluso, si torna alla torre. Siamo rimasti affascinati da questi «abbordaggi» specie se la giornata è di quelle con un moto ondoso considerevole (almeno per noi) e lascia stupefatti che la tragedia di martedì notte si sia verificata con grande bonaccia e mare calmissimo.

 

Al rientro saliamo sino alla «cappella» del lungo fungo della Torre. Scherziamo con questi sorveglianti speciali, ci facciamo raccontare. Poi ragioniamo tra di noi: è gente che deve saper far fronte anche in situazioni complesse, in condizioni di mare imprevedibile, compiendo un lavoro oscuro ma essenziale. Ragioniamo anche, fuor di retorica, che è proprio su una pilotina che senti quel sentimento di solidarietà che sembra attraversare i marinai quando son lì, sul filo dell’acqua e un errore può costare la vita.

 

 

Adesso quel fungo, che riuniva responsabili di guardia costiera, marinai, piloti e rimorchiatori, è un cumulo di macerie che si è frantumato in parte su una vicina palazzina a fianco della guardia di Finanza. Poco più in là ci sono i sommozzatori e gli specialisti delle profondità, quelli che fanno le «campane» per andare cento metri sott’acqua a fare qualche ingrato lavoro. Anche con loro abbiamo scherzato, fotografato, preso appunti, registrato per mettere assieme un libro fotografico di Genova e farne poi una trasmissione per Radio3. Che adesso racconterà anche di questa torre e di alcuni abitanti che non ci sono più.

 

Questo articolo è apparso il 9 maggio su Il manifesto

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