Storie che svaniscono. Ontologia di Snapchat

20 Luglio 2015

I nuovi media, social network compresi, per dirla con Jean Baudrillard, compiono continui omicidi del reale, o meglio lo epurano dalle scorie dell'imperfezione, creando una dimensione vuota sotto il loro controllo, riempita con qualsiasi cosa si desideri.

 

Scrollando le home page di Facebook, Instagram e Twitter, tutti gli utenti vogliono apparire al meglio della loro intelligenza e prestanza fisica, come se si fosse continuamente sotto i riflettori sul palco del Metropolitan Opera House di New York, il teatro d'opera più grande al mondo. Non c'era bisogno di Zuckerberg e compagni per giungere a tale conclusione, visto che già William Shakespeare, in As You Like It, faceva affermare a Iacopo “tutto il mondo è un teatro e tutti gli uomini e le donne non sono che attori”, la tecnologia ha solo potenziato ulteriormente questa velleità del genere umano, offrendogli ulteriori strumenti, comodamente accessibili dalle mura domestiche, nello specifico tastiera, videocamera e filtri fotografici. Il mondo virtuale, però, come quello reale, è comunque soggetto all'imponderabile, all'incognita del tag o della menzione fuori controllo, per cui tutto ciò che si è costruito per il bene dell'immagine personale può distruggersi sotto i colpi di visualizzazioni e di condivisioni a spron battuto.

 

 

A parte le vie legali, ma con quelle, si sa, si fa prima a emigrare su Marte, non esiste un modo per eliminare completamente dal Web e dalla memoria, fisica e organica, degli utenti un contenuto che non faccia giustizia alla persona, tanto che la pubblicazione di video e foto sui social network è diventata una delle più efferate minacce. Tale delitto contro la libertà individuale trova una forma blanda di tutela nel de-tag, ossia l'eliminazione della citazione nominale nelle foto ritenute non all'altezza della pubblica condivisione. Potrebbero accadere eventi disastrosi se al mondo intero venissero svelate immagini costellate da occhi rossi e foruncoli, non passate all'implacabile setaccio di Photoshop.

 

L'ostentazione a tutti i costi, finalizzata e costruita meticolosamente per ottenere l'approvazione sociale, ha cominciato a diventare scomoda, per chi ne era stato affascinato, dopo aver iniziato a toccare con mano gli effetti collaterali di ciò che si inscrive in un regime di visibilità permanente, rintracciabile da tutti. Gli antesignani della negazione dell'ostentazione, i primi fautori del ritorno all'anonimato, sono stati gli adolescenti che, preoccupati dalla massiccia colonizzazione dei social operata da famigliari e professori, hanno compiuto un'inversione di rotta, riducendo al minimo le loro condivisioni “pubbliche” e virando verso mezzi di comunicazione ritenuti più sicuri per la privacy.

 

Ed ecco spiegato il background della genesi di Snapchat, un'applicazione di video-messaggistica ideata nel 2011 da due studenti universitari americani, Evan Spiegel e Bobby Murphy, come vuole la tradizione dei migliori social network, questa volta della Stanford University. Come racconta Spiegel nel primo post del blog di Snapchat, la potenza creatrice giunse dalla volontà di contribuire con un pensiero divergente al mondo della condivisione delle fotografie tramite smartphone, a loro parere troppo orientato alla perfezione stilistica ed estetica, con il fine di proporre un luogo dove condividere selfie strambi e foto divertenti con gli amici. Basta con i ritocchi di photoshop e i filtri di Instagram, con la riproduzione fine a se stessa degli stereotipi delle riviste patinate, il mondo reale è diverso, dove anche il grottesco ha un ruolo fondamentale data la sua natura collettiva e familiare. Il de-tag e il fotoritocco non avrebbero avuto più senso con Snapchat, un luogo dove nulla è eterno, dove foto e video si autodistruggono alla fine della visione, proprio come in James Bond. I primi utenti a capire le potenzialità dell'applicazione furono gli studenti di scuola superiore, veri e propri early adopters, che la adottarono come nuovo modo per passarsi gli appunti in classe e prendere in giro i professori.

 

 

A detta di Spiegel, Snapchat non consiste nel catturare il tradizionale momento Kodak, è comunicare attraverso l'intero ventaglio delle emozioni umane, non solo godendo di ciò che si conforma alle nozioni, non esattamente realistiche, di bellezza e perfezione. Con Snapchat ci si diverte, si è onesti con se stessi e con gli altri, condividendo qualsiasi cosa si voglia.

Si tratta di una rivoluzione del voler apparire, del voler essere, sui social “tradizionali”, rappresenta una crociata nei confronti dell'identità virtuale forzata e idealizzata, che spesso elimina il fattore divertimento dalla comunicazione del sé.

 

Il successo di Snapchat è da attribuirsi anche al mutamento della fruizione dei video che ormai avviene quasi esclusivamente sugli smartphone. I video vengono preferiti per le loro capacità narrative e sembra Snapchat sia diventato il modo migliore per raggiungere il target 13-34 anni che, secondo i dati interni di Snapchat, visiona i contenuti di un evento sull'app invece che in televisione poiché ritengono più interessante un punto di vista personale rispetto a uno generalistico. Una ricerca U.S. Census ha stimato che più del 60% degli americani appartenenti al target sopracitato utilizza Snapchat, condividendo più di due miliardi di snap al giorno, i contenuti dell'applicazione. Gli utenti attivi nel quotidiano sono circa 100 milioni, la cui maggioranza ha dai 18 ai 24 anni, e tali cifre costituiscono una ricchezza pubblicitaria ed economica molto appetibile tanto che Spiegel ha ricevuto offerte di colossi quali Mark Zuckerberg, 3 miliardi di dollari, e Google, 4 miliardi di dollari, da lui elegantemente declinate.

 

La peculiarità è lo sviluppo dei contenuti in verticale, a favore di scroll tattile, perché per l'utente risulta irritante il fatto di dover girare e rigirare il dispositivo durante la ricezione dei testi. Con i device utilizzati cambia anche l'ergonomia di lettura e visione, condizionando la gestualità e gli atteggiamenti delle persone.

 

Gli snap, si registrano mantenendo il contatto tattile con il display dello smartphone, mentre per visualizzare quelli degli altri utenti basta un tocco. L'unico modo immediato per rendere i contenuti non volatili, salvandoli sul dispositivo, è lo screenshot, ma lo scotto da pagare è l'istantanea notifica dell'azione al proprietario del contenuto, che potrebbe anche avere da ridire.

 

La reale evanescenza dei contenuti è una questione che ha sollevato diverse polemiche, tra cui spicca la rivelazione scandalo della rivista americana Forbes sugli effettivi tempi di permanenza nell'ambiente virtuale degli snap che, grazie ad alcune modifiche dell'app approntate con minime conoscenze tecniche, potevano essere recuperati e salvati. La palla passò alla Federal Trade Commision che indisse un procedimento per truffa ai danni di Spiegel e Brown, da cui è risultato il monitoraggio della privacy ventennale. I cliché legali da social network di successo non finiscono qui: nel 2013, Frank Reginald Brown, un collega di università dei fondatori, incominciò un procedimento legale perché tenuto fuori dalla compagnia e, ovviamente, dai guadagni. L'accordo giunse un anno dopo e a Brown venne riconosciuto di aver contribuito al concept di Snapchat.

 

Nel 2013 non occorsero solo beghe con la giustizia, ma anche innovazioni dell'app come la funzione My Story, un montaggio dei vari snap effettuati dall'utente nel corso di una giornata, da rendere visibile, previa sua scelta, alla rete di contatti e dalla durata limitata di ventiquattro ore, anche se visualizzabile un numero illimitato di volte. I nuovi snap assumono la funzione di narrare la storia quotidiana dello snapchatter, possono essere arricchiti durante l'arco temporale, aggiungendo foto o video dalla durata massima di trenta secondi, e, in teoria, hanno la capacità di raggiungere qualsiasi lunghezza, proporzionalmente a quanti contenuti vengono caricati. Le storie danno anche vita a montaggi in crowdsourcing riguardanti gli eventi dal vivo supportati da Snapchat, come è accaduto con Pride e Marriage Equality, il 26 e il 27 giugno 2015.

 

Da sinistra: Screenshot  Pride; Screenshot Marriage Equality

 

Ogni storia ha diverse posizioni spaziali e salti temporali, in cui il montaggio si mostra sic et simpliciter nei suoi tagli e nelle sue giunture proprio per mostrare tutti i punti di vista diversi che lo compongono, le varie narrazioni individuali, che hanno il compito di affermare l'identità collettiva e le varie tipologie di partecipazione a un determinato evento.

 

Il primo maggio 2014 sono stati aggiunti i messaggi di testo, che permangono solo se salvati scientemente, l'ennesima innovazione nel campo social, data l'assoluta mancanza di competitor e che differiscono da quelli canonici, sempre a detta di Spiegel, per la loro natura conversazionale, attestata dalle premesse parziali e dalla reattività alle circostanze.

 

I messaggi conversazionali si oppongono ai transazionali in quanto questi ultimi sono finalizzati al mero passaggio dell'informazione, presentando determinate marche dell'articolazione dell'interazione, quali, ad esempio, la doppia spunta o lo “sta scrivendo” di Whatsapp, che rendono il processo di comunicazione meno fluido, caricandolo di fame di stimoli e di riconoscimento, come nel caso controverso della visualizzazione che non ha ricevuto risposta.

 

Il 27 gennaio 2015 Snapchat ha lanciato la sezione Discovery, in cui vengono pubblicati contenuti sponsorizzati, di stampo prettamente informativo, aventi come oggetto i trend mondiali del giorno, a cura di famose testate internazionali come CNN, Cosmopolitan, MTV, National Geographic, Food Network, Yahoo, che hanno il compito di coprire praticamente ogni ambito di interesse. Insomma, Snapchat è anche un modo per aggiornarsi con un diverso approccio agli approfondimenti che vengono offerti sia in forma di testi verbali che audiovisivi.

 

Risale sempre al 2013 il restyling del logo Ghostface Chillah, nome che Brown aveva mutuato da un rapper del gruppo Wu-Tang Clan, il fantasmino ghignante sostituito da NoFace Chillah, asenza occhi né bocca perché il vero volto di Snapchat è l'utente, che oltre al ghigno ha molteplici esperienze e stati d'animo. Il tre luglio 2015 è stata, infatti, aggiunta la funzione selfie multiscatto all'interno di NoFace Chillah, i cui contorni si adattano all'ovale del volto dell'utente. Il risultato è un'immagine animata che mostra l'utente in tre o quattro espressioni diverse.

 

A questo punto è chiaro che la negazione del volto del fantasmino, ha comportato l'eliminazione dei caratteri individuali e relazionali, affidando l'efficacia comunicativa di Snapchat a coloro che compongono il suo universo. Gilles Deleuze riconosceva al viso tre funzioni, individuante, socializzante, e comunicante, e in tal senso si può attribuire all'assenza di occhi e bocca dal logo una funzione mirata a focalizzare l'attenzione sui singoli contenuti, evitando di dare qualsiasi indirizzo al mood generale dell'app, in quanto l'espressione del volto gioca un ruolo importante nell'espressione di uno stato emotivo.

 

I discorsi di snapchat sono volatili per ricalcare la comunicazione in praesentia, di natura effimera, come l'oralità. Si tratta di una sorta di ritorno alla dicotomia oralità vs scrittura trattata da Platone nel Fedro, ma questa volta operata dalla stessa tecnologia, perché rifiutando l'immobilità di ciò che permane si mira direttamente all'anima del destinatario, permettendogli la vera conoscenza dell'altro. È la massima espressione dell'oralità elettronica propugnata da Walter J. Ong, dove alla simultaneità temporale si aggiunge l'evanescenza. In Snapchat si gioca sulla genuinità e sul calore, unendo il primato del campo uditivo a quello visivo, in quanto gli snap possono essere arricchiti con disegni, effettuati con le dita o col pennino, con inserti testuali ed emoji che convergono in un sincretismo testuale che schiude miriadi di sensi possibili. L'importante è bloccare il presente, vero, non quello dello still life, rappresentando l'istante nella sua stessa durata, combattendo l'ineluttabilità dello scorrere del tempo con le sue stesse armi. Ogni snap è modalizzato da desideri e passioni in cui si manifestano e si installano i partecipanti del processo comunicativo, che condividono una contiguità temporale e un canale secretato. Il segreto è la via di mezzo tra essere e non sembrare, nel senso che tramite Snapchat si comunica la propria verità legata all'istante non con un falso dire, ma limitando la visione e la permanenza dei contenuti.

 

In questo modo si esalta il mondo reale, in cui l'assenza del fotoritocco, volto a nascondere o a camuffare il vero, concorre alla componente passionale e sinestesica dell'immagine. Snapchat è la naturalità dell'immagine, la sua disintellettualizzazione, ma prescinde dallo scopo testamentale, come scrive Tiziano Bonini sui selfie, di foto e video perché ne presuppone il dileguamento. È l'obsolescenza seconda del momento di vita, dove i motivi della fugacità del tempo e delle emozioni si tramutano nel trionfo della piena presenza e del sensibile.

 

A parte gli snap tematizzati, su Snapchat non vige l'etichettamento degli altri social, assicurato dagli hashtag, l'unico argomento è la quotidianità del sé. In Snapchat l'essere si consegna realmente per ciò che è, o almeno cerca di farlo, senza il bisogno di conformarsi ai giudizi di valore sotto forma di like o retweet, o all'apologia dei testi nei commenti. Si condivide un istante di vita e basta. L'evanescenza dei contenuti si fonda sui ritmi temporali della comunicazione emotiva, estremamente variabile e labile, a seconda dei soggetti e dei contesti.

 

Negli snap è come se l'emozione non passasse mai al vaglio della ragione, perché quest'ultima potrebbe inficiarla con stereotipi comportamentali ed estetici. Il pentimento per aver condiviso qualcosa di “compromettente” durerebbe comunque poco, se va male un giorno soltanto. La durata di uno snap è proporzionale a quella degli stati d'animo, e i video cercano di riprodurre la loro natura sinestesica convocando vista, udito e tatto. Snapchat erge una barriera con i social network della ragione, ponendosi in contrasto in quanto espressione del sentire.

 

Non si tratta di narrazioni che passano dal segreto alla sua rivelazione, ma che svelano il vero in maniera non accessibile a tutti, raffigurando la volatilità del presente attraverso la cancellazione dei contenuti. Snapchat non pretende di storicizzare le vite degli individui in linee temporali e diari, bensì opera un processo di riproduzione identitaria nel pieno rispetto della sua natura.

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