Canti di augurio e dono / Il teatro segreto di Giuliano Scabia

6 Gennaio 2017

Intona Laura Artioli, figlia di Eneide Notari, sorella quest’ultima di Ines, di Ersilio, di Sveno (nome di epico principe danese), di Dante, di Aurora, di Euridice, di Dalmazia, figli di Domenico Notari, detto Minghín, capomaggio dell’Appennino, muratore, volto scolpito nella pietra con occhi azzurri cielodimontagna; canta la nipote Laura, ormai proveniente dalla pianura, come tutti i nipoti:

 

Sempre negli infiniti mondi

dentro il tempo appena nato

che spera farsi eterno

la vita dovunque fiorirà.

 

27 dicembre 2016. Siamo nella casa dei Notari, quella che fu abitata da Sveno, muratore anche lui come il padre e poeta nel tempo segreto, “murator sul foglio chino” a inventare ottave, come gli antichi poeti degli epici cantari. Siamo a Busana, nell’alto Appennino Reggiano, per gli auguri per l’anno nuovo. Siamo arrivati con un sole di cartapesta drappeggiato di stoffe colorate, con il vecchio cantastorie del Gorilla Quadrumàno, che nessuno ha mai domato né con baston né con la mano, il re delle bestie che, dopo aver salvato una corte, è tornato a regnare tra le fiere in mezzo al bosco. Indossiamo, Giuliano Scabia e io, due mantelli e due cappelli; abbiamo un cavallo piccolo da mettere sul cammino, di cartapesta colorata, e uno più grande da braccio. E il testo del Canto della vita indistruttibile.

 

Incipit Canto vita indistruttibile; ph. Castorp

 

Andremo via, da casa Notari, ognuno di noi con una busta piena di meline piccole e saporite di un albero proprio là fuori della casa, con noci di montagna e rosmarino, fiocchi rossi e latte di alte cime concentrato in una fetta di parmigiano stagionato.

Il Canto è un opuscolo illustrato, stampato in proprio da Scabia, che quest’anno, esattamente quarantadue anni dopo, mi ha chiesto di leggere con lui. Lui sarà il Cavaliere e altre voci. Io il magico, parlante volante cavalllo Benenghèli, chiamato proprio come l’autore immaginario del manoscritto del Don Chisciotte. Versi poetici dialogati e immagini, disegnate da Riccardo Fattori. È una piccola grande opera di poesia, di teatro e di auguri. Un dono, il rinnovare il modo segreto, non esibito, un legame che dura, appunto, da quarantadue anni.

 

Marmoreto di Busana, Scabia e Marino Notari; ph. Maurizio Conca

 

Teatro del Gorilla

 

In questi paesi sotto il Passo del Cerreto, Ramiseto, Fornolo, Succiso, Cervarezza, Talada, Busana e Marmoreto, Vaglie, Cinquecerri, Ligonchio, Caprile, Costa de Grassi di Castelnuovo Monti, si svolse l’avventura del Gorilla Quadrumàno nel maggio del 1974, un antico spettacolo di stalla interpretato da un gruppo di studenti universitari. Era usato come sonda per capire cosa c’era fuori dalle mura dell’università, per indagare la cultura prodotta dal basso, con una domanda su come si poteva continuare a creare, inventare, stare insieme senza adeguarsi a modelli dominanti guidati dal consumismo e dal consumo, di merci, di modi di essere, dell’ambiente che avevamo ereditato. Eravamo su una delle tante soglie della trasformazione dell’immaginario e della realtà dell’Italia, pienamente in quella che Pasolini stava chiamando “mutazione antropologica”. Quel viaggio fu una scoperta di tradizioni, come il canto dell’ottava rima, come il maggio drammatico, rappresentazioni che facevano gli abitanti di quelle montagne trasformandosi in antichi cavalieri e cantandone e agendone le gesta epiche con corazze di latta e antichi elmi di pompiere. Ma fu soprattutto una scoperta di paesaggi umani, già devastati dalla povertà e dall’emigrazione, orgogliosi di un passato che era stato anche lotta ai nazifascisti. Trovammo un poema dall’andamento tassiano sulla Resistenza in quelle valli, la Vera storia di Amilcare Vegeti, merciaio ambulante. Trovammo giovani e meno giovani che si interrogavano sullo sviluppo diseguale, che svuotava la montagna, che cambiava, travolgeva. Incontrammo Minghín e la sua famiglia, soprattutto allora Sveno dagli occhi di cielo e dalle mani da muratore che correvano agili sui tasti della fisarmonica in un prato sotto il suo monte Ventasso.

 

Il poeta Dante con cavaliere e cavallo benegheli; ph. Castorp

 

Fu per i venti studenti davvero (come scrisse Scabia) un “Viaggio verso le radici profonde di una cultura – la nostra, quella di chi ci sta accanto, quella che non conosciamo –: come itinerario verso le radici del nostro io e dell’ambiente dentro cui ci muoviamo”. Io e mondo, i poli in tensione di questo teatro dilatato, a partecipazione (scusate la rima, ma con Scabia e con i ricordi può scappare).

Nel dicembre di quel 1974 uscì da Feltrinelli il libro che raccontava quello spettacolo su un palcoscenico di 2.400 chilometri quadrati e dieci e più paesi, Il gorilla quadrumàno. Nel dicembre, poco prima di Natale, lo portammo nei luoghi che avevamo visitato in primavera sull’Appennino come dono, con una canzone di questua che avevamo imparato da quelle parti, con musiche e con letture. Prima della presentazione, a Busana, andammo anche a spegnere un incendio, guidati dai vigili del fuoco, su un pendio dove si scivolava tra pungenti ricci di castagne. La serata fu una festa, un ritrovarsi o forse, dopo quel primo in fondo veloce contatto di maggio, un trovarsi.

La vita della compagnia, più volte narrata anche su Doppiozero, poi continuò, finì, ognuno di noi prese una sua strada. Scabia conservò però l’abitudine di andare a trovare la gente di quei paesi. Ci raccontava, negli anni, come fosse nato un gruppo che tornava a cantare le ottave, a fare i balli di un tempo, a incontrarsi, a fare cultura attiva, a progettare possibilità di futuro per quella montagna.

 

 

Teatro del dono

 

Dal 1976 iniziò il suo teatro segreto, sotto nessun riflettore se non quelli dell’amicizia , del piacere dell’incontro, dello sguardo, del gioco. Andava intorno a Natale, ogni anno con un’opera, un canto diverso di auguri, basato sull’antica struttura dell’avvento del nuovo anno, spesso annunciato da presagi, da pensieri, da lotte con il vecchio per affermare la necessità della fioritura dell’anno bambino. Si faceva accompagnare da amici incontrati in altri luoghi, in diversi interventi teatrali, a lungo dai ragazzi della Briglia, un paese dalle parti di Vaiano in Toscana, un altro gruppo “di base” come quello di Busana e Marmoreto, formato da studenti e da gente che lavorava, uniti dalla voglia di stare insieme per comunicare, per scoprire paesaggi antichi e venienti.

 

Dopo la lettura; ph. Castorp

 

Teatro segreto, teatro del dono: quello in cui si esce semplicemente da se stessi per incontrare. Con mezzi elementari, carta stoffa cartapesta corone dorate di niente mantelli di fuoco o di stelle sorrisi che sanno l’incrinatura del mondo, che cercano di vedere nelle trasformazioni personali e sociali, che scrutano perfino nel divenire del mondo infinitesimale delle molecole e in quello siderale dell’universo. Siamo lanciati, cavalli e cavalieri, in un viaggio detto vita che sembra breve ma è composto dalla polvere delle ere, dal lampeggiante divenire della materia che si fa spiriti.

 

  La casa della sera; ph. Castorp

 

Dono: arrivare con qualcosa di immateriale, poesia, teatro, voglia di incontrare, di cantare insieme, di danzare, e ripartire con le parole, gli sguardi dell’incontro, l’amicizia, la storia delle generazioni, Sveno che muore e lascia il suo “sopramondo”, un libro segreto di poesie, i nipoti che arrivano da Milano, Laura che oggi canta e che è stata assessore di Reggio Emilia, che ha scritto un libro bellissimo su quell’attrice popolare, agitatrice politica, che fu Lucia Sarzi, un’epopea dell’antica Italia intorno ai fratelli Cervi e alle trasformazioni del paese e del teatro (anche di questo abbiamo già raccontato su Doppiozero).

Forse non c’è molto altro da rivelare di questi incontri davanti a un camino, con il vecchio capo partigiano Giacomo Notari, ex presidente Anpi di Reggio, oltre la pietra di Bismantova, sasso che sembra ergersi nella pianura, cantato dal poeta Dante nella Commedia. E appare anche lui, l’Alighieri, quest’anno, nel Canto della vita indistruttibile, invincibile nonostante le guerre, le stragi, le morti, le fiamme, la distruzione della natura, e con Cavaliere e Cavallo va, il sommo poeta, a salutare l’anno nuovo esaltando la zoe, la vita appunto che scorre e mai finisce, con animali, cavalieri della Tavola Rotonda, Minghín, Sveno e mille altri, in attesa del bambino nato dal seme, ossia l’anno nuovo, che conclude il Canto con queste parole:

 

DICE SVENO

Laggiù è la casa della sera,

il fuoco è acceso:

dall’albero di ginepro

pendono arance e noci.

 

Ora tutti, chi volando, chi cavallando, si avviano verso la casa della sera. È appena passata la mezzanotte.

 

DICE IL BAMBINO NATO DAL SEME, OSSIA L’ANNO NUOVO

 

Chissà cosa sta succedendo nel mondo.

Chi siete, uomini, bestie, alberi, insetti, virus, batteri?

Dove mi portate?

Dove andiamo?

 

Forse non c’è molto altro da rivelare di questo teatro segreto. Forse basta scorrere i titoli delle operine portate a Busana e Marmoreto dal 1976, dal 1999/2000 entrate nel ciclo del Teatro Vagante di Giuliano Scabia (sei si possono leggere in Canti del guardare lontano, Einaudi2012):

 

Noi siamo di Toscana (1976)

Operina dei 12 mesi

Operina delle quattro stagioni (con Aldo Sisillo, Stefano Barnaba, il Mago Bustrik e Manuela Parigi)

Ballata dell’addio dell’Anno Vecchio

Canto dell’uomo selvatico

I nostri incontri

(qui c’è un salto di quasi dieci anni)

Contrasto dell’Anno Vecchio e dell’Anno Nuovo (1991/1992)

Nascita dell’Anno Nuovo dalla pancia dell’Anno Vecchio (1992/1993)

Contrasto pensoso dell’Anno Vecchio con l’Anno Nuovo (1993/1994 o 1994/1995)

Contrasto del vento impetuoso (1995/1996)

Operina delle bestie (1996/1997)

Operina del nuovo mondo (1997/1998)

Contrasto del tassocane e del tassoporcello sul mutamento (1998/1999)

Contrasto dei millenni e dell’umanità (1999/2000)

Operina forsennata (2000/2001)

Operina del cervo e dell’aurora (2001/2002)

Operina del tempo perturbato (2002/2003)

Opera del Sole sfolgorante (2003/2004)

Opera delle anime (2004/2005)

Canto del vento magistrale (2006)

Canto del guardare lontano (2007)

Canto dell’anno che verrà (2008)

Canto del mormorio (2009)

Canto del dio Amore (2010)

Canto della materia oscura (2011)

Veglia di cavalieri (2012)

Canto del murator su un foglio chino (2013)

Il re del mondo (2014)

Canto del drago celeste e misterioso (2015)

Canto della vita indistruttibile (2016)

 

Scabia e cantastorie gorilla; ph. Castorp

 

Teatro della mente

 

Teatro di poesia, teatro che cerca di guardare oltre ciò che appare, oltre lo spettacolo, la vita come sembra essere, di lato, dentro, a fondo, sopra... Poesia che nella voce, nel ritmo del passo nel mondo, nell’apparizione davanti a altri si realizza. Pietra di Bismantova, stelle, comete, microbi, vita nell’epoca postindustriale e postmateriale e favole in testi che hanno bisogno della voce e del suo trasduttore, il corpo. Che necessitano degli sguardi per realizzarsi.

 

Le operine di auguri; ph. Castorp

 

Teatro del dono: recentissima è l’uscita, dall’editore Le farfalle di Valverde di Catania di un libretto di poesie di Scabia, Canti brevi. Ognuna è dedicata, ha un destinatario, è un regalo di parole che non chiede in cambio se non il fiato della lettura ad alta voce. Perché la poesia di Scabia è alito, è corpo, è incontro, è gesto, il gestus brechtiano che rappresenta e modifica l’ambiente sociale in cui nasce. E Brecht è un autore tanto studiato in gioventù da questo rivoluzionario del teatro, Scabia, sempre lui, uno dei padri della ricerca, sbalzato dal moderno nel postmoderno e oltre attraverso lo sprofondamento nel premoderno. Dall’avanguardia anni ’60, dalla collaborazione con Luigi Nono, da Brecht, dal Convegno di Ivrea sul Nuovo teatro, dal teatro politico che diventa teatro dilatato, a partecipazione, – attraverso lo sprofondamento nel premoderno, nell’epica, nelle tradizioni popolari, nei racconti faccia a faccia, davanti al fuoco – proiettato nel postmoderno con il recupero della narrazione con una cifra tutta particolare, raffinatissima, orale, corporale, elementale (“postcontemproanea”? oltre tutte le etichette, gli schieramenti, le mosse previste e prevedibili?).

 

Così iniziano i Canti brevi, con una dedica-dono a Sandro Penna

 

Sto sulla soglia pronto

a indossar la notte: ma

che maschera verrà stanotte

a indossare me?

 

Maschere. Fiati. Corpi mossi dalle parole e che le parole muovono: “[…] San Giovanni l’aveva scritto che il Logos si è fatto carne: è un concetto che viene dal pensiero greco, dagli stoici. Il testo greco parla proprio di sarx, che è materia vivente, tutta legata. Sarx è carne, è il vivente, è ciò che è interconnesso. È il Logos la cui radice è -leg , che vuol dire legame. Tutto ciò che si lega è Logos, compresa l’unione tra elio e idrogeno che dà origine all’universo. Questo è il Logos: non è il Verbo, che non vuol dire nulla questa parola, messa lì così… Non si parla del linguaggio, ma della struttura dell’essere”, dice Scabia in una bella intervista contenuta nel libro di Isabella Maria, Un altro presente (Edt, 2016). Con una rivelazione sul suo Teatro Vagante, ciclo che contiene ormai più di novanta testi di forma e durata varia, compresi i Canti di auguri a Busana e Marmoreto: “È un viaggio di decifrazione: a volte il Teatro Vagante è un gruppo di dieci persone, a volte cinque, a volte sono due, a volte uno solo. È un edificio, è una barca, è una culla, è una grotta, è un carro, è un albero. È corpi e oggetti, è un luogo per andare a vedere o per mostrare o per riflettere sulla mente: in realtà il vagare è un viaggio dentro la mente – perché la mente è un teatro. Ed è scrittura, sempre. Tra scrittura per il teatro, poesia e narrazione non faccio differenza”. È un appassionato tragitto di conoscenza e gioia dentro l’umano che abita le profondità del mondo, della mente, dell’universo.

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