Saga. Il canto dei canti

13 Giugno 2013

In una manciata di millenni l'uomo ha costruito la propria storia, l'ha voluta Civiltà;
ha sviluppato la propria dimensione psichica e comportamentale avvalendosi della complicità
di un animale che facendosi cavalcatura ne ha potenziato le doti fisiche:
l'ha fatto più alto, più veloce, più potente:
l'ha fatto cavaliere.
Una linea di frattura ha diviso l'umanità che ha potuto fare affidamento sui cavalli da quella che ha dovuto farne a meno. Cavalcare ha modificato la forma mentale dell'uomo e l'Era delle Macchine non è che lo stadio terminale di uno sviluppo abbastanza cosciente da siglare cavallo\vapore l'unità di misura della potenza meccanica.
Era ieri e sembra preistoria.
Un buco nero da cui affiora il vuoto.

 

Come pestilenza un anonimo delirio da contatto per connessione copia e incolla, scarica e  mixa, propaganda un vuoto di esperienza e conoscenza stipato di notizie ed intimità esibite. Digitare.
Invio.
Ai cavalli è rimasta la dimensione sportiva, l'agonismo sfrenato, la selezione genetica; una funzione alimentare sempre più osteggiata ma che permette la sopravvivenza di tipologie e razze altrimenti scomparse o in via di estinzione.
Quanti e quali disagi dovrà curare l'ippoterapia?

 

Un teatro barbarico, sodalizio di uomini cavalli e montagne, è ardua impresa. Doverosa per la salvaguardia di una condizione umana non riducibile ad uno schermo sia pure tridimensionale, fragrante e pieghevole.
Necessaria anche se destinata al fallimento.
Dei cavalli è la bellezza delle forme e nel movimento. La storia dell'Arte lo dimostra e la Letteratura certifica complessità e complicità del sodalizio uomo cavallo.
I nostri cavalli sono Maremmani e cavalli d'Appennino: cavalli da lavoro, da basto, da sella , da slitta; residuali di ondate barbariche migratorie, incroci da rimonte militari e, adesso, materiale inconsapevole per progetti di salvaguardia tesi a un miglioramento che li sta estinguendo o mostrificando .
Se li perdessimo ci negheremmo alla memoria che possiede valenze futuribili, impoverendo i nostri giorni.
I nostri cavalli sono specchio in cui rimirarci, uno sguardo di luci ed ombre. Il nostro teatro è racconto, visione, musica e canto, doma e monta tradizionali; barbarico per definizione tende all'epica, vive nella luce del sole scegliendo l'imbrunire e mentre calano le tenebre accende quel fuoco da cui tutto è cominciato.    

 

Appennino Tosco Emiliano, 11 giugno 2013

 

 

Un anno dopo il debutto, banco di prova della folle impresa: SAGA, il canto dei Canti torna in città, la sua città: Reggio Emilia. Imperitura riconoscenza all’Ass. Spadoni ed al Sindaco Del Rio per averci dato credito in tempi difficili, contro ogni convenienza politica e culturale.
I Chiostri benedettini  di San Pietro sarebbero, ora ne siamo certi, la dimora urbana perfetta del nostro teatro; che sia un sogno impossibile nulla toglie alla meraviglia, la grazia, di essere qui per la seconda volta. Proprio il grande Chiostro cinquecentesco, irrisolto nella sua destinazione alle necessità claustrali, risponde in pieno ad una vocazione scenica, teatrale, che il successivo riutilizzo -abbassando la linea terra in funzione di deposito automezzi- ci consegna come la più spettacolare cavallerizza  del postmoderno. Che nessuno lo sappia è ovvio: nessuno, tranne noi, necessita di una cavallerizza nell’anno di grazia 2013.

 

Uno straordinario artificio scenico, uno squadrato appiombo di vuoti e pieni a cielo aperto; tre fasce orizzontali sovrapposte, stilisticamente discordanti per uno sviluppo verticale. La razionalità umanistica è già incrinata nella progettazione ma, cinquecento anni dopo, nella potenza animale esibita fuori tempo massimo, se non la propria destinazione certo trova una propria  magnificenza d’uso. Bassofondo e centrale il palcoscenico aperto sui quattro lati; il pubblico (consigliata una postura atta al contesto, ripassare la pittura italiana fino al ‘400, fare tesoro dei Macchiaioli) non costretto all’immobilità di un posto assegnato ma accomodato secondo il proprio agio, deambulante, sotto gli archi e tra i pilastri aggregati delle logge rinascimentali, o meraviglia! affacciato alle finestre binate del piano alto intervallate da nicchie in cui i Santi benedettini  plasticamente devoti  sembrano in attesa di un teletrasporto  e la michelangiolesca cupola di piombo sovrastante non è che estrema propaggine dell’astronave stellare che, dall’alto dei cieli, tarda a recuperarli.
Evocare un futuro, non rievocare il passato: è la ragion d’essere di SAGA, il canto dei Canti; ed è la lezione di storia che ci consegnano i Chiostri benedettini di San Pietro.

 

Un’opera equestre nata e cresciuta sul crinale tosco emiliano, un pugno di borghi spopolati: agonia di una civiltà, dissoluzione di un paesaggio storico e culturale, sgretolarsi di un territorio.
Una libera compagnia: tre residenti e un pugno di amici, sedici cavalli a crescere, montagne fin quante ne vuoi a praticare un teatro contemporaneo anomalo per collocazione geografica, stilistica, culturale. Fonda la propria disciplina sull’arte equestre ma la pratica con i cavalli della propria tradizione considerati inadatti a tale utilizzo per indole e temperamento; sceglie la luce naturale per illuminare lo spazio scenico e usa la potenza evocativa della parola, suono e senso, per farne canto epico rifuggendo psicologia e sociologia, impegno e denuncia; usa la musica, componendola, per sostenere ed amplificare un racconto che affiora dai millenni.
Dal fiorire dell’abbandono. Oggi, qui.
Far fiorire l'abbandono.
 

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