Cuocolo/Bosetti, il teatro della porta accanto

19 Marzo 2015

La poesia è riconoscere una voce che gli altri non sentono. Continua anche se ti fermi, ti raggiunge ovunque guardi. Roberta Bosetti, con il tono di un soffio di vento, calma e serena, ci legge in cuffia Emily Dickinson e Pistoia e il mondo sono qualcosa di magico, da cogliere nel suo movimento. La parola è tutt’uno con il segreto, che sentiamo nostro, come se anche noi l’avessimo potuto dire. Sfiliamo in processione e la città, che non ha orecchie, ci guarda e non capisce. Dei ragazzini si avvicinano, si fanno il segno della croce, ridono e scappano via. Se è religione, rito, celebra l’uomo, non Dio. Il silenzio di quel gruppo in ascolto di visioni quotidiane non è vita dopo la morte, è vita durante la vita.

 

La Serata Dickinson, in scia con i radio-walkshow di Carlo Infante, ha inaugurato il mese di febbraio dedicato dal Funaro alla compagnia italo-australiana Iraa Theatre di Renato Cuocolo, regista, e Roberta Bosetti, attrice. Si sono poi succeduti gli spettacoli The Secret Room, MM&M, in anteprima, in forma di studio, esito della residenza artistica nel Centro Culturale pistoiese, e un laboratorio dal titolo Teatro e domesticità. Infatti, Cuocolo/Bosetti sono tra i primi ad aver scorto nella casa l’attitudine a diventare scena teatrale, incardinandosi nel confine fra intimo e urbano, privato e pubblico.

 

MM&M, ph. Antonella Carrara

 

Nella Serata Dickinson quel confine ce lo portiamo addosso, tra l’udito chiuso dalle cuffie e la vista aperta a strade, piazze, monumenti. Non vi è distinzione essenziale fra recitazione e dire, il cammino scopre sotto una nuova luce quel che è davanti agli occhi di tutti. Considerare il mondo come se nessuno l’avesse guardato prima. «Questo era un poeta – colui che distilla un senso stupefacente da significati ordinari». Le poesie di Emily Dickinson erano lettere private per raccontare alle persone care quel che le stava a cuore, messaggi in bottiglia e speranza (solo alla sua morte la sorella Lavinia scoprì nella sua camera una scatola contente il grosso dell’opera poetica e lo fece pubblicare). Non hanno titoli, ma numeri: quella citata sopra è la 448 e coglie sul nascere il passaggio dall’ordinario al sorprendente, in tutta la sua ambiguità, complessità e anche felicità. Un’esperienza sospesa come la fine della Serata Dickinson, quando ormai il nostro peregrinare per Pistoia è tornato là dove era partito, al Funaro. Gli applausi c’erano già stati: i passi dietro a Bosetti. In quel momento è avvenuto uno schianto del teatro con il fuori dal teatro, di ciò che non è familiare nel familiare, e poi l’immobilità di quando non sai se il tempo continuerà come prima.

 

Durante i saluti di The Secret Room, invece, si è schiantato per terra il mio cellulare. I numeri, tutti i miei numeri, un piano più sotto, a faccia in giù, arresi all’evidenza del caso e della gravità. «Qualcosa doveva succedere», bofonchio tra il trafelato e l’intimorito, prima di fiondarmi a vedere se funziona ancora (sì, grazie a Steve Jobs). A tavola Roberta Bosetti ci aveva avvertito: «Stasera non succederà niente di ciò che vi aspettate». Lei, però, intendeva lo spettacolo tradizionale, la mediazione della biglietteria o del foyer, la separazione tra platea e palcoscenico.

 

The Secret Room è il lavoro che ha cambiato la vita a Cuocolo/Bosetti. I due si conoscono e innamorano nell’estate ’96, alla prima edizione del Festival delle Colline Torinesi. Renato Cuocolo è arrivato dall’Australia per mettere in scena Agamennone di Eschilo e Roberta Bosetti, che ha già lavorato con Strehler, Tiezzi, Valter Malosti, interpreta Clitemnestra. A fine estate lei, che è di Vercelli, va in Australia con lui, che è genovese e nel 1978 ha fondato, nell’ospedale psichiatrico di Trieste diretto da Franco Basaglia, il Teatro dell’Ira, diventato Iraa Theatre una volta emigrato a Melbourne (nel 2012 sono tornati stabilmente in Italia, a casa di lei). Dal 2000 The Secret Room ha avuto 1629 repliche in 26 paesi nel mondo, vinto numerosi premi internazionali, e fatto diventare Cuocolo/Bosetti la principale compagnia australiana d’innovazione (‘flag company’, ‘compagnia di bandiera’).

 

Renato Cuocolo, Roberta Bosetti

 

Una donna, una casa, una cena di presenze sconosciute. Roberta Bosetti ci aspetta al numero 28 di via San Marco. Arrivo seguendo una mappa che mi consegnano al Funaro. Suono al citofono, la protagonista apre, la relazione è diretta. «Buonasera, prego, lasci qui il cappotto». Nella casa ci sono altre otto persone: una giovane coppia, due donne sole, un’anziana traduttrice, Massimiliano Barbini, responsabile della biblioteca del Centro Culturale pistoiese, che già conosco, Stefano e sua moglie, da Monsummano Terme, provincia di Pistoia. Stefano ha 60 anni, un passato da cameriere in un ristorante al Nord e un presente a «guardare la madre ché sta poco bene». Sa perché è qui, è il regalo di San Valentino della moglie, ma non sa dove si trova né cosa lo aspetta.

 

Bosetti ci fa vedere la registrazione di una recita di bambini in cui fa la Bella addormentata, a tavola, mentre mangiamo pasta e pesce finto (patate, tonno e maionese) ci racconta della sua anoressia, ci mostra le foto delle vacanze, i quaderni, i libri e poi, infine, anche il copione della serata. The Secret Room è un invito costante a riconsiderare i limiti tra performance e realtà, arte e vita, finzione e autobiografia, ma lo spettacolo lo facciamo noi, è l’imbarazzato di non sapere cosa dire, di non avere niente da dire a dei perfetti estranei, è Stefano, l’unico a uscire dall’anonimato, perché ha una storia da raccontare. Solitamente lo spettatore fa lo spettatore, nella casa di Cuocolo/Bosetti, invece, è portato a trovarsi un posto, un ruolo: diventare il personaggio di se stesso. Bosetti, invece, fa il percorso inverso, dentro il personaggio della padrona di casa cerca la sua storia: magari dice il vero, ma non ‘appare’ vera, perché quando parla di sé cambia sguardo e tono, diventa l’attrice che recita, poi riprende la cena, normalmente, come se quel racconto fosse una parentesi, un raptus, un abbaglio. Non è se stessa, è la volontà di sé.

 

«Fra le varie possibilità date allo spettatore, in effetti, c’è anche quella che dice te.»

 

Raggiungo al telefono Renato Cuocolo al ritorno nella casa di Vercelli. Per capire quale evento c’è dietro la parola di Cuocolo/Bosetti.

«Il ruolo non è solo nell’attore, è nella vita. In The Secret Room sei costretto a interrogarti sulla tua posizione, a riflettere sulla necessità e la voglia di acquistare un ruolo.»

 

Roberta Bosetti

 

Sembrava che i portatori di realtà fossimo noi che avevamo adattato il nostro ruolo alla situazione, piuttosto che Roberta Bosetti che aveva un copione ad hoc.

«In tutto il teatro esiste la sovrapposizione tra realtà e finzione. Certo, quando il personaggio è Roberta Bosetti interpretata da Roberta Bosetti, cioè un’attrice che recita se stessa, il confine diventa ancora più labile. Noi pensiamo che il teatro sia un’arte contaminata dalla vita (l’attore, lo spazio, sono elementi vitali), dalla morte, perché il teatro sparisce nel momento in cui lo fai, e poi è contaminato dalla casualità, cioè dallo spettatore. In The Secret Room ogni sera il pubblico ha un ruolo attivo, influenza lo spettacolo, lo mantiene vivo. Per questo siamo arrivati a 1629 repliche.»

 

Quindi anche la caduta del mio cellulare ha fatto parte dello spettacolo. La casa, noi che ascoltiamo, è la situazione che dà il contesto di verità. Come entra in tutto questo il copione?

«Roberta rimane sempre sul crinale, le cose che dice hanno lo stesso peso di realtà e di finzione. In fase di scrittura bisogna cercare di evitare il più possibile la letterarietà, calare le emozioni in linguaggio quasi quotidiano. A casa abbiamo il vaso delle frasi belle: le frasi che ci sembrano molto belle, ma che capiamo che non sono adatte agli spettacoli, le tagliamo e le mettiamo lì dentro. È un lavoro molto particolare, sul testo, ma anche sulla recitazione, sull’individuazione del luogo esatto per il tema di cui vogliamo parlare. La partenza è sempre l’autobiografia, intesa però non come ricerca di una nostra singolarità, ma in quanto comprensione che la nostra vita è simile a quella di tutti gli altri.»

 

È quasi un thriller, in cui si sovrappone e si scontra la realtà esterna dell’omicidio e il discorso interiore dell’assassino che non vuole essere scoperto.

«Un altro elemento che ci caratterizza è il perturbante. Ciò che non è addomesticabile nella domesticità. Non a caso il primo a parlarne fu Freud in un saggio sulla casa. Il perturbante appartiene al racconto giallo, come dici te. L’assassinio, forse, è proprio quello del rapporto realtà/finzione.»

 

Cuocolo/Bosetti trovano dunque spazio all’interno del discorso quotidiano, una colloquialità controllata che apre i sensi di segni. Incorniciare il flusso della realtà per fissarlo teatralmente e svelarne il capolavoro e la beffa. Sentire e vedere per tutti dal loro osservatorio angolato eppure centrale. Del resto, sono gli angoli che tengono in piedi la casa.

 

Il 9 aprile a Firenze, al Teatro Cantiere Florida, all’interno della rassegna Materia Prima a cura di Murmuris Teatro, si potranno vedere Cuocolo/Bosetti in The Walk.

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