Marina di Acate / Paesi e città

29 Aprile 2011

Queste immagini vanno intese come una frase di un racconto visivo, scritto a più mani, che comincia in mezzo ai campi delle campagne urbanizzate vicino a Latina e termina di fronte ad una fila di case costruite a pochi passi dal mare, nei paraggi di Crotone.

 

Sono quel che resta di una serie di esplorazioni condotte in tutto il centro-Sud, qualche anno fa, durante le quali mi sono interrogato assieme ad un piccolo gruppo di amici studiosi e fotografi sulla possibilità e sul senso di produrre un’immagine non soltanto aggiornata, ma progettualmente fertile, dei paesaggi prodotti dalla crescita urbana abusiva nel nostro paese.

 

Stefano Graziani è venuto con me a Marina di Acate un giorno di fine estate. Marina di Acate è un piccolo centro cresciuto abusivamente tra il mare e le serre negli anni Settanta, nascosto dietro le dune dei Macconi, tra Gela e Ragusa. Poche centinaia di case estive dove passare la stagione calda, muovendosi dal comune più cittadino che resta a pochi chilometri di distanza. Un posto come ce ne sono tanti lungo tutti i litorali del Mezzogiorno. E, come tanti di questi posti, oggi la Marina è meno frequentata di un tempo, la manutenzione delle case si fa meno di frequente e, poco visibili ma diffuse, si notano le tracce di una riabitazione stanziale da parte dei braccianti clandestini che lavorano sotto le serre, nel distretto agricolo tutto attorno.

 

Nel chiederci cosa valesse la pena guardare, ci ha colpito l’incompiutezza permanente, il senso di attesa di una dimensione finita che non arriverà più. La cura e gli usi che si ritraggono, la natura che fa il suo corso sulle architetture. Graziani dà sempre le spalle al mare e si muove sulla spiaggia, guarda la sabbia che copre le strade, la vegetazione che invade i giardini, i muri mangiati dalla salsedine, non c’è nessuno.

 

Non intendevamo svelare niente di nascosto o invisibile, né sovrapporre alle icone della “speculazione”, della “necessità” o dell’“ecomostro”, un’ennesima figura sintetica per etichettare la città abusiva. Piuttosto volevamo mostrare delle evidenze, e renderle comprensibili.

 

Solo un’ipotesi di diversa descrizione, un primo materiale interrogativo – oggi mancante, necessario, oggi che questa città appare solo in prima pagina come scena della tragedia, quando una slavina di fango travolge case che stanno dove non dovrebbero essere – per riavviare un dibattito che non offre al momento nessun tipo di conclusione, se non quella di porre con più evidenza la grande incertezza che questi territori avvertono riguardo al proprio futuro, e il loro urgente bisogno di progetto.

 

Federico Zanfi, autore di Città latenti. Un progetto per l’Italia abusiva (Bruno Mondadori, 2008)

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