Speciale

La Fontanella della Cavanella

7 Giugno 2011

Si trovava vicino al greto del fiume Magra a Villafranca Lunigiana. Sgorgava in continuazione dal terreno del podere della “Cavanella”, da un semplice tubo di ferro inserito nella parete rocciosa. Un getto d’acqua limpida, cristallina, sempre gelata, che finiva in un “bozo” che a sua volta scivolava dentro a un ruscelletto allegro e disordinato per scorrere veloce fra pietre ricoperte di muschio, d’erbacce e di felci ai margini fra il capelvenere. A godersi l'umidità, rospi, rane e girini. Tra le foglie della vegetazione arborea filtravano i raggi del sole creando sull’acqua una tavolozza con tutti i riflessi argentei immaginabili, l’aria era satura di magia. Le sere d’estate i bambini più piccoli venivano mandati a riempire i fiaschi di quell’acqua pura e i morosi, con la scusa di bere, si fermavano a pomiciare.

 

Avevo poco più di sei anni, come tutti i bambini del paese frequentavo le Suore. Nel mese d’agosto ci portavano al fiume e la tappa alla Fontanella era inevitabile. In fila bere a turno, a gogo o sul palmo, per poi scatenarci tutti dentro il ruscello, cadere sulle pietre, bagnarci ridendo e giocando con una sensazione di libertà che solo quell'acqua gelida sapeva dare, e poi asciugarci sotto i cespugli di ginestre fiorite e consumare la nostra merenda.

Nel podere si trovava anche la grande casa dei contadini, sotto stavano le stalle e una lunga scala di pietra portava al primo piano, alla loggia e nella “sala”. Lì, su un tavolone di legno, erano sempre esposti formaggi, ricotte, frutta e un grande secchio di latte sempre tiepido, appena munto, con un mestolo si poteva versarlo e berne a volontà.

 

Una sera tornando dalla Fontanella, vedo sulla porta della stalla un grande cartello con la scritta “Monta Taurina Pubblica” (!??). Monta per me in dialetto voleva dire salire... non riuscivo a capire come facessero i tori a salire quelle scale tanto ripide. Neanche i miei compagni furono in grado di darmi una risposta, chiesi a Sur Tarcisia ma la sua espressione non fece che aumentare la mia curiosità.

Arrivata a casa interpellai Casimiro, lui non mi lasciava mai nelle incertezze! Mi portò a sedere sotto il pergolato di uva bacò: “...Cica, tutti noi quando veniamo al mondo apparteniamo ad un segno...” (ve la faccio corta!). Ma lui andò così per le lunghe con l’astrologia che ancor oggi mi complimento per come riuscì a sviare la mia curiosità giocando sulla mia vanità. Appartenere al segno del Toro m’aveva fatto sentire più importante del Papa, cioè uno che usciva solo se era seduto sulla sua portantina d’oro. Secondo Casimiro, tutte le magnifiche persone nate nel segno del Toro potevano montare i gradini, bere il latte e prendere tutte le buone cose che stavano sulla tavola.

 

Ora la Cavanella non c’è più. Casimiro ha montato tanti scalini per arrivare dov’è, ma credo abbia ottenuto il dono dell’ubiquità perché mi è sempre vicino per ricordarmi che la vita scorre veloce come l’acqua e che bisogna starci dentro con spensieratezza, allegria, amore... è la cosa più bella che possediamo.

 

Oggi mi chiedo… ma il Toro nella stalla a disposizione della monta? dove sarà finito?!

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