Speciale Docucity | Décryptage banlieue

8 Maggio 2013

Una serie di condomini tutti uguali, macchie di colore biancastro che spiccano nella grigia uniformità delle immagini televisive del 1960. Uno speaker descrive questi grandi complessi (ma subito si corregge: "città-dormitorio"), progettati per accogliere famiglie con bambini in fuga dalla caotica vita cittadina. "Ce ne sono in tutto il mondo", continua la voce over, sottolineando come sociologi e urbanisti dedichino al fenomeno saggi e congressi. Infine conclude: “Questi complessi sono un male necessario o un nuovo aspetto del piacere di vivere? Spetterà a questi bambini rispondere, fra qualche anno”.

 

 

2007. Altro servizio televisivo, questa volta a colori: il blu dei lampeggianti e delle divise della polizia, il giallo dei neon e delle auto in fiamme rende ancora più forte il contrasto con l'ovattata compostezza delle riprese aeree di quarant'anni prima. In questo caso, è una voce femminile a spiegare le immagini con  enfasi a malapena trattenuta: un centinaio di giovani abitanti di Villiers-Le_Bel, una delle città-dormitorio alle porte di Parigi, si sono scontrati con la polizia (“La comunità vive la sua seconda notte di violenza” precisa la voce). In sottofondo, il frastuono delle sirene sostituisce il rombo dell'elicottero.

 

È su queste sgranate immagini televisive che si apre l'informatissimo documentario di Luca Galassi, che nell'estate del 2010, a pochi anni di distanza dagli scontri fra abitanti dei quartieri e polizia, si è recato in quelle  banlieues (Bobigny, Saint Denis, Nanterre, La Courneuve, la stessa Villiers-Le-Bel) per farne parlare i residenti e per descriverne la vita quotidiana, colpevolmente ignorata dallo Stato, il quale, dopo il fallito progetto di “rilancio” delle periferie (il piano “Espoir Banlieues”), ha preferito continuare nell'attuazione di una politica repressiva, “ingabbiando” dal 2007 i quartieri con una massiccia presenza di forze dell'ordine - “come se fosse un territorio occupato”, protestano gli abitanti.

 

 

Spesso desiderosi di fuggire, ma al contempo orgogliosi del luogo in cui sono nati e cresciuti, sono soprattutto i giovani (dai trent'anni in giù) a prendere la parola, per smentire con convinzione il ritratto che i media (governativi) hanno dato e continuano a dare di loro.

 

La televisione, non a caso presente nel film fin dall'inizio, viene percepita come una forza falsificatrice, che con la propria visione delle vicende del 2005-2007 ha contribuito a rinforzare il  senso di diffidenza e disprezzo nei confronti degli abitanti delle periferie: ragazzi che, come viene ripetuto anche nel film, hanno cinque volte meno probabilità di trovare lavoro, e che rappresentano il bersaglio ideale della discriminazione poliziesca (ma non solo). “Di dove sei veramente?” è la domanda-barriera più frequente che i parigini rivolgono a coloro che portano un nome “un po' particolare”, come Abdul o Ibrahim.

 

 

Il linguaggio mistificatorio della televisione deve essere dunque sottoposto ad un'accurata opera di decriptazione, “per subirlo un po' meno”: è quello che si è proposta di fare Christelle Evita, trentatreenne cresciuta a Villiers-Le-Bel, creando con un gruppo di persone l'associazione “Influences”, che “insegna” a non farsi trovare impreparati davanti ai cacciatori di scoop dalle idee troppo preconcette.

 

Ci sembra che questo sia anche l'obbiettivo (centrato) del documentario di Galassi: un utile strumento per non “subire” le immagini e il loro potenziale mistificatorio.

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