Speciale

La Valnerina / Paesi e città

26 Luglio 2012

Oggi è facile entrare nella Valnerina. Basta arrivare a Spoleto e inoltrarsi nella lunga galleria in direzione Norcia – e subito si respira l’aria della montagna. Ma quando avevo là una casa, per arrivarci, per respirare quest’aria, dovevo attraversare monti e passi.

 

Ero capitata lì per caso, un giorno che guidavo senza meta. Lungo le strade e i fiumi, avevo visto, in cima a una roccia scoscesa, un bellissimo paese sul quale svettava un’antica torre e vi ero salita scoprendo nuove meraviglie a ogni tornante. Arrivata in una bella piazza ho visto sul portone di un’antica casa un cartello che diceva “vendesi”. L’ho comprata al volo. Avevo appena ricevuto la liquidazione. Il paese era Cerreto di Spoleto.

La mia scoperta della Valnerina è cominciata così. Suggestiva, silenziosa, mi faceva scivolare indietro di secoli. La storia sembrava essersi fermata.

 

 

Ponte, un piccolo borgo arroccato proprio davanti a Cerreto, era la copia esatta della copertina di un mio vecchio libro di storia. Gli abitanti si contavano sulla punta delle dita, per lo più anziani e pieni di memorie.

Sono loro che mi hanno raccontato la storia della regina Ponzia, che risaliva alla seconda metà del ‘400, quando gli Aragonesi si schierarono contro il Papa e ne invasero i domini: Cerreto rimase fedele al suo spirito ghibellino mentre Ponte, antico castello fondato dai Longobardi, si schierò dalla parte della Santa Romana Chiesa.

In un mondo come quello della Valnerina, dove la storia non di rado sconfina nella leggenda, nel racconto ripetuto dei vecchi le figure reali diventano eroi della leggenda popolare: se sia o no esistita la regina Ponzia, non è dato sapere.

 

Raccontavano, però, che durante l’assedio degli Spagnoli si udiva di notte il frusciare delle sue ampie vesti lungo gli inaccessibili e scoscesi dirupi della Rocca di Ponte: era la regina, che conosceva ogni grotta e cunicolo della Rocca di Ponte, che usciva per compiere imprese valorose in difesa del suo castello. E raccontano anche che scendesse a riposarsi nel prato dietro la chiesa di San Francesco, addormentandosi al mormorio delle acque del Nera. La fantasia arricchiva senza reticenze la leggenda e le gesta della regina Ponzia: si diceva addirittura che le fosse stata affidata la custodia e la cura della chioccia dalle uova d’oro e dei suoi pulcini. Chissà…

 

Nel mio andare alla scoperta della terra del Nera, avevo saputo che c’erano anche le mummie, erano a Borgo Cerreto, in una chiesa ai piedi della roccia. Oggi si possono visitare: c’è una donna con un abito marrone perfettamente intatto e ancora i capelli in testa, abbastanza giovane. È la stessa storia dell’antica Abbazia di San Pietro in Valle a Ferentillo, nella bassa Valnerina, verso Terni, ma lì di mummie ce ne sono di più: c’è perfino una coppia di giovani cinesi. È la terra preziosa della valle che ha trattenuto e conservato gli antichi corpi.

 

 

Mi avevano poi raccontato che a Nortosce nei mesi d’inverno viveva un solo abitante, Remo. Lo andai a cercare per intervistarlo. Per raggiungerlo avevo dovuto percorrere in macchina una strada molto tortuosa, e poi in una sterrata in mezzo al bosco che finiva in un sentiero a dirupo scavato nella roccia. Remo stava lì. Gli era morta da poco la moglie Rosa, mi disse. Avevano vissuto a Roma lavorando in una norcineria e poi, alla pensione, erano tornati in Valnerina. L’inverno era gelido e la neve durava a lungo ma Remo si era organizzato con la legna: una piccola catasta dentro casa, una appena fuori, più grande, un po’ più lontana un’altra ancora e poi, ancora più in là, la riserva per l’inverno. Man mano che la prima catasta diminuiva, risistemava le altre. Per compagnia un cane e un gatto. Venivano ogni tanto a trovarlo i cacciatori di passaggio. Ma d’estate era bello!, ripeteva; arrivavano da Roma tutti quelli che se n’erano andati per lavoro ma avevano conservato casa in paese. Con loro arrivavano la vita e i racconti della Capitale: era la riserva di ricordi per l’inverno. Ho da poco saputo che anche Remo, unico a vegliare un paese senza luci, se n’è andato.

 

La Capitale, per gli abitanti della Valnerina, è stata una meta fin dai tempi più remoti: scendevano dai monti con i greggi, nel periodo della transumanza, verso il mare di Anzio e per arrivarci percorrevano, padroni, a Roma, addirittura via del Corso. E dai paesi, dai borghi, dagli antichi castelli la vita sempre più se ne andava lontano in cerca di lavoro, lasciando custodi di porte e finestre chiuse solo pochi uomini e donne che scaldavano fra di loro la propria vecchiaia.

 

Comprare un po’ di formaggio per fare due chiacchiere con il Norcino di Borgo Cerreto era abbastanza consueto. Teneva esposti, appesi fuori del negozio lungo la statale, una fila di coglioni di mulo, salami e un banchetto con i formaggi, le lenticchie e, nel giusto periodo, i tartufi: le preziose specialità della Valnerina. Si lamentava che gli affari non andavano, che bisognava aprire la galleria da Spoleto per aumentare il turismo ma che il paese e i paesani non la volevano perché altrimenti sarebbe arrivata troppa gente e loro volevano restare così com’erano. E si alterava nel parlare, e con lui i suoi lineamenti di duro e sanguigno antico norcino. Da un po’ di anni la galleria è aperta e la gente va con piacere in Valnerina: i suoi affari e quelli di tanti altri sono sicuramente migliorati.

 

Ma il problema dello spopolamento non è risolto ed anch’io ho lasciato la Valnerina.

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