Palermo / Paesi e città

29 Febbraio 2012

Nel 1995 andare allo ZEN era per noi giovani palermitani di buona famiglia, pericoloso e sconsigliato. Lì si spacciava la droga e ci portavano i motorini rubati per essere smembrati e rivenduti. Pare che li smontassero in una notte, in uno dei tanti labirintici magazzini male illuminati; sapevamo che se ti “rubbavano il motore” e lo portavano allo ZEN, non avevi nessuna possibilità di ritrovarlo e in quel periodo ne sparivano tanti.

 

 

Il suono della parola ZEN era stato per noi ragazzini delle scuole medie e superiori uno spauracchio; la fama negativa che gli si attribuiva, si alimentava col racconto delle storie che capitavano ad amici e agli amici di amici che avevano avuto a che fare con i nostri coetanei che vivevano lì e che il sabato pomeriggio venivano in centro. La cronaca dei giornali, per i motivi più gravi, faceva il resto. ZEN a Palermo è l’acronimo di Zona Espansione Nord, un quartiere ghettizzato e abbandonato dalle autorità comunali.

 

 

Blocchi di case popolari di pessima fattura, costruiti alla fine degli anni ‘60, appena fuori dal tessuto urbano. Divenuto immediatamente una delle tante zone franche del capoluogo siciliano, che sfuggono al controllo dell’amministrazione municipale.

 

Per molto tempo lasciato a se stesso nel risolvere i bisogni quotidiani di sopravvivenza; senza essere completato di fogne e altre infrastrutture fu occupato abusivamente da numerose famiglie palermitane indigenti che abbandonavano le case fatiscenti del centro storico. La criminalità instaurò il proprio controllo rendendolo un ambiente difficile e fuori legge; chi viveva lì era compromesso.

 

 

I tentativi di risollevarlo, fino ad oggi si sono rivelati insufficienti; anche chiamarlo con un altro nome: quartiere San Filippo Neri, non ha prodotto un vero risveglio culturale dell’area. Questo quartiere pare vivere oscurato dal suo malefico acronimo, infatti, il nome ZEN è usato volentieri dai giornalisti della cronaca ogni volta che lì dentro succede qualcosa di brutto o se il crimine è opera di abitanti della zona. La parola ZEN a Palermo rimane un suono tagliente.

 

 

Avevo un compagno di classe che veniva da questo quartiere, ai tempi in cui frequentavo la scuola superiore (fine anni ’80); era un ragazzo difficile, aspro e silenzioso e che faceva molte assenze. Io ne ero intimorito, mi sentivo un figlio di papà e un codardo a non poter entrare nel suo quartiere. Un giorno non venne più a scuola e finì che non ci parlai mai, ricordo i suoi lineamenti e il cognome. C’erano però anche altri compagni d’istituto che venivano dallo ZEN, studiavano con assiduità e parlavano volentieri del loro quartiere, ci dicevano che non tutti erano criminali e che certe case viste da dentro erano belle... in ogni caso in quel periodo non ebbi il coraggio di andare a farmi un giro da quelle parti.

 

 

Ci andai finalmente nel 1995, dopo che avevo vissuto alcuni anni lontano da Palermo e che l’amore e la curiosità nei confronti della mia città erano cresciuti.

 

Ho fatto queste foto, in una sola giornata passata con i bambini nati allo ZEN, gli adulti lasciavano fare guardando silenziosi e apparentemente non curanti. Cercavo negli occhi di quei bambini il mio coraggio. La forza per credere che le cose si sarebbero sistemate, che tutti loro avrebbero avuto le stesse possibilità dei bambini dei quartieri alti, di diventare cittadini di una Palermo civile.

 

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