Alberto Garlini. La legge dell’odio

19 Marzo 2012

La legge dell’odio (Einaudi, pp. 814, euro 22) è un’ombra che si allunga minacciosa su tutto il romanzo di Alberto Garlini, ne colma le pagine e le devasta sino a insinuarsi in ogni singola parola.

 

Il protagonista di questo libro è Stefano Guerra, “mezzo angelo, mezzo vipera”, un giovane che crede di trovare negli ideali del neofascismo il riscatto a tutto l’odio che porta dentro di sé.

È l’ideologia della purezza della razza, dei miti nordici, della violenza come motore di qualsiasi avvenimento, dell’azione a tutti i costi e della “bella morte”, come dicono Stefano Guerra e i suoi compari.

 

Essi sono il braccio armato, i discendenti di un fascismo gretto e nostalgico, le cui radici affondano in una miseria morale prima che materiale, che Garlini ci mostra in tutta la sua inconsistenza e in certi suoi aspetti deliranti, che, pur nella drammaticità delle conseguenze, sfiorano spesso il ridicolo.

 

Poiché tutto in questo romanzo eccede: le pagine, la retorica, persino le ipotesi come la presenza di una bomba anarchica a Piazza Fontana. Lo stesso autore ne fornisce la chiave di lettura: “L’eccedenza era oscena. L’eccedenza dovrebbe stare fuori dalla porta di casa. Invece era entrata imperiosamente, aveva comprato la casa, ed era diventata Storia. La sua storia”.

Eppure è nello spazio di quest’eccedenza che si apre uno spiraglio di riflessione: che senso ha la violenza? Quali sono le sue conseguenze? Chi davvero beneficia del terrore?

 

Non a caso l’azione si svolge tra il 1985 e il 1968. Sul banco degli imputati siede Franco Revel, capo dell’organizzazione neofascista Lotta Nazionale e membro di un’altra molto più segreta e pericolosa denominata “Arcipelago”, accusato dell’omicidio del camerata Stefano Guerra conosciuto durante gli scontri di Valle Giulia, in seguito all’involontario assassinio di uno studente di sinistra da parte del giovane.

Il resto è storia, anche se l’autore camuffa nomi ed eventi, lasciando un chiaro margine di comprensione che consente di identificare ciascuno di essi.

 

La voce narrante alla terza persona segue il protagonista per tutto il romanzo, dà forma ai suoi vaneggiamenti come ai rari istanti di incertezza. Per lui la scrittura diviene il solo luogo dove trovar pace: il giovane neofascista prima di morire redige un memoriale che fa luce sulle trame eversive a cui ha partecipato.

 

In conclusione, più che il romanzo definitivo sugli anni Settanta, come si legge sul risvolto di copertina, questo libro esplora gli effetti della violenza e quelli di un potere distante e occulto ma in grado di cambiare le sorti di un intero paese e affida ai lettori un punto di vista poco conosciuto, quello del terrorismo nero e dei suoi miti, quasi come un antidoto. Per questo è un romanzo che merita di essere letto e per questo fa riflettere.

 

Alla fine le ombre si diradano, il buio scende piano, e solo ora, con gli occhi chiusi e la gola tagliata, l’ombra di Stefano Guerra può davvero fare i conti con la legge dell’odio e i suoi fantasmi.

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