Storie del futuro / Gli immortali

3 Agosto 2019

Immortale è ciò che esiste da sempre e per sempre. Immortali sono le storie e il mondo, le cose più antiche conosciute dall’uomo. Immortale è il futuro, il quale – poiché deve ancora avvenire – si colloca in un tempo dai confini indeterminati, e quindi infinito.

Gli immortali, di Alberto Giuliani (il Saggiatore) ha come sottotitolo Storie dal mondo che verrà. È una raccolta di storie del futuro collocate in una cornice del passato. La cornice ha a che fare con una doppia profezia. La prima è stata pronunciata nel 1997 sulle rive del lago Bajkal in Siberia; la seconda due anni dopo, in India, nella città sacra di Vrindavan. Entrambe riguardavano il futuro di Giuliani; un futuro che sarebbe stato interrotto, a loro dire, da una morte prematura e violenta. 

Ma alle profezie – razionalmente – stentiamo a credere, almeno fin quando non cominciano ad avverarsi sotto i nostri occhi. Tra le profezie rivolte a Giuliani ce n’era una che riguardava una donna con cui avrebbe avuto un bambino. La profezia sosteneva che la donna sarebbe stata una sua vecchia conoscenza d’infanzia. Cosa apparentemente non vera. Senonché, un anno prima di scrivere questo libro, Giuliani scopre alcune vecchie fotografie di famiglia. In una di queste vede se stesso all’età di nove anni mentre sulle Dolomiti riceve una medaglia dal maestro di sci. Ai piedi del podio scorge, insieme ad altri bambini, quella che alcuni decenni più tardi sarebbe diventata la madre di suo figlio e che a quel tempo non conosceva. 

 

Le coincidenze hanno sempre un doppio potere, sono come le evoluzioni degli acrobati: da una parte ci attraggono, dall’altra ci spaventano. Ma lo spavento che ci provocano non è che una parte, spesso la più importante, dell’attrazione. E se in un novero di profezie una si avvera, allora devono essere prese in considerazione e temute anche tutte le altre. Ecco allora che il pensiero della morte prematura e violenta inizia a farsi largo nella mente di Giuliani. In particolare un aspetto della profezia di Vrindavan, la città dell’amore infinito e dei cinquemila templi, dove durante un viaggio compiuto all’età di ventitré anni un bramino – Mr Sharma – gli aveva predetto: “In un giorno caldo dei tuoi quarantatré anni, ti aspetta una morte violenta”. Un vaticinio durissimo al quale Mr Sharma aveva aggiunto: “Un uomo del futuro ti saprà aiutare. Trovalo e fidati di lui, ti indicherà una giusta strada. E indossa uno zaffiro giallo sull’indice della mano destra, in quel momento ti aiuterà a trovare l’equilibrio. Nulla può esistere senza il suo opposto. Devi solo trovare il tuo centro”. 

Il libro nasce in quel momento, nasce con la volontà di intraprendere un viaggio alla ricerca dell’uomo del futuro, colui che forse potrà aiutarlo a schivare la morte e a deviare la traccia del proprio destino. Ma la prima domanda che Giuliani si pone è: chi è quest’uomo? 

 

“Lo faccio per gioco, non per paura”, rivela alla moglie. Ma non è vero, non lo sarebbe per nessuno. La questione assume dunque le fattezze di un tortuoso rompicapo. Giuliani vede il futuro come distanza, quindi come luogo dell’immaginazione. Cerca per primi coloro che si trovano nel contempo qui e altrove. L’uomo del futuro per lui è qualcuno che abita già il futuro e non qualcuno che realizzerà se stesso compiutamente nel futuro. Il discrimine è tutto qui. È nell’interpretazione. La salvezza del proprio corpo è legata a una decodificazione di senso. 

 

 

Giuliani crede che i primi a essere qui e altrove siano dei giovani astronauti impegnati in un programma sperimentale della NASA, che da un anno vivono rinchiusi in un modulo abitativo spaziale collocato alle Hawaii, con lo scopo di sperimentare i limiti umani in vista di una missione colonizzatrice su Marte. Invia loro dei videomessaggi, poi incontra Damien, un astrobiologo che nel frattempo è uscito dal programma di simulazione. Durante il loro colloquio, Damien dice cose come: “Ho capito che spostando il limite non risolviamo le nostre angosce”. E: “Possiamo scappare lontano, ma il problema viene sempre con noi”. 

La questione è filosofica. L’immagine del futuro è in contrapposizione con la speranza di realizzare la conoscenza di ciò che è eterno. Del resto la modernità, dopo Darwin, non si interroga più sul “Cosa siamo?”, ma sul “Cosa possiamo diventare?”. Questo è l’errore in cui, senza rendersene conto, incappa Giuliani: la sua ricerca è mossa dalla domanda sbagliata. A lui interessa la sopravvivenza (e dunque l’eternità), non il divenire (entro i cui limiti determinativi rientra anche la morte). Egli è per certi versi ancora un uomo pre-moderno, come in un certo senso lo siamo tutti. 

 

E come lo è senz’altro Max More, il proprietario di Alcor, un’organizzazione con sede in Arizona che si occupa della crioconservazione di esseri umani in azoto liquido a -196 gradi centigradi con l’intenzione di riportarli in vita quando la tecnologia del futuro lo renderà possibile. Giuliani incontra More, il quale gli mostra i sarcofagi. In ognuno di essi sono conservati quattro corpi e quattro teste (“Per chi desidera salvare solo il cervello. Presto lo sapremo impiantare in un nuovo corpo. E nel frattempo il cranio è un buon contenitore”). 

E come lo è il fondatore di Xpoint, in South Dakota, una città sotterranea alle pendici delle Black Mountains in cui con venticinquemila dollari si può acquistare un bunker a prova di apocalisse. 

In questo viaggio tra robotica umanoide e soli artificiali, in cui nulla è utopia ma tutto è mosso da qualcosa che è insito nell’uomo, ossia la visione intuitiva, quella capacità di scrutare nel possibile prima ancora che nel reale, Giuliani cerca la sua risposta. Finché non decide di tornare da dove è partito, nella città sacra di Vrindavan, per incontrare di nuovo Mr Sharma. Qui, alla vigilia dell’estate del suo quarantatreesimo anno di età (quello in cui, secondo la profezia, in un giorno caldo si sarebbe imbattuto in una morte violenta), troverà forse la soluzione al rompicapo.

 

Immortali sono le storie e il mondo, si diceva all’inizio. A fondamento della fisica contemporanea c’è una visione filosofica: l’eternismo. È la tesi secondo cui tutti gli eventi temporali esistono, e per la quale non può esserci differenza ontologica tra passato, presente e futuro. Le esperienze che noi viviamo possono essere assimilate a un mazzo di carte coperto che voltiamo poco alla volta su un tavolo. Quelle carte, così come le porzioni temporali che ci accingiamo a vivere, devono esistere prima ancora di essere scoperte. La natura speculativa della mente umana ci induce a vedere dietro a quelle carte realtà molto più complesse ed elaborate. 

 

La realtà del viaggio, secondo la concezione eternista, è composta da un punto di partenza (A) che è conosciuto, e da un punto di arrivo (B) che è altrettanto noto, ossia esiste già quando il viaggiatore inizia il suo viaggio (la carta coperta sul tavolo). Quindi il punto di arrivo è davanti ai nostri occhi, è sempre stato lì. Come lo è l’uomo del futuro di Giuliani, colui che indicandogli la strada giusta potrà salvarlo dalla morte. 

Chi sia quest’uomo, noi lettori lo scopriamo solo all’ultima pagina. E come in tutte le filosofie sapienziali la verità ci coglie come un’illuminazione, una sostanza unica sotto ai nostri occhi che per nostra congenita, umana limitatezza ci ostinavamo a non vedere. 

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