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11 luglio 1920 / Rodari e Pinin Carpi: due fantasie

9 Luglio 2020

Il mio problema con Rodari è lo stesso di Obelix con la pozione magica. Se da piccolo sei caduto dentro il pentolone, da grande ti è vietato avvicinarti alla pozione: ne hai già assorbito così a fondo il potere magico che un ulteriore sorso potrebbe avere effetti imprevedibili. Del resto era difficile, con una famiglia come la mia – padre funzionario del Pci, mamma sindacalista, zia maestra democratica e militante –, che Gianni Rodari non assumesse il ruolo di nume tutelare della nostra infanzia. Cipollino e sor Zucchina, le rime fedeli e perfette che traslano in versi le avventure di Pinocchio, favole che viaggiano sul filo del telefono, Gip che viaggia da un canale all’altro del televisore, una torta che vola nei cieli di Roma, Alice che casca, Giovannino che si perde, un bambino povero che sogna così forte un trenino elettrico da farlo animare... eravamo immersi completamente nel mondo rodariano. Dalle vecchie edizioni economiche in grande formato degli Editori Riuniti (con i disegni dalla linea pulita e un po’ retrò di Raul Verdini) agli ormai classici titoli del catalogo Einaudi, accompagnati dall’inconfondibile commento grafico di Bruno Munari. 

 

Col tempo il mio problema con Rodari ha assunto poi una nuova sfumatura. Negli anni successivi alla sua morte la figura di Rodari ha acquisito un contorno sempre più uniforme e netto. Lui che li ha sempre sbeffeggiati, si è ritrovato via via rinchiuso in una sorta di monumento. Era forse inevitabile, data la sua rilevanza pubblica, ma una produzione come quella di Rodari è così ricca e molteplice – nelle forme espressive, innanzitutto, come nella varietà di voci, temi e accenti che la animano – che mal si presta ad essere rinchiusa in una teca. 

 

E così, quando è venuto il tempo di leggere delle storie alle mie bimbe, ho dovuto riconoscere una mia certa ritrosia nel tirar fuori dalla biblioteca i libri di Rodari. Un po’ perché la scuola già li proponeva – la poesia per Natale, la fiaba nel libro di testo, la proposta per l’estate... – un po’ perché non sentivo quel guizzo, quella viva curiosità che sostiene la lettura ad alta voce. Come una statua: fa così parte del panorama urbano che le passiamo a fianco con indifferenza. Mi sbagliavo naturalmente, perché con un classico le ragioni di ritorno sono per definizione infinite. Ma tant'è, non si può cambiare la realtà delle proprie sensazioni.

 

 

Al contrario, scegliendo il libro per la loro nanna, mi rivolgevo come un sorso d’acqua fresca ad un altro scrittore, coetaneo di Rodari. Sto parlando di Giuseppe Carpi, meglio noto come Pinin. Sì, è vero, Cion Cion Blu (certamente il suo libro più famoso, un racconto pirotecnico in una Cina magica sospesa tra Turandot e Brecht) viene spesso proposto a scuola, e infatti anche la mia grande lo ha letto in classe con la maestra. Ma mi pare che Carpi non abbia subito quella canonizzazione che ha investito invece Rodari, tant’è vero che sono pochi, o forse pochissimi, coloro che si sono ricordati che questo accidentato 2020 segna anche il centenario della sua nascita. Ed è forse è arrivato il momento di provare ad abbracciarli insieme questi due grandi autori per bambini, che molto hanno condiviso e che altrettanto, d'altra parte, divide per sensibilità e approccio.

 

Il primo elemento di unione è l’appartenenza al mondo geografico e culturale settentrionale. Rodari nasce ad Omegna, lago d’Orta – dove ambienta il suo ultimo bellissimo racconto sul barone Lamberto – e cresce nel varesotto. Nel cuore del capoluogo lombardo nasce invece Pinin Carpi, in una vecchia casa vicino al Tombon de San Marc, tra un mulino ad acqua ed una fabbrica di cioccolato. Ma la diversità di estrazione non potrebbe essere più ampia. Carpi è parte di una nutrita famiglia di artisti: architetto il nonno, scultore lo zio, celebre pittore all’Accademia di Brera il padre Aldo, e artisti saranno anche i suoi fratelli Fiorenzo, musicista che ha lasciato un segno nel teatro italiano, e Cioni, pittore. Rodari invece è figlio di un prestinaio (“Io so i colori dei mestieri/ sono bianchi i panettieri,/ s’alzan prima degli uccelli/ e han la farina nei capelli”) e di una donna devota al cattolicesimo (tanto che Gianni sarà instradato inizialmente al seminario, che lascerà per le scuole magistrali di Milano). 

 

Cresciuti sotto il fascismo, quando è il momento entrambi prendono parte attiva alla guerra partigiana. Rodari all’interno delle formazioni comuniste, alle quali si era avvicinato dopo il 25 luglio e in cui militò per il resto della vita, in un rapporto non sempre facile con l'ampio mondo politico-editoriale che ruotava intorno al Pci nel quale svolge la sua lunga carriera giornalistica. “Io il soldato non l’ho fatto, ho fatto il partigiano”, rispondeva Pinin Carpi ai bambini che, dopo aver letto i suoi libri, gli chiedevano se fosse mai stato in guerra. L’antimilitarismo e l’impegno pacifista che permeano le storie di entrambi – il personaggio del generale borioso, stupido e prepotente viene irriso sia dall’uno che dall’altro – sono un chiaro portato di questa educazione partigiana.   

 

 

All’esperienza della guerra civile è legato un ricordo significativo di Rodari, al quale tornerà più volte nei suoi scritti autobiografici inediti: nel giorno della Liberazione di Milano la sua banda nota un vecchio ambiguo signore – “tutto grigio e con un sorriso disperato” – che imbocca a piedi l’autostrada per Como, con pure un cane al guinzaglio. Naturalmente lo fermano. Tocca a Rodari riconoscere sotto quei panni dimessi Mario Sironi, il grande pittore delle periferie, dei gasometri, delle fabbriche desolate, fervente fascista. “Non so se posso vantarmene” – scrive Rodari – “gli firmai il lascia passare, in nome dell’arte. Se ne andò col suo cane, non importa dove. Aveva perduto qualcuno, non mi interessava chi. Per me la sua lezione era stata una lezione di tragedia. Non c’è pittore che valga i suoi quadri.”   

Per Pinin l’antifascismo era invece una scelta connaturata all’ambiente familiare. I Carpi furono infatti tutti impegnati nella lotta clandestina, pagando costi enormi. Il più piccolo dei fratelli, Paolo, viene arrestato all’età di 17 anni, deportato a Flossenbürg e infine assassinato con una iniezione letale a Gross-Rosen, poco prima della liberazione del campo da parte dell’Armata rossa. Nel gennaio del 1944 anche il padre Aldo è arrestato nella casa di Mondonico, a seguito della delazione di un collega scultore. Pochi giorni prima aveva finito il quadro L’arresto degli arlecchini, dove in una piazza metafisica e plumbea quattro minacciose guardie inseguono sei arlecchini filiformi, che sembrano quasi danzare irriverenti di fronte al pericolo. Aldo Carpi finisce internato come prigioniero politico, prima a Mauthausen e poi a Gusen. Quasi sessantenne riuscì a sopravvivere al campo e a tenere un preziosissimo diario, nascosto nelle pieghe del vestito su sottili foglietti di risulta. Un documento unico, composto di lettere e disegni che descrivono in presa diretta l’abisso del lager nazista, e che su insistenza dei figli (e cura di Pinin) si deciderà a pubblicare per Garzanti nel 1971. 

 

Nel dopoguerra le strade dei nostri prendono direzioni divergenti. Già a partire dagli anni '50 Rodari ha modo di incamminarsi sul sentiero che dal giornalismo militante lo porterà alla scrittura per bambini, creando da subito un ricchissimo corpus di filastrocche, storie illustrate in rime, rubriche, romanzi d'appendice su rivista. Quasi trascinato dagli eventi, verrebbe da dire, se è vero che nel ‘77 scrive con una certa civetteria in una lettera: “Ho cominciato a scrivere per i bambini, più o meno per obbligo di Partito: io stavo bene anche all’Unità di Milano, nel ‘50, non avevo nessuna voglia di occuparmi di bambini. Qualcosa ho fatto. Senza falsa modestia. Se quando in Italia si parla di letteratura infantile bisogna fare al primo posto il nome di un comunista, con tutto quello che comporta, qualche merito ce l’ho anch’io. A cinquantasei anni suonati avrei quasi il dovere di prendere questo ruolo sul serio, e non come un caso curioso che mi è capitato solo per non aver tenuto troppo d’occhio i casi personali” 

 

 

Carpi invece rimane a lungo in ombra come autore: scrive, o meglio raccoglie storie per i figli, ma non pensa alla pubblicazione, mentre è capo ufficio stampa della Garzanti e si dedica alla critica d’arte e musicale. Quando infine esordisce a fine anni sessanta, proprio con Cion Cion Blu, Rodari è già un autore affermato prossimo a ricevere l’Andersen, il massimo riconoscimento per uno scrittore per l’infanzia. Quel libro d’esordio, come abbiamo detto, rimane oggi un vero long seller. Ma è anche il primo e unico ad essere pubblicato senza l’accompagnamento dei suoi disegni originali (anche se è un libro pieno di colori, fin dal nome del protagonista). 

 

Sarà Roberto Denti, il mitico fondatore della Libreria dei Ragazzi di Milano, a convincerlo a riprendere in mano matite e pennelli. E per fortuna, perché Pinin Carpi è un illustratore raffinato ed espressivo, in grado di disseminare i disegni di un’infinità di particolari e, al contempo, capace di un cromatismo astratto e poetico. Da allora i libri di Carpi sono libri di parole e immagini, e alle volte di molte immagini e poche parole, in ogni caso i due linguaggi non sono pensabili in autonomia l’uno dall’altro, perché la scrittura discorsiva ma pirotecnica, pantagruelica potremmo dire (e il cibo e la libera golosità sono un leitmotiv delle sue storie), si appoggia alla delicatezza delle sue figure colorate, che siano bambini, animali, gli amati gatti, o grandi navi giardino con dei veri castagni al posto degli alberi per le vele (come in Lupo Uragano, un altro suo libro molto amato). 

 

Se Rodari è un architetto instancabile che con caparbia ha costruito un enorme edificio artistico, pieno di stanze e punti di vista alle volte contraddittori, ma sempre appoggiato su una forte tensione educativa, politica e personale, nei confronti di un pubblico, quello dei bambini, che per lungo tempo non è stato considerato capace di intendere e di volere, Carpi sembra invece mosso solo dalla voglia di raccontare, un libero fluire rivolto a chi si lascia incantare dalla sua voce e dalle sue trame, a rotta di collo e apparentemente senza struttura. 

 

Lo notava con acume Roberto Denti, che di entrambi è stato amico. “Direi che abbiamo avuto, per fortuna, quel grande individuo che è stato Gianni Rodari che ha trattato la narrativa per i bambini considerandoli persone capaci di capire le cose, mentre in quel momento si pensava che ai bambini si potesse parlare solo di farfalline, coniglietti e gattini. La narrativa di Rodari era di contenuto realistico: questo è il suo grande merito. Pinin aveva questa sua capacità affabulatrice di raccontare tutto che è stata unica. Carpi ha portato la fantasia, non quella banale, ma una fantasia innovativa, da Cion Cion Blu a tutti gli altri: questa è stata credo la sua grande forza.” 

 

 

Pensare a Rodari come un autore realistico risulta forse esagerato, anche se è indubbio che il mondo rodariano non si nutre di magia. Per Rodari la fantasia è sovversiva, ma i suoi mondi fantastici sono in fondo sempre calati in un contesto concreto, fatto di concreti rapporti di forza, disuguaglianze, ingiustizie da mettere in discussione. Scriveva nel 1965 “Ogni libro per ragazzi è un libro “impegnato” perché è un libro “per dire qualcosa a qualcuno”, anche quando nasce da un libero movimento della fantasia. È un libro che accetta l’esame pedagogico, come accetta quello letterario: anche se è nato senza intenzioni pedagogiche”. Sovvertire le regole significa sovvertire anche quelle linguistiche, essendo il linguaggio il massimo simulacro dell’ordine sociale, e qui si trova la coerenza tra gli intenti educativi e politici di Rodari e la sua ricerca sulle combinazioni e la grammatica della fantasia, così significativamente vicina all’interesse per l’ars combinatoria dell’ultimo Calvino.

 

Volendo creare un parallelismo con altri due grandi autori per bambini, Rodari condivide quella fantasia fustigatrice del mondo degli adulti propria di Roald Dahl, mentre Pinin Carpi è vicino all’atteggiamento sinceramente anarchico di Astrid Lindgren (è interessante che sia Carpi sia Lindgren hanno costruito i loro racconti più riusciti sulla base di una lunga sperimentazione orale casalinga, con i propri figli). E se come Dahl anche Rodari non affronta mai l’amore nelle sue storie, muovendosi in un immaginario casto, quasi puritano, Pinin Carpi come Lindgren infarcisce i suoi racconti di coppie scandalosamente innamorate, o di passioni che scoppiano improvvise tra personaggi insospettabili.

 

Ma in fondo Gianni Rodari e Pinin Carpi sono tutti e due figli illustri del più importante fondamento della moderna letteratura fantastica del nostro paese, Pinocchio, che entrambi amavano moltissimo. Rodari perché prende in prestito da Collodi quella capacità unica di tenere insieme sovversione e intento pedagogico (rimanendo il più possibile ad altezza di bambino), mentre Carpi è erede del suo tono fiabesco e della potenza narrativa che fa correre il burattino per tutto il libro, e noi lettori, grandi e piccini, dietro a lui.

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