Speciale

Que Viva Garibaldi!!

31 Luglio 2011

 

Anche la letteratura italiana viene investita dall’ondata romantica che tende a rovesciare l’esistente portando a galla nuove figure. Si tratta di una produzione di seconda mano che riprende la silhouette del cavaliere in chiave didattico-patriottica (l’Ettore Fieramosca dell’omonimo romanzo di D’Azeglio) o piega nel medesimo senso, tra ribellione individuale e rivendicazione nazionale, personaggi quali il Passatore in Berchet, i banditi con il melodramma verdiano, i partigiani o gli esuli dei Profughi di Parga o de Il fuoriuscito. E tuttavia, a fronte di una tale letteratura non particolarmente originale, l’Italia può offrire proprio sul piano storico l’esempio più calzante e riassuntivo di questo genere d’eroi, quel Giuseppe Garibaldi le cui Memorie paiono per l’appunto il racconto paradigmatico e mancante del romanticismo nazionale.

 

Garibaldi a soli ventisette anni era già stato definito dalle autorità piemontesi “bandito di primo catalogo” per i falliti moti mazziniani di Genova. Arruolato nella marineria sarda l’aveva allora abbandonata senza licenza per attendere il 4 febbraio 1834 all’insurrezione in realtà già bloccata i giorni precedenti ancor prima di infiammare Torino. Giudicato disertore dal tribunale militare venne poi raggiunto anche dalla condanna “alla pena di morte ignominiosa”, accusato di essere stato uno dei “motori di una cospirazione […] tendente a fare insorgere le regie truppe e a sconvolgere l’attuale governo di Sua Maestà” (A. Scirocco). Era nel frattempo riparato dopo marce notturne di una decina di giorni per i monti a Nizza, fuggito dalla finestra di una gendarmeria a Draguignan, si diresse allo sbocco di Marsiglia. Il Sud America gli offriva però, nella confusa zona tra Brasile meridionale, Uruguay e Argentina, un più vasto campo di gioco. Nel 1837, insieme a dodici altri stranieri, ottiene dal governo repubblicano formatosi sul Rio Grande do Sul una patente de corso. Con enfasi tutta romantica il futuro eroe dei due mondi proclama così l’inizio delle sue attività di combattente rivoluzionario: 

 

Corsaro! lanciato sull’oceano con dodici compagni a bordo d’una garopera, si sfidava un impero, e si facea sventolare per i primi, in quelle meridionali coste, una bandiera d’emancipazione. La bandiera repubblicana del Rio Grande!

 

Allo stesso modo dei corsari letterari Garibaldi comanda una ciurma eterogenea “cosmopolita, composta di tutto, e di tutti i colori, come di tutte le nazionalità”, di cui loda soprattutto i neri liberati dalla schiavitù, ma anche da frerés de la coteraccattati tra Atlantico e Pacifico che pensavano più al bottino che agli ideali di libertà per i popoli. Di questi si dovevano appunto frenare gli impeti e disciplinare il contegno come nel primo assalto quando, sul piccolo Mazziniadattato per la guerra attraverso una colletta di italiani abitanti a Rio, abbordando un brigantino brasiliano carico di caffè, che sarà il loro nuovo legno, ordina “non si toccasse agli effetti individuali dell’equipaggio e dei passeggeri”. Eppure molto più avanti, parlando dei Mille, accetterà provocatoriamente facendosene un vanto la definizione di “pochi filibustieri, senza galloni o spalline”.

 

Accanto agli ideali rivoluzionari internazionalisti il giovane Garibaldi confessa comunque un irrefrenabile desiderio d’eccitazione e di pericolo:

 

La vita, che si faceva in quella classe di guerra, era attivissima, piena di pericoli per la superiorità numerica del nemico e la di lui potenza in ogni ramo guerresco; ma nello stesso tempo, bella, e molto conforme all’indole mia propensa alle avventure

 

E se pensava che tale quotidianità fosse del tutto inconciliabile con la vita familiare invece, al modo di un personaggio da romanzo, incontra l’amazzone latina Anita disposta a cavalcare al suo fianco e pure a combattere sorprendendo con la sua audacia gli altri compagni. Anche il paesaggio, con i suoi grandi fiumi e le infinite pianure australi contribuisce, quale scenario ideale, al romanticismo di quella esistenza (“e più selvaggi si presentavano gli spazi americani deserti, più dilettevoli e belli ci parevano”).

 

Il Nizzardo era figlio di un marinaio e marinaio egli stesso fin da ragazzo. La sua carriera di comandante in Sud America fu in gran parte condotta sulle navi lungo le coste brasiliane o i grandi fiumi della Plata, ma il passaggio alla terra ferma avveniva in modo naturale e senza soluzione di continuità, cosicché quella lotta “non era limitata alla marina soltanto. Noi avevimo a bordo, selle; cavalli ne trovavimo ovunque in quei paesi, ove sono abbondantissimi; e tutt’assieme, quando lo richiedeva il caso, noi erimo trasformati, non in brillante, ma temibile, e temuta cavalleria”. Il giovane infatti già intuisce che gli si apriranno nuove possibilità di manovra e di gloria: “una carriera, che più ancora di quella del mare, aveva attrattive immense”. Così sarà in effetti, soprattutto se si getta uno sguardo al futuro italiano ed europeo, ma egli si dimostra anche a questa altezza storica suscitatore di energie e guida abile e spregiudicata. Nel primo aprile 1843 fonda infatti la Legione italiana per riscattare le mediocri prove militari fin lì offerte dai connazionali. L’andamento della guerra stava tuttavia volgendo decisamente in catastrofe per i repubblicani, e Garibaldi si segnala per alcune azioni basate sulla rapidità e la sorpresa, l’audacia e la compattezza della sua nuova milizia che anticipano la spedizione dei Mille, come nella sortita fuori da Montevideo assediata: “chiesi di cacciare il nemico da una posizione dietro un parapetto che dominava un fosso dalla parte nostra, e dove quello si teneva come al sicuro”.

 

È opinione assodata tra gli storici che questi sono gli anni cruciali in cui Garibaldi sperimenta una tattica di piccola guerra ancora abbastanza rara in Europa, capace di disorientare i nemici legati all’impostazione tradizionale del conflitto e profondamente disprezzata dagli stati maggiori (quello piemontese su tutti) proprio perché considerata irregolare ed ai limiti del banditismo. In verità si alternano in Sud America brillanti prove condotte con ampia libertà decisionale e ordini subiti con “obbedisco” pronunciati a denti stretti. Al primo ambito appartiene ad esempio la battaglia del Dayman contro le truppe imperiali brasiliane che da lontano stringevano la capitale uruguayana: “il venti maggio 1846, noi sorprendemmo, al solito con una marcia di notte, quelle forze sulla sponda del Dayman, uno dei confluenti dell’Uruguay […] Fu facilissima la vittoria; e la gente di Vergasa, nel di cui campo avevimo dato, fu precipitata nel fiume, lasciando armi, cavalli, ed alcuni prigionieri.” Al secondo ambito si ascrive invece il raid punitivo ordinato dal generale Canabarro contro Iniriù, città della provincia di Santa Caterina ribellatasi alla repubblica. La continuità si riscontra soltanto nel medesimo pensiero flessibile cui segue la consueta agilità di manovra: “la guarnigione e gli abitanti avevano fatto dei preparativi di difesa verso il lago. Io sbarcai a tre miglia di distanza a levante e li assaltai improvvisamente dalla montagna, cioè alle spalle. Sconfitta e in fuga la guarnigione, fummo padroni d’Iniriù”.

 

E tuttavia il saccheggio, anch’esso apparentemente di esito identico, avviene soprattutto a danno della popolazione civile e, come la rappresaglia ordinata, ripugna al comandante che cerca di limitarne le conseguenze più gravi (“il mio fastidio e la fatica sofferta, in quel giorno nefasto per raffrenare almeno le violenze contro le persone furono immense; e vi pervenni, credo, a forza di sciabolate, e non curante della mia vita. Ma circa alla roba di ogni specie, non mi fu possibile evitare un disordine terribile […] nulla valeva a trattenere gli insolenti saccheggiatori”). La macchia di Bronte sulla sfolgorante marcia di Sicilia, come i fatti di Porzus durante la Resistenza italiana contro il nazifascismo o altre vendette private oggi molto sotto i riflettori, sono insomma già allora in parte anticipate per la durezza del conflitto e la specifica difficoltà – quanto a uomini, tattica, frustrazione ed esaltazione – della guerra di raid.

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