Sean Shanahan e Chiara Dynys / I misteri del colore

16 Agosto 2021

Il mio vicino della porta accanto è un prestanome della ‘ndrangheta calabrese. Lo scopro alle 05:02 del 1 luglio 2010 quando l’ordine “aprite, Carabinieri!”, accompagnato da una serie di colpi alla porta, mi sveglia di soprassalto. Con il cuore in gola apro, ma uno dei militari mi fa cenno di rientrare immediatamente: stanno bussando alla porta del vicino.

Perché le forze dell’ordine irrompono nelle abitazioni private poco prima dell’alba? Per sorprendere i fuorilegge nel sonno e svegliare i vicini nell’ora del crepuscolo mattutino, quando la luce solare riflessa dagli strati superiori dell'atmosfera si spande sulla Terra. È il magico, misterioso e formidabile momento in cui l’occhio passa dalla visione scotopica o notturna a quella fotopica o diurna e la vita inizia a pulsare a un ritmo diverso: gli uccelli si risvegliano, i carabinieri fanno irruzione e Costantino esce dal suo palazzo (la cerimonia bizantina è attestata dalla Vita Constantini, composta da Eusebio di Cesarea nel 337).

 

Andrea Sorini, Bajkonur, Terra, 2018. Fotogramma tratto dal film.


È un momento solenne, che Andrea Sorini comunica nel film-documentario Bajkonur, Terra girato nel 2018, un viaggio attraverso la pianura del Kazakistan per raggiungere la città cosmodromo di Bajkonur. In questo film assistiamo all’uscita nella notte di una Soyuz dal suo hangar, al suo posizionamento sulla rampa e al suo lancio verso la Stazione Spaziale Internazionale. Le immagini si susseguono con una straordinaria forza epica, che culmina con la sagoma scura del razzo stagliata contro il colore impalpabile del cielo al crepuscolo. È il colore filmare della volta celeste.

 

Sean Shanahan, NUNC, 2021, olio su MDF.


Attraverso queste immagini Sorini comunica il mistero della luce e del colore, che il pittore irlandese Sean Shanahan sonda e misura con i suoi monocromi: “la pittura dà una dimensione al colore [che] è momentaneamente compreso e poi torna ad essere misterioso”, dichiara nel corso di una conversazione. I colori stesi dal pittore irlandese su pannelli in fibra di legno a media densità (MDF) vengono assorbiti dal materiale (fibre di legno pressate insieme a resina o colla ad alte temperature) e quindi opacizzati. Questa opacizzazione ha affascinato Giuseppe Panza di Biumo, uno dei più importanti collezionisti italiani: “Mi attirava la mancanza di riflettività della superficie. Sembrava che la materia assorbisse il colore, un effetto di densità materica; il colore era dentro, non era in superficie […] Il colore è luce riflessa, è una proprietà della superficie, ma nei quadri di quest’artista diventa anche sostanza”. La lettura filosofica del colore divenuto “sostanza” è nelle corde di uno dei più sensibili e intelligenti collezionisti dell’arte americana della prima e della seconda metà degli anni Settanta, arte americana che Shanahan riprende e filtra attraverso una sensibilità educata alle campiture della pittura italiana del Duecento e del Trecento. Il colore assorbito dai pannelli MDF rivela la consistenza della materia. È un colore introflesso che appartiene all'oggetto, se pur non come quello della materia che lo compone, denominato colore superficie (David Katz, Il mondo del colore, in Forma ed esperienza. Antologia di classici della percezione, Franco Angeli, Milano 1984).

 

James Turrell, Skyspace I, 1974. Villa Panza, Varese. Particolare dello schermo di riduzione. Dono Panza a Guggenheim Foundation. Prestito permanente FAI.


Narciso Silvestrini racconta che il colore può essere inteso sia come aggettivo, sia come sostantivo (aggettivo sostantivato). Il secondo è quello delle cartelle colore. Anche quello filmare del cielo nel film di Sorini, lo stesso osservato attraverso lo schermo di riduzione Skyspace I realizzato nel 1974 dall’artista americano James Turrell nella villa del collezionista a Varese. Quello visto attraverso uno schermo di riduzione è un colore astratto-estratto, precisa Silvestrini. È l’esperienza del colore puro. Il colore inteso come aggettivo è invece quello subordinato alla materialità dell’oggetto, sia come colore superficie proprio della materia che compone l’oggetto, sia come colore assorbito dai pannelli MDF: un colore aggettivato, non sostantivato.

 

Le conversazioni socratiche con Silvestrini (non comunica in altro modo il suo sapere) e le ricerche di Giuseppe Di Napoli sono fonti preziose per uno studio puntuale e aggiornato sul colore.

Nel saggio Il colore dipinto (Einaudi, Torino, 2006), Di Napoli precisa che il colore filmare nelle opere d'arte è “il contingente fenomenico di un'esperienza visiva trascendentale”, aggiungendo che tale esperienza non è metafisica perché il colore si manifesta come una pulsazione. È questo che Panza di Biumo cercava nelle opere degli artisti americani degli anni Sessanta e Settanta? Affascinato dai processi in divenire e dalle filosofie orientali, Panza di Biumo amava nelle opere che collezionava la mutazione, la metamorfosi, compresa l'operazione alchemica di assorbimento e aggettivazione del colore nelle opere di Shanahan. In quelle di altri artisti anche la sua sostantivazione. Turrell ricorda che il collezionista era attratto sia dal colore filmare del cielo visto attraverso lo schermo di riduzione, sia dalla neve che si depositava geometricamente sul pavimento di Skyspace I. Quando iniziava a nevicare chiedeva al giardiniere della villa di togliere la protezione all’apertura verso il cielo e partiva appositamente da Milano per contemplare il punto dal quale tutta la neve sembrava cadere e la piramide che poco a poco si formava sul pavimento. Nella lettera pubblicata nel periodico numero 5 di Cenobio Visualità (giugno 1983), Panza di Biumo scrive: “Le esperienze ascetiche dei filosofi zen sono familiari a questi artisti”.

 

James Turrell, Virga, 1974. Villa Panza, Varese. Veduta parziale dell’ambiente e progetto. Dono Panza a Guggenheim Foundation. Prestito permanente FAI.

 

Dan Flavin, Varese corridor, 1976. Villa Panza, Varese. La luce che illumina il corridoio non è quella fluorescente verde, rosa e gialla emessa dai 207 tubi al neon che compongono l’opera site-specific, ma quella che proveniente dagli ambienti laterali con installazioni progettate dallo stesso Flavin. Dono Panza a Guggenheim Foundation. Prestito permanente FAI.


Divenuta dal 1996 un bene FAI, Villa Panza ospita un’importante collezione permanente, affiancata da mostre temporanee. Quella in corso (Sudden Time - fino al 5 settembre) è dedicata all’opera di  Shanahan e di Chiara Dynys.

 

Chiara Dynys, Camini delle fate, 2020-21. Installazione.


Con il colore e la luce Dynys veste le idee, conferisce loro un decoro. La sua è un’arte decorativa nel senso dell’etimologia del termine decus: ciò che si addice, ciò che si attiene, in alcune sue opere all’urgenza sociale e politica. Pane Al Mondo (PAM), che invita a conciliare culture tra loro solo apparentemente distanti, o Please dont’t cry, che evoca la drammaticità dei conflitti geopolitici, sono degli esempi in tal senso. In Sudden Time l’artista presenta opere attinenti all’universo di Panza di Biumo, evocando il potere palingenetico del colore e della luce, come nell’installazione Camini delle Fate ispirata alle abitazioni degli anacoreti della Cappadocia. Dynys restituisce al termine decus un senso che era stato abbandonato. Essendo tuttavia impossibile restituire del tutto al termine il senso precedente, la luce e il colore vestono il loro oggetto come un abito attillato. Il suo è un decoro diverso da quello di Witold Gombrowicz. Nelle sue memorie, Rita Gombrowicz ricorda che uno dei principi di eleganza dello scrittore polacco “era di non vestirsi con abiti troppo nuovi né troppo stretti”. Come per l'arredamento, bisognava che anche gli abiti fossero “press'a poco” e “così, così”, che ci fosse cioè della sprezzatura, come nella sua opera letteraria (A Vence, in Riga 7, Marcos y Marcos, Milano, 1994, p. 192).

 

Sean Shanahan, veduta parziale dell’installazione nella scuderia grande. Sulla parete arancione: Taddeo, 2018, olio su MDF. A destra: S.T., 2020-21, olio su MDF. Villa Panza Varese.


Sia nella ricerca di Dynys che in quella di Shanahan ricorre il concetto di soglia. Nell’opera del pittore irlandese la soglia è costituita dalle bisellature lungo i margini dei pannelli rastremati, che hanno lo scopo - dichiara l'artista - di far “galleggiare” il colore e rendere invisibile il supporto. Nell'opera di Dynys è un trasalire dello sguardo, spesso aiutato dalla flessione crepuscolare della luce, una soglia che l’artista ha materializzato nel parco della villa con un “attraversamento” (così definisce la sua scultura monumentale Giuseppe’s door in vetro di Murano fotosensibile e acciaio corten). Il vetro ha la capacità di caricarsi di luce e di rilasciarla nel buio.

 

Chiara Dynys, Melancholia, 2020-21. Video proiezione (alcune fasi della variazione cromatica).


Molti dei suoi lavori sono stati progettati per essere visti in condizione di luce crepuscolare. Il mistero di questa luce è celebrato da Dynys nell'oscurità della rimessa delle carrozze al piano terra della villa. Le opere dell'artista ingentiliscono ad arte ciò che in un mistero “vi è di più terrificante e [insieme] di più risplendente” (Elio Aristide). Mi riferisco alle seducenti variazioni cromatiche della video proiezione Melancholia e della piccola scultura in vetro opalescente Giuseppe’s door, che segue il ciclo cromatico della video proiezione allestita nella sala adiacente.

 

Chiara Dynys, Giuseppe’s Door, 2020-21. Scultura in vetro opalescente e luce proiettata.


Osservando le affascinanti opere di Dynys penso a Protogene “adirato contro un’arte troppo evidente”, che lancia una spugna contro lo Ialiso, ottenendo per caso quel realismo che desiderava rendere attraverso la sua opera (Plinio, Storia Naturale, XXXV, 103). Il superamento di “un’arte troppo evidente” lo si ottiene gettando una spugna contro un sistema di rappresentazione, pittura, scultura, fotografia, letteratura (“un gentleman si veste sempre troppo largo”) o cinema che sia.

Il documentario Bajkonur, Terra ha le inquadrature e i tempi di una video installazione. In L’opera interminabile. Arte e XXI secolo (Einaudi, Torino, 2019), Vincenzo Trione considera la rilocazione del cinema nella pratica delle arti visive uno dei percorsi che si possono intraprendere in arte per ristrutturare il senso e il valore dei medium adottati, al fine di dare forma a un nuovo modo di vedere. Questa rilocazione l’ha tentata anche Michelangelo Frammartino con il suo cortometraggio Alberi del 2013, presentato al MoMA di New York come video installazione. Mi piacerebbe immergermi nella luce crepuscolare di Bajkonur, Terra, come in Alberi di Frammartino, per partecipare alla celebrazione del mistero della luce riflessa dagli strati superiori dell’atmosfera, che si spande sulla Terra poco prima dell’aurora, una luce che ha la potenza dei colpi dei militari sulla porta del ‘ndranghetista e al tempo stesso la solennità del rito eseguito da Costantino. Nell’istante in cui la luce sta per apparire o sta per sparire insieme al colore filmare del cielo tutto ammutolisce, per esplodere subito dopo nel canto degli uccelli, o per diffondersi con un brusio nel sottobosco.

 

Che sia il “mistero senza fondo” di cui scrive François Cheng in Cinque meditazioni sulla bellezza (Bollati Boringhieri, Torino, 2007)? Se cosi fosse, si tratta della bellezza intesa come rivelazione improvvisa: il luccicare di un occhio nell’ombra, il canto di un uccello che rompe il silenzio della notte, l’onda di luce che d’un tratto si abbatte sulla Terra. Una bellezza che non è riferita alla symmetria dei classici, né all’estetica del simbolo, né a quella ideale di Giovanni Pietro Bellori, né a quella dei romantici. È la bellezza del monte Lu che appare improvvisamente dalle nebbie. Come racconta Chen, l’espressione in cinese “bellezza del monte Lu” significa “mistero senza fondo” (p. 9).

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