Dove e quando ho imparato a leggere

31 Luglio 2014

Fino a quarant'anni le letture erano sistematiche, dall'inizio alla fine. Oppure, quando il libro era proprio illeggibile, mi fermavo a un certo punto e abbandonavo. Perché ci sono libri illeggibili che sono insostenibili in un sistema di lettura completo, benché straordinari. Libri di genere e libri degenerati. La lettura per me non è stata esperienza lineare, ho faticato, combattuto col testo.

 

Lessi Cent'anni di solitudine sdraiato sul mio letto, senza dormire, nel corso di due giornate, cominciai un pomeriggio, finii il giorno successivo. Avrò avuto diciotto anni, con le pulsioni dell'età, agitato da questo infinito succedersi di amori esplosivi, di corpi conturbanti, di generazioni. Mi muovevo convulsivamente. Descriverei quell'esperienza come un'incubazione, il processo di trasformazione per i pellegrini di Epidauro presso il tempio di Asclepio. Li immagino immersi in una battaglia interiore tra Eros e Thanatos. A diciotto anni prevale Eros, lenzuola da lavare.

 

Gli anni di Márquez furono anche quelli di Thomas Mann, La montagna incantata, la tetralogia di Giuseppe e i suoi fratelli. Anche i saggi. Tra gli altri, Sul matrimonio e le conferenze su Nietzsche e Freud. Nel frattempo mi sposai, scrissi una tesi su Nietzsche e mi formai alla psicoterapia. Di Thomas Mann ricordo anche le Considerazioni di un impolitico, spietato inno alla Kultur e alla guerra. Poi si è ravveduto, ma quello spirito si trova nella sua biografia, lo spirito germanico nella sua migliore espressione, c'è qualcosa in questo grandioso autore che non digerisco interamente, problemi di stomaco.

 

L'oblio di Wiesel capitò più avanti. Volevo che non terminasse mai, avevo trovato un modo per leggerne e rileggerne le pagine, per rallentare l'approssimarsi della fine, sentivo questa relazione di paternità come fosse la mia, col padre e con i figli. Un libro del quale ho riletto pagine e pagine in seguito, quando mi mancava, e che rileggerò interamente quando mi ricorderò che sto perdendo la memoria.

 

Mentre scrivo mi rendo conto di quant'è difficile fare questo esercizio, è come la trascrizione di una seduta di analisi, solo focalizzata su uno specifico argomento: letture per l'estate. Vengono alla mente le prime pagine della Mente estatica di Fachinelli, quando, a San Lorenzo al mare, sullo sdraio di una spiaggia, cerca di pensare a un progetto: “Scavare l'insoddisfazione”, ma scivola in uno stato di torpore e la potenza dell'estasi lo sovrasta. Ci vado spesso in bici a San Lorenzo. Da Santo Stefano si tratta di attraversare l’ex galleria ferroviaria.

 

Melville, The Confidence-Man anticipa Joyce. L'Hawthorne dei Sette abbaini anticipa Kafka. L'Alienista di Machado de Assis è un capolavoro d’ironia. Clarice Lispector, Vicino al cuore selvaggio prima di tutto. L’Humpty Dumpty di Carroll e delle Filastrocche di mamma oca, anche la riscrittura francese di Artaud, Dodu Mafflou e il confronto Carroll/Artaud, nella Ventisettesima serie dell'oralità di Deleuze, Logica del senso.

 

 

Emily Dickinson, “la madame De Sade di Amherst” secondo Camille Paglia, provate a leggere alcune sue poesie pensando a Sade, lo ritrovate. I Canti di Maldoror di Lautréamont e Lautréamont e Sade di Blanchot. Sullo stesso versante Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler.

 

Gli irlandesi, tutti. Senza dimenticare i racconti mitologici di James Stephens. Stephens è un pezzo di Joyce, un esempio: La pentola dell'oro. Joyce disse di Stephens che era l'unico che avrebbe potuto continuare Finnegans Wake, rapporto d'amicizia controverso, come si addice a questi casi.

 

Abbiamo una nuova traduzione di Mia madre musicista è morta... di Louis Wolfson. Nato e vissuto a Manhattan, Wolfson scrive in Francese. Una lotta contro l'inglese di Manhattan dove vive mentre scrive il romanzo Le schizo et les langues. Qui il tema della lingua materna non è incandescente, è esplosivo. Per curarsi dalla schizofrenia Wolfson usa un procedimento consistente nel ripudio dell’inglese emendato dall’innesto fonetico di altre lingue. Alcune sono propriamente materne: l’ebraico, l’yiddish; altre sono studiate: francese, russo, tedesco; infine lingue di approdo: il francese, che scrive, e lo spagnolo di Porto Rico, dove vive. Stanno per uscire studi wolfsoniani in italiano e dovrebbe uscire la traduzione italiana del primo romanzo, speriamo buona, non facile.

 

Leggere o rileggere un testo in lingua originale aiuta a cogliere sfumature dell'espressione, il senso di una cultura. Fin dal titolo: Things Fall Apart e No Longer at Ease, nell'inglese nigeriano di Achebe, non sono Il crollo e Ormai a disagio; La cognizione del dolore non è Acquainted with Grief, né Il giovane Holden è The Catcher in the Rye. Lo stesso vale per un verso poetico: Pain-has an Element of Blank-, non è C'è un vuoto nel dolore. Anche se sono le migliori traduzioni inventate.

 

Fin qui i suggerimenti.

 

Che cosa leggo io quest’estate? Socrate in giardino. Passeggiate filosofiche tra gli alberi, di Andrée Bella: il tiolo sembra radioso e il medico mi ha consigliato di camminare molto. Rileggo Artaud: Al paese dei Tarahumara e I cenci, Il Mosè di Freud di Yerushalmi, Il padre e la legge di David Meghnagi, Elogio della psicoanalisi di Ferenczi. Leggerò Dimenticare Foucault di Baudrillard, le Fiabe di Antonio Gramsci, Ore d’ozio di Kenkō Hōshi, Lascaux di Bataille e qualcosa di Lou Andreas-Salomé per stare al passo con una giovane amica che corre veloce. Qualcosa nelle lingue che riesco a leggere, che troverò in giro durante i viaggi. Cose nuove? No, vecchie, vecchissime, vetuste, antiquate, prediluviane.

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