Da Roosevelt a Broadway / Fratello, dove sei? Musica della Grande Depressione

19 Febbraio 2022

Fra le fotografie che meglio richiamano la Grande Depressione degli anni ’30 ci sono senza dubbio gli scatti in bianco e nero dei serpenti umani in attesa di una zuppa e un tozzo di pane a Manhattan, isola assurta, allora, a neocapitale economica del pianeta. Le tristemente note bread lines, le code per il pane. A New York, nei primi mesi di quel decennio, le bread lines più lunghe, potere della filantropia, potevano contare su un padrino illustre: William Randolph Hearst, il magnate della stampa che sarebbe poi stato immortalato da Orson Welles in Citizen Kane. Hearst aveva predisposto un autocarro dal quale dei volontari elargivano abbondanti ciotole di zuppa calda e fette di pane alle legioni di disperati che facevano la coda intorno a Columbus Circle in attesa del loro turno, uno dietro l’altro all’incrocio fra la Cinquantanovesima Strada e Central Park West. L’economia statunitense era collassata nel giro di pochi mesi portandosi dietro, nella caduta, centinaia di migliaia di uomini e di donne che da un giorno all’altro si trovarono per strada senza un lavoro e senza un soldo.

 

 

Nel 1932, all’apice della crisi e, si potrebbe dire, nonostante la crisi, Broadway presentava in cartellone una rivista musicale intitolata Americana, una delle tante riviste del periodo che facevano il giro dei teatri della città; se lo spettacolo non funzionava lo si metteva a maggese per qualche tempo, e poi si provava a rilanciarlo altrove. Americana era andata in scena già nel ’26, poi nel ’28, e infine ancora nel ’32, nel cuore pulsante di Broadway, allo Shubert Theatre, a pochi passi da Times Square, con numeri e musiche diverse. Il libretto dello spettacolo era opera di Joseph Patrick McEwoy, uno scrittore alla moda, apprezzato per la sua vena satirica e autore di racconti per Cosmopolitan e il Saturday Evening Post. Lo spettacolo, com’era prassi, mutava pelle e temi in funzione dell’attualità, e siccome bisognava far divertire il pubblico anche in tempo di crisi, quanto meno gli spettatori che potevano permettersi il prezzo del biglietto, McEwoy pensò di far entrare la crisi a teatro.

 

Non andò granché bene. Lo spettacolo chiuse dopo tre mesi, ma vale la pena tornarci su per almeno due buone ragioni. La prima è uno sketch che aveva per protagonista Ogden Mills Reid, fondatore del New York Herald Tribune, il quale, roso d’invidia per le code del pane del concorrente William Randolph Hearst, si struggeva chiedendosi come avrebbe potuto fare per allungare le sue, di code, tanto per farla in barba a quel lestofante che adesso si spacciava pure per benefattore. Farsi beffe dei milionari è un facile artificio, ma si va sempre sul sicuro. Lo sketch funzionava, ma da solo non bastò a salvare la rivista. La seconda ragione era la presenza, nello spettacolo, di una canzone che ha fatto epoca, ma di cui probabilmente oggi in pochi serbano memoria, e che a sua volta non riuscì a mantenere la rivista in cartellone.

 

 

Il tema centrale di Americana nel suo terzo allestimento era quello del forgotten man, l’uomo dimenticato, figura astratta ma emblematica al punto da farsi programma politico, una figura che l’allora governatore dello Stato di New York e candidato alla presidenza degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt aveva strategicamente infilato in uno dei suoi discorsi radiofonici. Era proprio a lui, all’uomo dimenticato, che il futuro presidente intendeva affidare il difficile ma non impossibile compito di ricostruire un paese sull’orlo del precipizio: 

 

These unhappy times call for the building of plans that rest upon the forgotten, the unorganized but the indispensable units of economic power, for plans like those of 1917 that build from the bottom up and not from the top down, that put their faith once more in the forgotten man at the bottom of the economic pyramid.

 

(Questi tempi infelici chiedono la costruzione di progetti che poggino sui dimenticati, le unità disorganizzate ma indispensabili al potere economico, per dei progetti che come avvenne nel 1917 siano edificati dal basso verso l’alto e non viceversa, che ripongano ancora una volta fede nell'uomo dimenticato che sta alla base della piramide economica).

 

Roosevelt pronunciò quel discorso il 7 aprile del 1932, proprio quando gli autori di Americana stavano lavorando allo spettacolo. L’idea di infilare una figura ch’era al centro del dibattito politico in una rivista musicale leggera rappresentava, all’epoca, una novità assoluta. Broadway e Hollywood s’erano sempre tenute a debita distanza dalle questioni politiche ed era opinione diffusa che il commento di natura sociale avesse non solo poco a che spartire con l’intrattenimento, ma che il secondo avrebbe con ogni probabilità rigettato il primo come un corpo estraneo.

 

 

Le musiche dello spettacolo erano affidate, come consuetudine nelle riviste di quel genere, a compositori diversi, in particolare a Jay Gorney, Harold Arlen, Herman Hupfeld e Richard Myers. Ad occuparsi dei testi delle canzoni fu invece chiamato il paroliere Edgar Yipsel "Yip" Harburg, ex compagno di scuola di Ira Gershwin, fratello maggiore di George. Camminando per le vie di Manhattan in quei giorni di crisi, ricordò Harburg molti anni dopo, era facile imbattersi in uomini che chiedevano l’elemosina, e la richiesta che ci si sentiva rivolgere più di frequente era questa: can you spare a dime? (ce li avresti dieci centesimi?); o anche questa: can you spare something for a cup of coffee? (hai mica degli spiccioli per una tazza di caffè?). Yip Harburg fece sua la frase e la trasformò nel titolo di una delle canzoni dello spettacolo: Brother, can you spare a dime?

 

Sulle prime, scrivendo il testo, Harburg pensò di assecondare la verve satirica del librettista, mirando al facile bersaglio dei super-ricchi, e in particolare del petroliere John D. Rockefeller:

 

Once you drilled an oil well

Made it gush

How Socony did climb

Once you drilled an oil well

Now I’m flush

Brother, here’s a brand new dime.

 

(A suo tempo hai scavato un pozzo petrolifero / L’hai fatto sgorgare / Come montava la Socony* / A suo tempo hai scavato un pozzo / E adesso sto per traboccare / Fratello, ecco moneta nuova di zecca).

 

* La Vacuum Oil Company era una società petrolifera altrimenti nota come Socony Oil (Standard Oil Company of New York), poi trasformata in Socony-Vacuum Oil Company nel 1931, infine in Mobil, fino all’odierna ExxonMobil.

 

E, più avanti:

 

Say, I’m making millions

While you exist

Help me make my life sublime

Help me be a great philantropist

Brother, here’s a brand new dime.

 

(Di’, mentre tu esisti / Io faccio i milioni / Aiutami a trasformare la mia vita in qualcosa di sublime / Fai di me un grande filantropo / Fratello, ecco una moneta nuovo di zecca).

 

 

Questa prima versione della canzone non fu mai presentata in scena. Yip Harburg, il compositore Jay Gorney e il librettista J.P. McEwoy decisero infatti di rinunciare alla satira a beneficio di un lamento che andasse a solleticare il senso di solidarietà dei loro compatrioti. Anni dopo Yip Harburg ricordò: “sono cresciuto quando l’America aveva un sogno, e il suo popolo, una speranza. Nel 1930 il sogno svanì di colpo, e il sistema cadde in pezzi. Questo era un buon paese, che puntava alla grandezza. Aveva dato più libertà agli immigrati, più educazione, più opportunità rispetto a quelle che tutti noi avremmo mai potuto immaginare. Cos’era successo? Eravamo sconcertati, disorientati”. Quest’uomo smarrito, nella versione definitiva della canzone, si fa portavoce di un sentimento ch’era ampiamente condiviso nel paese:

 

They used to tell me

I was building a dream

With peace and glory ahead

Why should I be standing in line

Just waiting for bread?

 

(Continuavano a ripetermi che / Stavo costruendo un sogno / E che ad attenderci c’erano pace e gloria / Perché dovrei starmene in fila / In attesa di un pezzo di pane?)

 

Quest’uomo aveva fatto un investimento nel paese, e adesso chiedeva conto dei dividendi. Brother, can you spare a dime? è una canzone decisamente anomala non solo per la Broadway dell’epoca, ma per l’America tutta. Una canzone dietro cui s’affaccia il precetto marxista secondo cui all’uomo che crea, all’uomo che costruisce, non viene riconosciuto il giusto profitto per il suo lavoro. Il protagonista della canzone chiede: ma come, ho tirato su i grattacieli, ho combattuto in trincea, e adesso mi ritrovo qui a mani vuote? Una domanda universale e senza tempo che il pubblico fece immediatamente sua: 

 

Say, don’t you remember?

They called me “Al” *

It was “Al” all the time

Say, don’t you remember

I’m your pal

Buddy, can you spare a dime?

 

(Di’, non ti ricordi? / Mi chiamavano tutti “Al” / Nient’altro che “Al” / Di’, te lo sei scordato / Sono tuo amico / Compare, hai mica dieci centesimi?)

 

* Paul Simon a sua volta si richiamò, in You can call me Al, allo spiccio cameratismo che la formula evoca.

 

La canzone fu osannata un po’ da tutti e, nonostante i tentativi di censurarne il passaggio sulle emittenti radiofoniche nazionali, si trasformò ben presto in un enorme successo grazie all’interpretazione di uno dei crooner più amati dell’epoca, Bing Crosby. Proprio a lui si deve la versione per così dire “di riferimento” del brano, e questo nonostante il suo profilo d’interprete, oltre che il suo registro vocale, si fossero fin lì meglio prestati al sussurro sentimentale che non alla denuncia sociale. 

 

 

Bing Crosby, Brother, can you spare a dime?

 

Bing Crosby nella canzone ci offre il ritratto di un uomo che, come si diceva, dopo aver contribuito al benessere del paese arando la terra, innalzando grattacieli, posando i binari della ferrovia e combattendo in guerra, si vede d’un tratto escluso dal sogno in cui aveva creduto. Il senso di avvilimento e quasi di tradimento di cui si fa portavoce quest’uomo è però abilmente smorzato dalla dignità che riesce a infondere nel suo lamento. L’interpretazione di Bing Crosby pare sottolineare proprio questo: che anche nell’accattonaggio v’è dignità. Il pubblico, decretando il successo di una canzone tanto forte e anomala, riconobbe immediatamente questo sentimento di fierezza e di decenza. L’America chiedeva l’elemosina ma lo faceva a testa alta, ed era dovere di tutti riconoscere la necessità di essere solidali l’un l’altro, indipendentemente dal proprio schieramento politico, dalle proprie origini etniche e dalla propria fede religiosa. Prima ancora del New Deal di Roosevelt, potremmo dire, il senso di riscatto e di unità nazionale si affacciava già nell’atto di tendere una mano per chiedere una moneta da dieci centesimi.

 

 

Brother, can you spare a dime? rimane uno degli episodi non solo più peculiari, ma anche più nobili nella storia della canzone americana del periodo. Molto lontano dal modello sentimentale e sostanzialmente estraneo alla realtà sociale tanto in voga in quegli anni, ma proprio per questo meritevole di essere ricordato. Si tratta di una delle poche canzoni americane degli anni ’30 in cui, anche grazie a quel brother, fratello, o l’ancor più familiare buddy, compare, amico, ci si richiamava a un senso di fratellanza, di solidarietà dovuta, in nome non tanto della carità ma della patria stessa, conferendo a questo sfogo privato un respiro collettivo, un respiro ch’era di tutti: la solidarietà come motore etico del paese, prima ancora che come scrupolo del singolo. In questo, mi sembra, risiede l’eccezionalità della canzone.

 

Alla luce del successo della versione di Bing Crosby, la canzone fu ripresa anche da altre star del periodo: Al Jolson e Rudy Vallee in particolare, e poi, anni dopo, da Fred Hellerman all’epoca degli Weavers, il gruppo di Pete Seeger, ma già nel contesto di una canzone più consapevole sul piano sociale, fino alla versione recente di Tom Waits, il Santo Patrono dei derelitti e degli esclusi. Brother, can you spare a dime? si pose di fatto come un episodio unico persino se accostato alla tradizione tutto sommato marginale delle hobo songs, che difettavano non solo del pathos, ma soprattutto dell’intenzione ch’era stata conferita alla canzone da Yip Harburg. Qualcosa che avremmo ritrovato soltanto più tardi, e in un contesto assai diverso, si pensi ad esempio all’Enzo Jannacci di El portava i scarp del tennis, al Cornelis Vreeswijk di Somliga gor med trasika skor o, fra le sue tante canzoni che si richiamavano a un principio di solidarietà, al Brassens della Chanson pour l’auvergnat. Ma, anche qui, senza quel valore di “chiamata alle armi” di cui Brother, can you spare a dime? seppe farsi carico in quei mesi di calamità nazionale. Un approccio e una sincerità poi messe a dura prova, più di recente, dall’avvento delle charity songs promozionali a tiratura industriale, a cominciare da Do they know it’s Christmas, passando per USA for Africa, We are the world, Heal the world e compagnia bella. Ma questa, come si suol dire, è tutta un’altra storia.

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