MTV

3 Maggio 2011

A mezzanotte del 1 agosto 1981 nasce MTV. La M sta per musica, quindi la sigla si legge Music Television. Al momento della fondazione la library del canale è piuttosto sguarnita: 250 video appena, destinati ad aumentare nell’arco di poco tempo. Il primo videoclip mandato in onda è dei Buggles, ma più che di una canzone si tratta di un presagio: Video Killed the Radio Stars. Mentre in Italia la cosiddetta “musica da vedere” è relegata dentro esperimenti da seconda serata Rai (tipo Mister Fantasy di Carlo Massarini, MTV sarebbe arrivata qui solo a metà degli anni ’90), il primo canale televisivo integralmente musicale assolveva a due bisogni. Da una parte, negli Stati Uniti, l’emergente tv via cavo necessitava di contenuti specifici originali (la musica, in questo caso) per definire meglio l’offerta destinata a nuovi target di consumatori. Dall’altra si trattava di un potente veicolo commerciale per far vendere più dischi. O almeno, così la pensava Robert Warren Pittman, il giovane manager (25 anni appena all’epoca) chiamato a generare un’idea che rendesse redditizio il nascente canale.

 

 

La sfida non è certo delle più banali: la musica viene già trasmessa ovunque in radio e nei grandi show televisivi. Sì, ma quale musica? Pittman coglie l’esigenza di amplificare sottoculture e generi musicali nascenti e non ancora rappresentati in giro. Riuscendo a dar voce a un pubblico “sommerso” diviene più facile coinvolgere inserzionisti pubblicitari (quindi racimolare dollari) che facciano prosperare MTV. Un mondo nuovo, in cui soprattutto gli adolescenti e i giovani possono riconoscersi facilmente, ascoltando la musica di nomi freschi e assai distanti tra di loro: l’ondata pop britannica (Culture Club, Duran Duran, Spandau Ballet), l’universo straniante dei Devo e soprattutto Thriller di Michael Jackson, il cui video diretto da John Landis quasi funge da sinossi per tutta la cultura urban afroamericana che di lì a poco avrebbe dilagato. Così anche i colossi della musica non rappresentati dal linguaggio di MTV devono adeguarsi, se vogliono stare al passo. Celebre il caso degli Aerosmith o di Greg Kihn, che prima dell’avvento dei videoclip boccheggiavano, senza vendere quasi più dischi. L’alta rotazione e lo sticker “as seen on MTV” sui loro prodotti ne rilanciò la carriera.

 

 

I videoclip hanno un linguaggio nuovo: durano pochi minuti, lavorano di taglio (montaggio), cucito (il peso fondamentale dell’abbigliamento) e macchie di colore (una certa solarità di fondo è sempre gradita). C’è continuità “filmica” tra la rotazione incessante dei clip e i blocchi pubblicitari: non solo parlano la stessa lingua, ma spesso gli spot rimandano al look e all’universo degli stessi musicisti che suonano e cantano. L’oggetto del desiderio (quei pantaloni, quelle scarpe) sono sovente pubblicizzati pochi minuti dopo il passaggio di un video.

 

Nei clip la camera è spesso in movimento e le inquadrature “sporche” diventano un elemento di stile. Studiosi come Domenico Baldini hanno fatto risalire lo stile dell’emittente a quello in bianco e nero della nouvelle vague e dell’underground americano dei ’60. Anche la grafica dell’emittente, molto curata e “cromatica”, così come il lancio delle news, gli approfondimenti, le interviste e i live rimanda direttamente al linguaggio scelto, così che lo spettatore non avverta salti linguistici durante l’erogazione dei contenuti.

 

MTV oltre a diventare un brand diventa quindi uno stile. Negli ultimi anni si è difatti assistito all’affermazione di film maker emersi proprio come autori di videoclip, divenuti di culto per gli amanti del genere. Si pensi per esempio allo stile sulfureo di Spike Jonze, regista di Being John Malkovich e prima al lavoro, tra i molti, su Buddy Holly dei Weezer e Cannonball delle Breeders. Oppure si consideri l’astrattismo di Michel Gondry, che prima di girare Se mi lasci ti cancello e L’arte del sogno si occupò, tra gli altri, di Bjork e White Stripes. 

 

Il successo è inarrestabile: nasce la cosiddetta MTV Generation, rappresentata dal motto “think globally, act locally”. Unisce pubblico giovane di tutto il pianeta; oggi quasi ogni paese ha una sua MTV locale, che  a sua volta si ramifica in altri canali (MTV+, MTV Gold, MTV2 etc.)

 

Col passare degli anni MTV ha contribuito a creare e cavalcare fenomeni nati dal basso - dal grunge di Seattle al gangsta rap di 2Pac Shakur – allargando l’offerta per il proprio pubblico grazie al lancio di trasmissioni prodotte in casa: cartoni animati (Beavis & Butthead), show (Total Request Live), concerti e serie, da Jackass fino al controverso Jersey Shore.

 

 

C’è un aneddoto che rende bene l’idea della potenza della company: durante la campagna elettorale del ’92 Bill Clinton accettò di rilasciare un’intervista a MTV, inclusa domanda sull’uso di biancheria intima utilizzata (boxer o slip?). Più della risposta (slip, comunque) risultò essere vincente la scelta del futuro Presidente: cioè stabilire un contatto con gli elettori più giovani, laddove George W. Bush declinò la medesima intervista. Non a caso MTV si sviluppa in un momento storico in cui la gestione familiare e collettiva dell’apparecchio televisivo comincia a scricchiolare. Dai primi anni ottanta si vendono sempre più televisori che arredano altrettante camerette. Da plurale la visione diventa singolare: gli adolescenti vivono sintonizzati su MTV, sottofondo delle loro giornate domestiche.

 

Il videoclip contiene un inedito appeal mediatico e artistico, ma il vero colpo di genio di Pittman, a distanza di tempo, è stata l’intuizione iniziale: convincere le case discografiche - dietro la promessa di maggiori ricavi legati all’incremento delle vendite – a produrre contenuti (i video) che MTV avrebbe poi trasmesso: gratis. Ossia gestendo i soli costi di emissione e non di produzione televisiva. Guadagnando cioè spettatori e con essi investimenti pubblicitari, con spesa pari a zero. Oggi, nell’epoca di YouTube e dell’accesso gratuito e costante a qualsiasi contenuto (e clip) video, sembra un dato marginale. Ma forse la neotelevisione nasce proprio qui.

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