Psichiatria evoluzionistica / Buone ragioni per stare male

26 Marzo 2020

Per capire che cos’è la psichiatria evoluzionistica bisogna prima comprendere cos’è la biologia evoluzionistica, ossia la disciplina scientifica che studia la storia degli organismi viventi basandosi sui principi generali dell’adattamento all’ambiente. La biologia evoluzionistica ci dice che a plasmarci così come siamo è stata la selezione naturale. Da qui la medicina ha inizialmente tratto l’errata conclusione che anche le malattie possono essere il risultato della selezione naturale. In realtà non sono le malattie ad avere spiegazioni evolutive, bensì le caratteristiche che ci rendono vulnerabili alle malattie. 

La domanda che pone la medicina tradizionale è: Perché ci ammaliamo? E ancora: Una volta stabilito il motivo per cui ci ammaliamo, in che modo possiamo guarire?

La domanda della medicina evoluzionistica è invece: Perché la selezione naturale ha lasciato nei nostri organismi dei tratti che ci rendono vulnerabili alle malattie?

 

Da quest’ultimo quesito trae origine la psichiatria evoluzionistica. Se è vero che le persone affette da una disfunzione congenita che non permette loro di provare dolore muoiono nei primi anni della vita adulta, allora significa che il dolore è la risposta a una vulnerabilità dell’organismo, ed è quindi un tratto difensivo tra i più importanti che l’evoluzione ci ha lasciato in dono. Seguendo lo stesso ragionamento, perché non desumere allora che anche l’ansia e il cattivo umore siano strumenti di allarme utili all’uomo?

Randolph M. Nesse, insieme a George Christopher William, alla fine degli anni Novanta è stato il fondatore del campo della medicina evoluzionistica. Di recente ha dato alle stampe un libro, tradotto in Italia da Enrico Griseri per Bollati Boringhieri, dal titolo Buone ragioni per stare male – La nuova frontiera della psichiatria evoluzionistica

 

Si tratta di un saggio di quattrocento pagine in cui Nesse traccia storia, significato, progressi e campi di applicazione della psicologia evoluzionistica. Scritto come una sorta di autobiografia medica, nel libro il personaggio Nesse narra la propria esperienza, gli incontri, i pensieri, le intuizioni, gli aneddoti legati ai pazienti, mescolando la materia puramente narrativa agli aspetti più specialistici propri del saggio scientifico. Il risultato è una narrazione fluida che pone i lettori al cospetto di uno degli aspetti più affascinanti della medicina psichiatrica degli ultimi anni.

L’osservazione da cui parte Nesse è che se è vero che la medicina generale indica il dolore come una reazione a un problema, e quindi un sintomo, perché la psichiatria tratta l’ansia e la depressione non come un sintomo ma come il problema? 

 

Opera di Wiebke Käckenmester.


In realtà le emozioni sono meccanismi di controllo che si attivano in situazioni specifiche di pericolo. Senza di esse saremmo esposti costantemente al rischio di morire. Se non provassimo il timore ancestrale del vuoto, ci sporgeremmo senza problemi da una balaustra a venti metri d’altezza rischiando di cadere. Tuttavia – e qui sta il portato effettivo della psicologia evoluzionistica – i sintomi non favoriscono l’individuo in sé, ma i suoi geni. 

 

Scrive Nesse: “Avevo creduto che la selezione ci plasmasse in modo da renderci membri sani, felici, premurosi e cooperativi di una comunità. Ahimè, mi sbagliavo. Alla selezione naturale non importa un fico secco della nostra felicità. Nel calcolo evolutivo ciò che conta è solamente il successo riproduttivo”. 

Mentre leggevo le tesi di Nesse, in me si è subito manifestata un’opposizione. Se l’ansia e la depressione sono generalmente sintomi di un problema, perché li sento insorgere anche in completa assenza di problemi? Come posso credere che non siano esse stesse il mio problema? Se l’ansia e la depressione affiorano in assenza di problemi più o meno evidenti invalidando la mia vita, perché non devo considerarle come cause della mia invalidità?

 

Per farci comprendere meglio questo punto, Nesse ricorre all’esempio del rilevatore di fumo che emette un segnale di allarme: il rilevatore suona e noi interveniamo temendo di trovare la casa in fiamme, salvo accorgerci più semplicemente che abbiamo dimenticato il tostapane acceso e che il nostro toast sta bruciando. In una visione evoluzionistica, gli attacchi di panico non sarebbero altro che falsi allarmi. 

Reazioni come l’agorafobia o il panico servivano a evitare ai nostri progenitori di esporsi a pericoli come quello di imbattersi in un predatore. Inducendo a una maggiore vigilanza, il falso allarme permetteva loro di salvaguardare la sopravvivenza. In altre parole, tra i cacciatori-raccoglitori del paleolitico, gli apprensivi avevano molte più probabilità di sopravvivere di quante ne avessero gli impavidi.

La psicologia evoluzionistica ha la pretesa di fornire soluzioni ai quesiti fondamentali di natura filosofica con cui tutti i depressi fanno quotidianamente i conti: Perché soffriamo? Qual è l’effettivo senso della vita? Una delle principali risposte che fornisce è: Il nostro cervello è stato plasmato per massimizzare la trasmissione dei nostri geni. 

 

Ma si tratta di una risposta che non solo un depresso, ma un qualsiasi essere umano dotato di minimo spirito cognitivo troverà inappagante. E Nesse ne è ben consapevole. Secondo la sua visione la psichiatria evoluzionistica non è una scienza a sé stante, non trova risposte (leggasi terapie) laddove altre branche della psichiatria brancolano nel buio. L’evoluzionismo è per Nesse un fondamento su cui dovrebbe poggiare anche la psichiatria (“costruire ponti porterà molto più lontano che costruire una nuova isola”). 

Un contributo che coinvolge anche la filosofia, e non ultima la religione. Perché se è vero che esistono buone ragioni per stare male, vuol dire che il male, come sosteneva Leibniz, concorre in realtà alla perfezione e all’armonia del tutto, rendendo “consonanti le dissonanze attraverso altre dissonanze, al modo in cui la somma di due numeri dispari è un numero pari”.

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