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Mutazioni / Estizzazione. La nostra vita dopo il coronavirus

22 Marzo 2020

1.

Da un po’ di tempo meditavo di scrivere uno schizzo a sfondo profetico sul modo di vivere nel futuro prossimo: gran parte delle attività che svolgiamo oggi ancora in pubblico verranno svolte in casa. Avevo anche trovato un nome “scientifico” a questa mutazione del nostro modo di vivere, ovviamente preso dal greco antico: estizzazione, da Estia, la dea del focolare domestico (la Vesta romana). Ma le misure imposte in Italia e altrove per arginare la diffusione del coronavirus d’un tratto hanno reso quelle mie ipotesi “avveniristiche” più che mai attuali. Credo che, anche dopo aver debellato il Covid-19 (se ci riusciremo), la nostra vita non tornerà più la stessa di prima. Certi processi che erano già in corso ne saranno enormemente accelerati.

Le grandi aziende in Italia hanno instaurato quel che in quel bizzarro inglese immaginario che si usa da noi viene chiamato smart working (nell’inglese vero si dice working remotely, oppure wfh, work from home). È una modalità nella quale l’Italia era in grande ritardo: lavorare col computer in casa anziché in un ufficio. L’emergenza insegnerà a molte aziende, anche piccole, che far lavorare i propri dipendenti da casa col computer è molto meno costoso per loro, e meno stressante per i dipendenti. Il rito fantozziano di timbrare il cartellino sarà considerato un atroce arcaismo: non conterà più il tempo che si passa in ufficio, ma ciò che si produce a casa o altrove. Una generalizzazione del lavoro a cottimo. Risultato: non avremo più gli ingorghi del traffico nelle ore di punta. Inoltre, gli impiegati non saranno costretti, ogni giorno, a vedere certi colleghi che detestano. Ognuno smaltirà il proprio lavoro nel corso della giornata, quando e dove potrà. Talvolta anche di notte.

 

Ma questa “estizzazione” avverrà in ambiti ancora non toccati, ad esempio nell’insegnamento, dalla scuola media su su fino alle università: sempre più i professori terranno lezioni via skype a studenti che li seguiranno da casa. Oggi un gruppo skype può far comunicare simultaneamente fino a 50 persone, ma ben presto la tecnologia permetterà di farne comunicare 100, 150… L’insegnamento on line è adottato in molte università anglofone in questi giorni, con la fiera reazione di molti docenti, che vedremo poi. Ci si renderà conto dei grandi risparmi, di tempo e di danaro, con l’insegnamento on line: si eviteranno di trasportare ogni giorno insegnamenti e allievi (finita l’era degli Scuolabus), i bidelli, le manutenzioni delle aule. Un insegnante di Milano potrà insegnare a Bari, o viceversa, senza doversi trasferire e affittare una casa nella città dove lavora.

Alla rivoluzione skype si sommerà anche la rivoluzione Amazon e la rivoluzione Netflix, che vanno tutte nello stesso senso. Non ci sarà più bisogno di andare in qualche negozio per comprare qualsiasi cosa (dai cuscini del letto fino al computer), tutto si comprerà on line con Amazon o con – spero – altre aziende che le faranno competizione. Coloro che distribuiranno i prodotti di casa in casa diventeranno – lo sono già, ahimè – il nuovo proletariato.

Non si andrà più al cinema, si compreranno i film in rete e li si vedrà su un grande schermo nel tinello, invitando magari parenti e amici. 

La scomparsa progressiva dei cinematografi – già in pieno corso nelle grandi metropoli – è straziante per un cinefilo come me. So che non potrò più rivivere le deliziose sensazioni che avevo da giovane passando da un piccolo cinema all’altro a Parigi, dove proiettavano film vecchi, rari, esotici, preziosi… In salette comodissime, felpate, con un pubblico per lo più rado e silenzioso, ci si sentiva trasportati in un mondo allo stesso tempo collettivo e privatissimo. Tutto ciò finirà.

 

Paradossalmente, risorgerà il teatro. Nella misura in cui i film saranno a disposizione ovunque, anche sullo smartphone, il teatro invece riserverà un’esperienza che nessuna teleriproduzione potrà dare: quella di un contatto diretto con la star, con gli attori, con qualcosa che accade qui e ora in un luogo in cui sono. Si va al teatro o al concerto, piuttosto che vedere un film o ascoltare un disco, perché c’è questo rapporto ravvicinato, materiale, con l’artista. Dopo, il pubblico potrà parlare con gli interpreti, toccarli… Questo cambierà l’architettura dei teatri: il palcoscenico verrà sempre più inserito entro la platea, com’era in fondo negli antichi teatri greci.

Non si compreranno più libri di carta – li si terrà come preziosi oggetti di antiquariato – i libri verranno scaricati in ebook o su tablet. Librerie e chioschi di giornali spariranno del tutto. Finiranno le lunghe letture a sbafo che gli squattrinati fanno nelle grandi librerie.

Ugualmente straziante – per persone della mia veneranda età – è la scomparsa di tutti quei piccoli, molteplici, deliziosi negozietti in cui vai a cercare quel che ti piace: dai prosciutti ai libri, dai vestiti ai dvd, dalle forbici alle medicine (anche le farmacie spariranno: si ordineranno i farmaci on line). I centri storici delle grandi metropoli luccicavano grazie al discreto splendore dei tanti negozietti con insegne più o meno vistose. Al loro posto ci saranno solo ristoranti, caffè, pub, sale da ballo. 

Diverrà sempre più raro il possesso personale di un’auto. Lo vediamo già con i car sharing e con i car rentals, e altre forme di condivisione di auto. Vent’anni fa potevo ancora andare in Spagna in auto partendo da Roma, per esempio, oggi sarebbe impensabile. Già oggi si prende un aereo fino a Barcellona e poi si affitta un’auto per girare nell’entroterra. Al possesso narcisistico dell’auto – quello che ci fa perdere tanto tempo con bolli, revisioni, assicurazioni, riparazioni! – subentrerà la più oculata economia dell’auto in affitto. Avis ed Hertz diventeranno multinazionali potentissime. Possedere un’auto diventerà sempre più un lusso che si potranno permettere pochi, com’era in fondo cent’anni fa, all’inizio dell’era della motorizzazione. 

 

2.

  In un mondo in cui la casa sarà ad un tempo la propria abitazione, il proprio ufficio e la propria sala cinematografica, l’architettura domestica cambierà radicalmente. La casa tenderà a essere un universo chiuso, autarchico, autonomo. Il modello sarà la casa californiana: con piscina pur piccola, con giardino familiare. Oggi chi lavora passa poche ore a casa, tutto sommato, ma in un futuro molto prossimo passerà la maggior parte del proprio tempo at home: i due genitori lavoreranno al computer in due uffici distinti in casa, i figli seguiranno le lezioni via skype nella loro stanza. Anche le funzioni religiose si seguiranno da casa, come già sta facendo papa Francesco in questi giorni. 

Mi sembra già di sentire i gemiti delle Cassandre che in questa forma di vita vedranno la fine della vita comunitaria, il rinchiudersi in un gretto ghetto domestico. In realtà gli esseri umani continueranno ad amare il contatto sociale, solo che nella società estizzata esso assumerà altre forme. Detto in poche parole: incontreremo altre persone non perché siamo costretti a incontrarle (nell’ufficio, al cinema, nei negozi) ma perché vogliamo incontrarle. Magari in un locale pubblico, in un ristorante, in una sala da ballo… L’incontro personale sarà sempre di più un atto ludico, una festa, non routine quotidiana. La vita sociale diventerà sempre più teatro, sempre meno fabbrica. E non dico tutto ciò per esaltare questa forma di vita: per alcuni (anziani) sarà orrenda, per altri (giovani) sarà semplicemente la loro realtà. Così come è sempre stato.

 

 

Perciò le città saranno piene di ristoranti e caffè, al posto di negozi e cinema: perché “mangiare fuori” non potrà essere sostituito dalla telematica. Si va al ristorante perché non si vuole mangiare in casa, si va al caffè per dare una scenografia ai propri incontri amichevoli, per sentire l’alito dell’altro in faccia o per corteggiare vis-à-vis. Quella dimensione di contatto personale, quasi fisico, tra le persone, persisterà. Si incontrerà un’altra persona per toccarla, non per parlarci (quello lo si farà via skype, come già lo si fa per telefono).

Insomma, se dovessi consigliare un giovane ambizioso che volesse darsi a un’impresa di servizi, gli consiglierei di aprire un ristorante o un gran bar, o un’azienda di consegne a domicilio, o un rent-a-car, o un teatro, o un servizio di assistenza skype. Gli sconsiglierei invece di aprire un negozio qualsiasi foss’anche nel centro storico, né un cinematografo, né una rivendita di auto, né un’agenzia di viaggi.

 

3.

Dicevo delle profonde ripulse che questo mondo prospettato (però altamente probabile) scatena in molti, soprattutto tra i meno giovani. 

Ad esempio, la maggior parte degli insegnanti aborrisce far lezione via skype, dicendo che il contatto fisico personale con gli studenti è essenziale, ecc. La verità, semplicemente, è che è difficile per ciascuno cambiare abitudini, anche se si vota per “Potere al popolo” o per Marco Rizzo. È un po’ come avvenne nel passaggio dal cinema muto a quello sonoro: molte delle star del muto scomparvero perché non riuscirono ad adattarsi al parlato, persino il grande Chaplin ebbe molte resistenze ad adeguarsi. Uno dei più grandi teorici del cinema, Rudolph Arnheim, scrisse un libro per dire che il vero cinema d’arte era quello muto e in bianco e nero, mentre il cinema parlato e soprattutto (che orrore!) a colori non poteva essere arte, solo spettacolo commerciale.

Ogni innovazione tecnologica puntualmente solleva le stesse reazioni: una ripulsa, che anche grandi intellettuali avallano con argomentazioni sofisticate. Come scriveva Roy Lewis, “anche nel Paleolitico c’erano sicuramente gli attempati conservatori che lanciavano rampogne contro le smanie innovatrici di chi tentava di ribellarsi alla natura inventando il fuoco, le frecce, le lance, il matrimonio, le esplorazioni, e altre diavolerie. ‘Era meglio restare sugli alberi!’ avranno detto, mentre il mondo attorno a loro, ancora una volta, era già cambiato” (Telmo Pievani, Imperfezione. Una storia naturale, Raffaello Cortina, Milano 2019).

 

Forse, la mia facile accettazione, pur talvolta sofferta, delle innovazioni tecnologiche mi deriva dal fatto che mio padre, “il professore”, una volta che ero malato, da bambino, non mi regalasse un libro ma un giornaletto di fumetti, ritenuto da mia madre nocivo. A cui aggiungerei mio nonno paterno, un avvocato socialista di Napoli morto ultra-ottantenne negli anni 1970. Nel suo stile bonario ed elegante diceva: “Non capisco i miei coetanei sempre nostalgici del tempo andato, che si lamentano dei tempi nuovi, e dei giovani che sarebbero scostumati… Io invece trovo che oggi si viva molto meglio, anche a Napoli, che nella mia gioventù. Non si vedono più vecchi bavosi, storpi, gobbi, scugnizzi scalzi…” 

Quando apparve la televisione, si cominciò ben presto a dire che i raggi televisivi danneggiavano gli occhi, in particolare dei bambini (i più giovani risultano sempre le vittime elettive delle innovazioni tecnologiche; mai i più vecchi). Ma oggi passiamo buona parte delle giornate di fronte al computer, e nessuno dice che danneggia gli occhi. Più tardi si affermò una corrente intellettuale molto prestigiosa che denunciava la televisione come pericolosissima per i giovani a causa degli spettacoli di violenza che trasmetteva (come se l’Iliade non parlasse sempre di violenza…). Un filosofo-santuario come Karl Popper scrisse un Anatema intitolato Cattiva maestra, la televisione, in cui accusava la dipendenza dalla TV come corruttrice della gioventù (la stessa accusa, si noti, grazie a cui il popolo ateniese condannò Socrate a bere la cicuta). Oggi questo attacco alla televisione ci fa ridere come sarebbe dire che la stampa è un pericolo pubblico dato che sono stampati i libri come il Mein Kampf di Hitler. Gli usi peggiori di un nuovo medium vengono invocati per screditare il medium in toto.

 

Poi sono arrivati il computer e internet. Anche qui si paventava il fatto che i giovani passassero il loro tempo a navigare su internet, dove magari incontravano anche proposte di pedofili… (si preferirebbe che i giovani anziché con internet passassero il loro tempo a giocare alla vispa Teresa o a masturbarsi?). Si dice che il rischio, per i giovani, è diventare hikikomori – ma quando certi giovani si ritiravano in convento o si arruolavano nella Legione Straniera era meglio? 

Apriti cielo poi con lo smartphone! Si dice “i giovani vedono il mondo attraverso un rettangolino”. La vecchiaia ha solo questo vantaggio: sa che le tecnologie cambiano, ma che le risposte conservatrici sono sempre le stesse. L’Eterno Ritorno della Solita Lagna. 

 

4.

Mi soffermerò su una questione specialistica che interesserà solo alcuni: la tendenza crescente a fare sedute psicoanalitiche o psicoterapiche via skype. Molti analisti importanti affermano che una seduta via skype non potrà mai essere psicoanalitica. Lo fanno con ottimi argomenti teorici, magari ripresi dalla teoria psicoanalitica più sofisticata oggi, quella di Lacan. Con argomenti solo teorici, appunto. Ma la rivoluzione telematica andrà avanti lo stesso, e sempre più anche gli psicoanalisti faranno sedute skype. È vero che skype non funziona con tutti gli analizzanti, ma la mobilità della vita moderna finirà con l’imporlo – e anche la Teoria si adeguerà. Del resto, Freud aveva teorizzato l’impossibilità di analizzare bambini, psicotici, perversi… quanto poi alle analisi di gruppo, per Freud non erano nemmeno immaginabili. Ma ancora Freud vivo, i suoi seguaci (inclusa sua figlia) si dettero ad analizzare bambini, psicotici, perversi… e le necessità della guerra fecero scoprire l’analisi di gruppo. La psicoanalisi non è come la fisica, per la quale è impossibile superare la velocità della luce.

 

Bisogna dire però che anche gli analisti più ostili allo skype si stanno adeguando in questi giorni, altrimenti perderebbero tutta la loro clientela. Dicono: “Bisogna adeguarsi all’emergenza”. Ma non si rendevano conto che l’emergenza c’era già prima: l’emergenza della modernità.

Sostanzialmente gli argomenti degli analisti che rifiutano skype sono gli stessi che usano gli insegnanti che rifiutano lo stesso sistema: che la presenza fisica dell’analista è essenziale al rapporto analitico. Parole sante, ma siamo in un mondo che non ha più nulla di santo, dove tutto è fluido, liquido, mutante.

Io stesso mi sono piegato a fare analisi via skype perché sempre più certi pazienti diventano mobili per il lavoro. Alcuni poi chiedono un’analisi dall’estero, e sempre più alla distanza geografica abissale si aggiunge una distanza linguistica: analisi che si svolgono tra un analista e un paziente che parlano entrambi non la propria lingua originaria. 

Inoltre sono sempre più diffusi via skype anche seminari e supervisioni: talvolta si discutono casi clinici con analisti che stanno simultaneamente alcuni a Novosibirsk (Siberia), altri a San Pietroburgo, altri a Vienna, altri negli Stati Uniti… Piaccia o dispiaccia, questo è il mondo di oggi.

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