Una libertà contestata / Libero arbitrio?

25 Settembre 2020

Rabbi Nachman di Breslav, uno dei grandi del chassidismo, a chi gli chiedeva cosa fosse la libertà rispondeva: Cosa c’è di misterioso nella libertà? Fai quello che vuoi e non fai quello che non vuoi!

L'indubbia saggezza del maestro non rende meno discutibile questa affermazione stentorea e troppo sbrigativa, anche se in parte vera; infatti di misterioso nella libertà c'è tutto, la libertà stessa è un mistero! Fare quel che si vuole e non fare quel che non si vuole è un'espressione importante di libertà, che però si identifica non con la libertà tout court ma con il libero arbitrio, cioè con il tipo di libertà proprio degli esseri umani, quella che ci fa distinguere e scegliere tra il bene e il male, tra una strada e un'altra, tra un caffè e un cappuccino.

 

Per molti la libertà è solo questo e appartiene solo agli esseri umani. Come per Hanna Arendt secondo la quale Dio ha introdotto la libertà nel mondo per mezzo dell'uomo (Che cos'è la libertà? in Tra passato e futuro, Garzanti). Se le cose stessero così, se libertà e libero arbitrio coincidessero, con la nostra scomparsa la libertà non esisterebbe più. 

C'è chi trova molto riduttiva questa concezione della libertà, questo annodare la sua esistenza alla nostra, e addirittura fa il contrario, mettendo la libertà all'origine di ogni forma di esistenza (compresa la nostra) e considerando il libero arbitrio solo la forma di libertà peculiare dell'uomo, non l'unica. Lo fa Luigi Pareyson che in Ontologia della libertà (Einaudi) ha elaborato una visione dell'esistenza incentrata sulla libertà intesa come qualità intrinseca di tutta la realtà, tale per cui eliminando l'umanità la libertà continuerebbe a esistere, mentre eliminando la libertà, la realtà stessa, che di lei si sostanzia, scomparirebbe. 

 

È importante, allora, almeno filosoficamente, domandarsi da dove venga la libertà e se esista di per sé, come spiega Roberta de Monticelli la quale ritiene, giustamente, che andando al nocciolo il problema ultimo della libertà sia una questione metafisica: la libertà «corrispond[e] a qualcosa nella realtà»? E in caso affermativo, «di che cosa esattamente attesta l'esistenza?» (La novità di ognuno, Garzanti). 

Di processo flessibile o libertà di processo parla il fisico John Polkingorn indagando la forma di libertà propria del mondo fisico (Scienza e provvidenza, Sperling & Kupfer), mentre la meccanica quantistica con il suo fondamentale principio di indeterminazione sembra introdurre una traccia di libertà, una possibilità di alternativa, nel mondo dell'infinitamente piccolo.

 

 

C'è poi la questione, tutt'altro che risolta, dell'esistenza reale della libertà, almeno nella forma di libero arbitrio, che la frase di Nachman da cui siamo partiti dà per certa, mentre per alcuni scienziati essa sarebbe soltanto un prodotto della cultura o un derivato dell'evoluzione fisica del cervello umano. Anche se, in effetti, la mente – fenomeno non fisico – non è riducibile al cervello fisico (ne abbiamo parlato su doppiozero a proposito del libro di Joseph LeDoux, Ansia). Potremmo immaginare esiti diversi dell'evoluzione che magari potrebbero portare a un essere biologicamente simile all'uomo ma privo di libero arbitrio?

 

Il tema del libero arbitrio rappresenta soltanto un aspetto di quello molto più ampio e complesso della libertà, ma per noi umani, per la nostra vita pratica e quotidiana (e anche per la nostra autostima) non è liquidabile in fretta. In nuce esso si pone in questi termini: siamo davvero capaci di agire in base a delle scelte alternative o crediamo soltanto di esserlo e quella che consideriamo la nostra libertà è un'illusione culturale o di origine fisica? Le conseguenze che deriverebbero dalla seconda ipotesi – l'illusorietà del libero arbitrio – sarebbero mortificanti e soprattutto piuttosto destabilizzanti sul piano morale, etico, sociale e giuridico. L'assenza di libero arbitrio cancellerebbe, con un colpo di spugna, il concetto di responsabilità e con esso anche quello di giustizia giacché nessuno che non sia in grado di agire volontariamente, intenzionalmente e scegliendo tra almeno due alternative può essere considerato responsabile delle proprie azioni. Allora come e quando si dovrebbe considerare un atto un reato e sanzionarlo?

 

Della gravità di questa eventualità è tanto convinto Christian List, professore di scienza politica e filosofia alla London School of Economics, da scrivere un saggio, Il libero arbitrio. Una realtà contestata (Einaudi), per sostenere che il libero arbitrio è reale e possibile, e lo è nonostante le innegabili sfide lanciate contro questa ipotesi da alcune teorie quali il determinismo, il materialismo radicale e l'epifenomenismo (la teoria secondo la quale le azioni sono causate da processi fisici non intenzionali, per cui le intenzioni dell’agente sono, al piú, sottoprodotti delle cause fisiche sottostanti, meri epifenomeni).

Premesso che per esplorare il mondo ci muoviamo su livelli diversi a seconda di quale aspetto della realtà ci interessa, List avverte che se cerchiamo il libero arbitrio a livello fisico, stiamo semplicemente cercando nel posto sbagliato, perché il libero arbitrio è un fenomeno che emerge da processi fisici, ma non può essere compreso soltanto a livello della fisica fondamentale. Infatti, prosegue, l'agire intenzionale, le possibilità alternative e il controllo causale sulle nostre azioni, i tre prerequisiti ritenuti da tutti necessari perché si possa parlare di libero arbitrio, appartengono a un livello diverso, ma non per questo meno reale, da quello a cui appartiene il mondo fisico; esattamente come sono reali ma non del tutto comprensibili esclusivamente a livello fisico fenomeni come la mente, le istituzioni, le culture, il mercato e simili.  

 

L'obiettivo principale di List è dimostrare ragionevolmente la compatibilità tra l'ipotesi dell'esistenza reale del libero arbitrio e la visione del mondo fondata sulle attuali conoscenze scientifiche. Il suo ragionamento si sviluppa prendendo in esame, una alla volta, le obiezioni rappresentate dal determinismo, dal materialismo radicale e dall'epifenomenismo, dei quali evidenzia l'irrilevanza o la compatibilità rispetto all'esistenza del libero arbitrio. Infine propone la sua tesi, che chiama libertarismo compatibilista, a favore dell'effettiva capacità umana di libero arbitrio. 

L'errore fondamentale del materialismo radicale che riduce l'azione intenzionale a effetto della fisica del cervello sta, a suo avviso, nell'ignorare che «il pensiero e l’intenzione sono proprietà della mente, non del cervello. Il cervello è il locus dei processi fisici. Solo la mente è il locus del pensiero». Riguardo all'epifenomenismo, List spiega in modo dettagliato e stringente che la possibilità dell'azione intenzionale da esso negata è, invece, « indispensabile sia da un punto di vista pratico sia scientifico, poiché esistono numerosi fenomeni che non saremmo in grado di comprendere se non considerassimo gli esseri umani e altri animali complessi agenti intenzionali» ed è, infatti, riconosciuta come elemento fondamentale «da tutte le scienze umanistiche e sociali, dall'antropologia alla psicologia, dalle scienze politiche alla sociologia». «Se queste teorie, conclude, danno per scontato che un particolare fenomeno è reale, e sono scientificamente ben corroborate, allora non ha senso chiedersi se il fenomeno sia "realmente" reale.» Almeno fino a che qualche dato scientifico altrettanto fondato non le metta in discussione.

 

Il determinismo, che nega la reale possibilità di alternative e dunque la scelta, rappresenta la critica più comune e discussa al libero arbitrio. List l'affronta sostenendo che l'indeterminismo fisico non è una condizione necessaria rispetto alla possibilità di azioni alternative, per le quali è necessario invece un indeterminismo a livello psicologico o intenzionale. Che il mondo a livello fisico sia o meno deterministico non ha importanza per il libero arbitrio e sostenere il contrario comporterebbe un errore categoriale, «una mescolanza di due diversi livelli di descrizione che non possono coesistere.» Per fare un esempio: un tassista che ci porta oggi alla stazione di Milano e domani a Linate, lo fa perché glielo abbiamo chiesto e non a causa dei dettagli microfisici del suo corpo; noi vogliamo andare oggi qui e domani là, e lui è disposto ad accompagnarci. 

Quindi, in fondo, nella sua semplicità neppure Rabbi Nachman aveva del tutto torto…

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