A ciascuno il suo typo

28 Agosto 2012

Sapete in che carattere è composto l’articolo che ora state leggendo? Probabilmente no. Forse è solo una curiosità, dal momento che nessuno, salvo gli addetti ai lavori, “vede” il carattere usato in doppiozero: Arial per i titoli e Georgia per i testi (scelti entrambi da www.studiopaola.it, che ha progettato la grafica di questo sito e dei suoi ebook). E i caratteri del romanzo che avete appena comprato o che state già leggendo? Quelli dei cartelli stradali e della pubblicità che guardate quasi ogni giorno? Non spaventatevi, è normale, nessun problema: i caratteri sono cosa da grafici. Ma se vi affascina l’idea di riconoscerli, e se provate a fare come Cyrus Highsmith, vi troverete di sicuro nei guai. Alcuni anni fa questo disegnatore di caratteri newyorkese decise di passare un intero giorno senza incontrare l’Helvetica, uno dei caratteri più diffusi al mondo. Disegnato nel 1957, è versatile, senza grazie, sobrio e leggibile, buono per tutti gli usi e soprattutto coetaneo di due tra i più importanti fenomeni del XX secolo: i viaggi di massa e il consumismo. Appena alzato Cyrus non riesce a vestirsi con i soliti indumenti: le istruzioni di lavaggio sono scritte in Helvetica; trova solo una tuta militare e una vecchia T-shirt; a colazione è costretto a bere the giapponese e a mangiare frutta fresca: niente scritte consuete; non può neppure leggere il New York Times o salire sulla metropolitana per non imbattersi in quel carattere; per fortuna trova un autobus che ne è privo. Per mangiare va dritto a Chinatown: ideogrammi cinesi, ma deve scartare il primo menù che trova, l’inglese è in Helvetica; sul computer apre la tendina e cerca un altro carattere, ma poi non riesce a navigare nel web; così fatica con le banconote e non usa la carta di credito: in entrambi c’è. A sera, al ritorno, rinuncia al televisore, perché i comandi sono in Helvetica, sceglie un volume composto in Electra, e infine si addormenta.

 

Il carattere c’è, come ho detto, ma nessuno lo vede. Ma dal momento che impari a conoscerlo, lo vedi dappertutto. L’Helvetica poi ha invaso il globo. L’arrivo di questo carattere nel mondo della comunicazione – i caratteri sono una fondamentale interfaccia con il mondo, come si è capito dall’esperimento di Cyrus – ha cambiato la vita di molti. Oggi, a distanza di quasi sessant’anni, sappiamo che ha funzionato perché veicolava un’idea di onestà, fiducia, e soprattutto è privo del dispotismo di molti altri caratteri: Helvetica è l’alfabeto della moderna democrazia di massa, una cosa non da poco. In questo ha avuto un fenomenale concorrente: l’Univers. Nel medesimo anno in cui nasce l’Helvetica, Adrian Frutiger, svizzero anche lui, disegna a soli ventotto anni l’altro carattere che ha dominato il mondo sin qui, per quanto oggi l’Univers ci appare un po’ rigido e severo.

 

Sto desumendo tutte queste informazioni da un libro brillante e colto, Sei proprio il mio typo (Ponte alle Grazie) di Simon Garfield, pieno d’informazioni e di storie di uomini e di caratteri, ovvero di font, come si dice oggi, anche se in italiano la parola indicherebbe solo i caratteri digitali, ma nel resto del mondo oramai si dice solo così. Le font (uso il femmnile come nel volume di Garfield, ma ho sentito dire anche il font, al maschile) appartengono a quelle cose importanti ma invisibili. Se si tratta di un buon carattere – ben disegnato, adatto, godibile –, mentre si legge non lo si vede quasi mai: è come il doppio vetro, guardiamo attraverso, questo è il segreto dei caratteri. Nel corso dei 560 anni in cui esistono, questa è sempre stata per tipografi, editori e grafici la regola principale. Ma c’è anche un altro aspetto, il gusto, che poi coincide con la popolarità comprovata dal consumo di massa.

Zuzana Licko, disegnatrice californiana, creatrice con Rudy VanderLans di Emigre, la rivista di tendenza che ha ispirato le ultime generazioni di graphic design, sostiene che “si legge meglio quello che si legge di più”, dando ragione a uno dei padri della moderna tipografia Eric Gill: “La leggibilità, in pratica, è semplicemente ciò cui si è avvezzi”.

 

Facciamo l’esempio di EasyJet, la compagnia aerea low cost: sulle fiancate degli aerei il nome è scritto usando il Cooper Black, font utilizzato, tra l’altro, anche dalle scarpe Kickers. Trasmette, ed è la prima volta, l’idea che un aereo può essere divertimento, e non più precisione, esattezza, serietà (per carità c’è anche questo, ma con i low cost il viaggio è diventato divertimento e non più affari o avventura). Ebbene il Cooper Black, un carattere predigitale, degli anni Venti del secolo scorso, è quel tipo di carattere, scrive Garfield, “che gli oli di una lampada di lava formerebbero se la lampada andasse in frantumi sul pavimento”. Naturalmente è solo un brand, e non un giornale o un libro, dove la leggibilità sono molto importanti; del resto, ci sono infatti  font che sono destinate a essere viste anziché lette.

 

Frutiger ha detto che “il lavoro del disegnatore di caratteri è simile a quello del sarto: vestire l’immutabile forma umana”; e Alan Fletcher, designer di libri, ha aggiunto: “una font è un alfabeto con una camicia di forza”.

Al termine del libro di Garfield c’è una tavola dei caratteri più diffusi al mondo modellata sulla tavola degli elementi di Mendeleev. In alto, insieme a Helvetica e Univers, c’è Futura, disegnato da Paul Renner nel 1924. Lo usa la Volkswagenper la sua pubblicità e la targhetta lasciata sulla Luna dall’Apollo 11 è composta con la creatura di Renner; anche IKEA l’ha utilizzato a lungo, fino a che non l’ha sostituito con il Verdana, suscitando una grossa controversia tra i suoi clienti.

 

Che i caratteri, o font, siano un elemento non secondario nella nostra cultura contemporanea lo mostra la storia di Steve Jobs, studente universitario fallito, che ripiega su un libero corso di calligrafia, dove impara a utilizzare le font, a distinguerle e a maneggiarle. Questo cambia tutto nel suo modo di guardare al futuro computer. Il primo computer Macintosh metteva a disposizione degli utenti per la prima volta un’ampia gamma di caratteri; da quel momento le lettere e i caratteri tipografici sono entrati – o rientrati – nella nostra vita in modo preponderante. Prima di tutto per un fatto estetico, ma anche economico, e persino politico. Chi si ricorda il Chicago dei primi menù Apple, poi finito nei primi iPod? E come fare a meno del Verdana o del Georgia, disegnati da Matthew Carter, a mio parere, e non solo mio, il migliore e più leggibile font per la videoscrittura? Non a caso, come ho detto, doppiozero usa il Georgia per far leggere meglio (Stefano Chiodi ne è stato e ne è ancora l’irriducibile sostenitore). E poi il Gotham, il carattere utilizzato da Barack Obama e da Hollande per le loro vincenti campagne elettorali? Che sia un carattere di “sinistra”, socialista? Difficile dirlo.

 

L’ultimo personaggio con cui si congeda il bellissimo libro di Garfield (che si fa leggere da chiunque, anche dai non-grafici come me) è il giovane Luc(as) de Groot, olandese trapiantato a Berlino: ha disegnato il Calibri per la Microsoft, un carattere senza grazie, arrotondato e duttile; lo utilizzano anche Outlook, PowerPoint e Excel. Ha soppiantato il tradizionale Times New Roman e l’Arial. Calibri governa il mondo, almeno per ora.

Non credete che sia venuto il momento di saperne di più sulle font? Prendete e leggete, guardando i caratteri!

 

 

Questo articolo è apparso, in versione ridotta, su La Stampa.

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