Intervista a David Sax. La rivincita del digitale / Abbiamo ancora bisogno degli oggetti

26 Gennaio 2017

Giradischi, vinili, musicassette, cd, mp3, ipod, streaming e poi…giradischi e vinili. Di nuovo. Nel 2016 nel Regno Unito si sono venduti così tanti vinili come non accadeva dal 1991. Le magnifiche sorti e progressive dell’ebook sembrano essersi arenate da tempo e il 72,2% delle vendite di libri nuovi in Italia, secondo l’ultimo rapporto AIE, avviene in librerie fisiche (grandi catene o indipendenti) e non online (solo il 13,9% del mercato totale arriva da qui). Cosa sta succedendo? Ci siamo convertiti in luddisti pronti ad abbandonare il progresso? Ne abbiamo abbastanza dei nostri smartphone? Oppure dopo la sbronza digitale stiamo cercando con fatica di trovare un nuovo equilibrio? David Sax, giornalista canadese, si è posto queste domande nel suo ultimo libro, The revenge of the analog (La Rivincita dell’analogico, non ancora edito in Italia) . Tanto da arrivare a parlare di economia post-digitale.  

 

Signor Sax, cosa vuol dire che stiamo vivendo in un’economia post-digitale? 

 

Il digitale ormai è la norma, non c’è più nulla di nuovo: abbiamo i computer da trent’anni, internet da venti, gli smartphone da dieci. Quello che io chiamo “Rivincita dell’analogico”, sta accadendo in questo contesto: non combatte contro il digitale ma accade perché il digitale è forza dominante.  

 

Ma come può accadere che la tecnologia analogica sia ancora sostenibile in un ambiente digitalizzato? 

 

Lo è perché abbiamo ancora bisogno degli oggetti. E abbiamo bisogno di lavori, obiettivi, posti dove andare. Si può comprare di tutto online eppure le strade sono piene di negozi: perché c’è un vantaggio economico nel vendere cose reali in posti reali. Così come c’è un vantaggio nel produrli. I posti di lavoro che l’industria digitale crea sono pochi e solo per persone molto istruite. 

 

Il digitale però è una tecnologia estremamente efficiente: riduce costi di produzione, distribuzione, spostamento. Cosa offre di più l’analogico per un consumatore? 

 

Il limite, ad esempio. L’analogico a differenza del digitale possiede limitazioni fisiche: le dimensioni di un quadernino, il numero di foto che si possono realizzare su un rullino, etc. Tendiamo a considerare i limiti come qualcosa di negativo ma sono un fattore di forza nel processo creativo. Il digitale invece è illimitato ma può essere paralizzante. Altro vantaggio è quello sensoriale: noi umani abbiamo mani, bocca, occhi, orecchie, sensi che non sono del tutto coinvolti mentre tocchiamo un piatto pezzo di vetro sullo smartphone. Se si disegna qualcosa su un foglio di carta invece i sensi sono più coinvolti e la ricompensa è una maggiore creatività. 

 

Opera di Ian Cheng

 

E la durevolezza di un oggetto? 

 

I beni analogici (a meno che non ci sia un incendio o un alluvione…) durano molto più a lungo di quelli digitali. Si può andare in un museo e vedere oggetti di secoli fa ma prova a prendere un file dal tuo vecchio floppy disk e guarda se funziona. I formati cambiano. Mentre io ascolto vinili degli anni ’50 su un giradischi degli anni ’70 con casse degli anni ’90. E tutto funziona alla perfezione. 

 

È per questo che siamo disposti a pagare per avere questi oggetti? 

 

Sì perché quando li compriamo sappiamo che resteranno con noi, così come quando si scrive qualcosa su un quaderno si sa che resterà lì. L’intuizione di Maria Sebregondi, l’ideatrice del Moleskine moderno, è nata proprio guardando due mostre di Picasso e Hemingway dove erano esposti i loro taccuini. 

 

Quando parli di Adobe e dei suoi corsi di meditazione, sostieni che “il digitale desidera l’analogico più di ogni altro”. Che vuol dire? 

 

I politici o chi lavora nei giornali continuano a ripetere che il digitale è l’aspetto su cui puntare di più. Ma chi lavora nel mondo dell’industria digitale, proprio perché è a contatto con quella tecnologia tutti i giorni, ne conosce i limiti: sa dove il digitale non è la migliore opzione. Queste persone pensano all’analogico come a uno strumento importante per avere un modo diverso di pensare, lavorare e comunicare.  

 

D’accordo ma cos’è allora un’idea analogica? 

 

È un approccio a un problema che implica una soluzione basata su idee non digitali. Il mio obiettivo è dimostrare che l’analogico è più di una serie di beni di consumo: è un approccio con cui operiamo nella vita. Negli ultimi anni il digitale è stato descritto come la soluzione a tutti i problemi: dall’educazione all’economia, all’ambiente. Ma questo svaluta il valore del mondo reale.  

 

Perché mai la tecnologia non dovrebbe aiutare l’educazione?  

 

Può farlo. Ma c’è un errore. Dai computer, ai tablet, alle lavagne elettroniche, fino ai corsi universitari online si sono fatti investimenti di miliardi di dollari e quasi sempre ci si è ritrovati con un fallimento. Perché non si è tenuto in conto della differenza tra informazione e apprendimento. Con la tecnologia si può avere tutta l’informazione del mondo ma il processo di apprendimento, comprensione e conoscenza è diverso. E per quello c’è bisogno di un maestro, di una classe, di un confronto con altre persone.  

 

E come rispondi a chi sostiene si tratti solo di una moda un po’ hipster o una questione di nostalgia?  

 

Certo, al momento è una moda. Ma non vuol dire che non durerà. La gente compra Moleskine per nostalgia? Sono vent’anni che lo fa... Lo comprano perché lo usano e gli piace: e lì c’è un business. Per Moleskine ma anche per le compagnie che gli forniscono la carta, per i negozi che lo vendono etc. Non c’è nulla di nostalgico in tutto ciò, anche se il prodotto si basa su qualcosa che può essere accaduto in passato. E in ogni caso la nostalgia non è per forza un male: significa guardare criticamente a ciò che abbiamo oggi e ciò che avevamo in passato e decidere cosa funziona e cosa no. Ci permette di andare avanti senza un’unica direzione o un’unica narrativa. 

 

Che reazioni hai avuto al libro? 

 

Per molti versi io “predico a chi si è già convertito”. Poi c’è chi dice che “Sono solo sciocchezze e tutti amiamo il nostro iphone!”. Ma io non sto dicendo di prendere gli smartphone e buttarli a mare (anche se a volte viene voglia). Ognuno di noi ha un equilibrio da trovare tra analogico e digitale e non può più esserci solo uno dei due aspetti. Per troppo tempo abbiamo pensato che la nostra vita sarebbe stata più facile, ricca e efficiente una volta che tutto fosse stato digitalizzato. Ma non è successo. E in questo momento stiamo cercando un nuovo equilibrio.  

 

Questa intervista sarà contenuta in: Origami n. 63 (26 gennaio-1 febbraio).

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