1947 - 2022 / Dal Lago e la sociologia come critica

28 Marzo 2022

La morte prematura di Alessandro Dal Lago acquisisce un particolare valore simbolico, soprattutto se valutata in rapporto allo stato della Sociologia italiana. La sua vocazione critica e la sua apertura interdisciplinare – in particolare grazie al dialogo costante tra sociologia, antropologia e filosofia – rappresentano un modello per i giovani sociologi nostrani, troppo spesso ammaliati dalle sirene di una deriva pragmatica, quantitativa e mercatista, frutto di un drammatico complesso d’inferiorità nei confronti delle scienze quasi esatte. Oltre alla cura e/o all’introduzione di testi chiave della cultura sociologica e filosofica, come quelli su Georg Simmel, Hannah Arendt, Hans Jonas, Erving Goffman, Michel Foucault ecc., l’attività intellettuale di Dal Lago consta di una vasta produzione monografica. 

Alla prima fase fondativa che riguarda la specificità metodologica del suo approccio, dal manuale Etnometodologia (Il Mulino, 1983) scritto con Pier Paolo Giglioli, al testo Oltre il metodo.

 

Interpretazione e scienze sociali (Unicopli, 1989), segue un elevato numero di esplorazioni su una vasta gamma di fenomeni culturali. La sua ricerca più recente non disdegna il confronto con gli eccessi della società dei consumi e dello spettacolo. Non si tratta dunque solo di una vocazione alla critica integralista che rifiuta in toto la dignità dei prodotti dell’industria culturale ma, al contrario, la sua ricerca dialoga costantemente con essi, anche nelle forme più effimere e triviali: dai graffiti, al calcio, ai blockbuster della narrativa italiana. In Eroi di carta. Il caso Gomorra e altre epopee (Manifesto libri, 2010) difatti, egli analizza la letteratura di largo consumo come il caso Gomorra-Saviano, di cui il sociologo apprezza la capacità di disvelamento, ovvero l’aver sollevato questioni chiave come il fatto che le mafie siano un problema diffuso nelle zone più ricche del Paese, ma contro cui egli muove anche critiche fondamentali: 

 

“L’opinione corrente è che Saviano abbia rivelato in Gomorra i rapporti tra crimine ed economia globalizzata… Che la camorra, come la mafia e la 'ndrangheta, si globalizzi e investa in tutto il mondo non significa che l'economia globale sia camorrista. La tesi che il capitalismo globale è criminale, o per natura o perché colonizzato dalle mafie, accenderà le fantasie, ma dice proprio poco… Anche se si ritiene che trent'anni di deregulation e di strapotere finanziario abbiano contribuito a rovinare milioni di vite (io la penso proprio così), mettere sullo stesso piano le mafie mondiali e l'economia di mercato all'insegna del capitalismo criminale significa ridurre tutto a una questione di lotta contro il Male” (p. 13).

 

L’equiparazione tra la malvagità del capitalismo e quella delle mafie è una fallacia a cui Dal Lago contrappone una lettura critica ma non manichea degli eccessi del liberismo e del globalismo. L’impossibilità di concepire un male assoluto contro cui combattere è forse la premessa metodologica allo studio della varietà culturale che è, come da anni insegnano i Cultural Studies, sempre al crocevia tra molteplici letture possibili del fenomeno (dalla più integrata, a quella più oppositiva, alla più negoziale). È questo forse il grande merito della sua sociologia: la capacità di sondare a pieno la varietà espressiva della cultura popolare, senza con ciò doversi sporcare le mani con essa. Per questo stesso motivo sul finire degli anni novanta la sua traiettoria intellettuale incrocia quella di Alberto Abruzzese, con cui cura un testo sull’evoluzione dei media nel tempo, intitolato Dall’argilla alle reti (Costa&Nolan, 1998). 

 

 

Di più recente realizzazione sono le sue ricerche su fenomeni decisivi per lo sviluppo della società globale, come il tema dell’immigrazione, affrontato soprattutto in Non-persone. L'esclusione dei migranti in una società globale, del 1999, che fu pubblicato per i tipi della mitica Interzone di Feltrinelli. In questo libro-ricerca si anticipano di circa quindici anni i temi chiave del dibattito, tanto tardivo quanto ossessivo, sull’immigrazione in Italia. Il tema del nuovo razzismo è correlato a quello della “macchina della paura”, con la scoperta di un razzismo di sinistra che è uno dei più drammatici indicatori della crisi della globalizzazione. Il libro va forse collocato nel filone dei testi più esplicitamente politici che vanno dalla crisi della sinistra, all’affermazione del Movimento 5 Stelle e all’avvento del populismo digitale (si veda la mia recensione del suo libro per 00).   

 

Di particolare interesse ai fini di una riflessione sul ruolo odierno della sociologia, della filosofia e più in generale delle scienze umane, è Il business del pensiero. La consulenza filosofica tra cura di sé e terapia degli altri (Manifestolibri, 2007). Il libro è stato accolto con freddezza dai filosofi in parte per il fatto che a scriverlo era un sociologo, in parte perché, smontando i presupposti teorici del famigerato trend della consulenza filosofica, esso intaccava un’area di pertinenza e di espansione dei loro settori disciplinari. La “trasformazione spettacolare” del dialogo socratico, affrontata nel secondo capitolo, è il segno di una penetrazione della valorizzazione capitalista nell’ambito della filosofia che, per definizione, è una modalità di pensiero fondamentale su cui si sono edificate tutte le scienze.

 

Anche in questo caso Dal Lago non disprezza la deriva modaiola della filosofia, se paragonata alla supponenza di alcuni intellettuali del passato come il suo amico filosofo atteso a lungo in un seminario. I consulenti filosofici (CF) “vestono sobriamente (grigio, blu), portano una ventiquattr’ore e hanno quel portamento executive” (p. 20), somiglierebbero pertanto a esperti di problem solving, come l’indimenticabile Mister Wolf in Pulp Fiction. Il testo di Dal Lago non rappresenta solo una invettiva polemica nei confronti della managerizzazione della filosofia ma di tutte quelle discipline motivazionali e ispirate al self-help che cercano una risposta ai problemi dell’uomo, ovvero una filosofia che al contempo “insegna la felicità”, “cura le malattie dell’anima”, “risolve problemi”, permette di “migliorare i processi produttivi” (p. 17). Il libro pertanto s’inscrive in un importante filone di studi che va dai lavori di Christopher Lasch su Cultura del narcisismo e Io Minimo (si vedano mie recensioni su 00), alle più recenti polemiche contro la società positiva, palliativa e prestazionale di Byung Chul-Han.

 

Partendo dalla domanda su un Socrate disposto o meno a frequentare i manager e le aziende, Dal Lago giunge a chiedersi se anche Georg Simmel “pensatore scettico, relativista, sociologo anti-positivista, maestro di aforismi e di ironia… cent’anni dopo, sarebbe passato dalla Filosofia del denaro al denaro della filosofia?” (p. 114). Al di là della funzione livellante del denaro nella consulenza filosofica, ripresa nel più recente raccolta di saggi Insofferenze (Prospero editore, 2021), la riflessione su tale attività mira a comprendere qualcosa di più esteso: la deriva del sapere nelle società avanzate, la cui la dimensione qualitativa risulta sempre più sfruttata, valorizzata e messa a terra (direbbe il consulente esperto), dalla logica quantitativa che oggi domina le modalità di diffusione dei saperi. Potremmo pertanto considerare la sua analisi come una sorta di avamposto, rispetto alle più recenti critiche dei processi di datificazione e commercializzazione della conoscenza nella società delle piattaforme.

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