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Fragile umanità / Novel food entropia e altri disordini

20 Dicembre 2017

 

Cinquanta miliardi di animali macellati ogni anno per i bisogni dei consumatori americani sono un numero che lascia sbalorditi, sono una dimensione dell’orrore nascosta ai luoghi e agli occhi della civiltà che frequentiamo. Ma anche se questo numero fosse stato arrotondato per eccesso, di fronte a quello che comunque rimane un enorme “massacro”, prima di ogni considerazione etica, economica, ecologica deve esserci il dubbio che tutto questo possa essere anche un “disordine” nella nostra società, e ancor più indietro dovrebbe esserci l’idea di una consapevolezza, quella che abbiamo di noi stessi rispetto agli altri viventi; alla lunga, l’idea che ci sorregge nello sfruttamento dell’ambiente e delle creature che lo abitano.

Fragile Umanità di Leonardo Caffo (Einaudi, 2017, pp. 136, € 12,00) è innanzitutto un libro di filosofia. Ma può essere anche un libro in grado di aiutarci nell’interrogativo di cui sopra, un libro per chi si interroga sul superamento dell’antropocentrismo, vale a dire la nostra presunta superiorità rispetto alle altre forme di vita.

 


Nello stesso tempo è anche una lettura adatta all’intolleranza vegana verso la felicità che gli onnivori provano nei confronti di un prosciutto di Parma o di un abbacchio alla romana.

Le stesse pagine potrebbero anche ripagare quegli animalisti per i quali i diritti del proprio cane sono pari – in realtà superiori – al derelitto che, invisibile, incrociano tutte le mattine all’angolo della strada. Due condizioni quest’ultime al confine della provocazione certamente ma comunque non lontane da una realtà, per quanto marginale, concreta... Nazi animalisti e nazi vegani del resto non sono neologismi di maniera ma descrizioni colorite di un certo modo di pensare... talvolta di agire.

 

Per Caffo, è lo specismo la definizione filosofica che ci caratterizzerebbe nello sfruttamento dell’ambiante e delle sue risorse. È lo specismo il “peccato originale”, vale a dire la convinzione filosofica largamente diffusa, almeno in Occidente, di essere al vertice della natura e dei suoi processi. Una situazione di privilegio nei confronti del mondo animale – ben oltre la condizione di primus inter pares – avvenuta ed ereditata attraverso un lungo processo culturale, almeno del mondo occidentale e che il libro riassume in alcuni momenti fondamentali. Il creazionismo delle religioni monoteiste e in particolare nella religione ebraica e cristiana, dove l’umanità è fatta a somiglianza di Dio e posta al vertice del creato: E Dio disse: “Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche...” (Genesi 1,26).

E poi l’universo tolemaico che per millenni ha condizionato un’idea di un’umanità al centro dello stesso universo e che è stata un’altra ‘idea guida’ nel collocarci erroneamente al centro nell’ordine universale.

Ordine che avremmo scoperto in seguito che non c’era; Copernico e la sua sfera celeste saranno il primo passo verso una nostra collocazione ai margini del sistema solare, privi di ogni centralità e privilegio. Ma anche dopo, almeno nelle élites, l’idea kantiana, di una natura come rappresentazione dell’intelletto umano, è stata un’idea dominante.

 

 

Dunque una percezione globale antropocentrica che l’affermazione dell’economia capitalista e dei suoi modelli avrebbe poi dilatato a noncurante saccheggio della natura, delle sue risorse, al disconoscimento culturale di una pari dignità tra esseri viventi, al disconoscimento della comune natura, dell’esser cioè fatti della stessa sostanza e “fragilità”.

Fin qui il libro di Caffo che ipotizza anche un’umanità a venire, affrancata dell’antropocentrismo e verso un nuovo possibile rapporto con gli animali. 

Ma in natura e ancor più in alimentazione la filosofia ha i suoi limiti...

 

Per i più distratti di noi, l’espressione Novel food è arrivata con i giornali e i tg di Ottobre.

Novel food, ovvero qualsiasi prodotto alimentare che “non sia stato utilizzato in misura significativa per il consumo umano nella Comunità Europea prima del 15 maggio 1997”. In pratica tutti quei “prodotti o ingredienti alimentari con una struttura primaria nuova o volutamente modificata. Prodotti o ingredienti alimentari costituiti o isolati a partire da microorganismi, funghi o alghe. Prodotti e ingredienti alimentari costituiti da vegetali o isolati a partire da vegetali e ingredienti alimentari isolati a partire da animali, esclusi i prodotti e gli ingredienti alimentari ottenuti mediante pratiche tradizionali di moltiplicazione o di riproduzione che vantano un uso alimentare sicuro storicamente comprovato. Prodotti e ingredienti alimentari sottoposti a un processo di produzione non generalmente utilizzato, che comporta nella composizione o nella struttura dei prodotti o degli ingredienti alimentari cambiamenti significativi del valore nutritivo, del loro metabolismo o del tenore di sostanze indesiderabili”.

Questi prodotti, previsti dal regolamento europeo 258/97, saranno sdoganati ora, più esattamente dal gennaio 2018.

Il mondo ci divora e noi divoriamo il mondo, il mondo che cresce ha fame di proteine animali e i novel food, in particolare gli insetti, sembrano la nuova frontiera accessibile di proteine ad alto valore biologico. Insetti e novel food sono lontani dal massacro quotidiano di mammiferi e altri animali, ma può essere la risposta corretta?

Visti da adesso, alla vigilia di questa “rivoluzione”, cosa sembrano se non un altro elemento di confusione?

 

Ci nutriamo di proteine e delle altre sostanze con cui è organizzata la vita organica, ma mangiamo cibi che riconosciamo con la mente e con il gusto come parte di una storia, come parte della nostra storia. Non abbiamo mai cacciato né mangiato insetti perché non apparteniamo alla storia e alla geografia dell’Africa o di una foresta tropicale. Non è una distinzione, né un limite da poco. Condividere il cibo, condizione e privilegio solo umano, è soprattutto condividere le storie che ci legano a quel cibo rispetto alla comunità cui apparteniamo. Come pensare che gli insetti diventino un elemento per legare il presente con il passato che ci ha fatto quel che siamo?

 

 

Certamente oggi, al “brodo culturale” dell’antropocentrismo – e ben prima dei novel food – si sta affiancando una sensibilità nuova, la consapevolezza di essere schegge di vita alla periferia di una dei miliardi di galassie che costituiscono l’universo, accidenti di un caso a cui non sappiamo dare un nome. E inoltre la consapevolezza che la fragilità che contraddistingue la specie umana non è privilegio per cui fondare una dittatura sul mondo dei viventi.

Ma può questa rinnovata sensibilità cambiare il nostro rapporto con la natura e in particolare con gli animali? 

Possibile, anche se la fragilità che condividiamo con le altre creature, è questione che interessa la filosofia e molto meno gli esseri viventi. 

Perché la natura ignora la metafisica e la filosofia non è il linguaggio attraverso il quale gli esseri viventi comunicano tra loro. Non esiste ad esempio una definizione di vita – concetto filosofico appunto, astratto – e semmai è solo sulle caratteristiche e sulla definizione degli “esseri viventi” che ci si può interrogare.

Ciclo vitale (nascita, sviluppo, morte), riproduzione, reattività agli stimoli ambientali, metabolismo, nutrizione sono le caratteristiche che accomunano tutti gli esseri viventi, animali, vegetali, presi singolarmente. Se si cerca un filo comune tra tutte le caratteristiche che definiscono i viventi, questo potrebbe forse essere la capacità di conservare e propagare (che è un conservare ad altre generazioni) quell’attitudine a trattenere ordine nonostante il disordine generale. “Attitudine all’ordine” che possiamo per semplicità collocare come informazioni nel dna e nella sua espressione (le diverse forme viventi), attitudine che per un tempo definito riesce a resistere all’aumento di entropia (e di disordine) che trascina tutto l’universo. Almeno, questo è ciò che è scritto nella irreversibilità della seconda legge della termodinamica.

 

Se questo è l’orizzonte definitivo in cui siamo avvolti, quella parte di “materia ordinata” che temporaneamente resiste al disordine – le diverse forme viventi – si conserva tale anche o soprattutto attraverso l’alimentazione. Ci si riproduce obbligatoriamente entro la specie e ci si alimenta quasi sempre di altre specie, perché alimentarsi, alla fine, aldilà degli adattamenti e dei comportamenti, necessita dell’ordine di molecole organiche, vale a dire necessita di altra vita. Non è possibile alimentarsi solo di sostanze inorganiche, e nemmeno di soli integratori, e su un altro piano, neppure di novel food.

In particolare la fame di proteine significa aminoacidi essenziali; soprattutto questi, e poi gli acidi grassi essenziali e le vitamine sono le molecole organiche principali che ci occorrono per mantenere l’equilibrio instabile che chiamiamo essere vivente. Vivere secondo natura ha alla base il prelevare “molecole ordinate” presenti solo – che siano di origine vegetale o animale – in altre forme di vita. Perché alla lunga, quando non si ignorano, alimentarsi è solo la parola fine con cui specie diverse comunicano tra di loro: la violenza è prevista dalla natura e dai sui cicli. 

Ben dentro quegli stessi cicli, l’umanità, a differenza delle altre specie, può solo tentare di venirne a patti.

 

E vengono in mente le tende scure dei patriarchi di Israele, viene in mente Abele e il perché la stirpe di lui era la prediletta dal Signore; viene in mente tutta la civiltà nomade e pastorale, così lontana da quella che si realizzerà nella società contadina prima e in quella capitalista poi. Perché il capitale per il pastore è sempre stato solo il “sangue che cammina”... 

Forse quella società è stata l’ultimo modello reale nel quale gli animali sono stati utilizzati con umanità, in cui si è riconosciuta (insieme ai necessari compromessi) la fragilità dei viventi. Perché non è mai stata la carne lo scopo principale degli allevatori bensì la lana, il latte, i formaggi, la ricotta, il burro, i latti fermentati... Tutte sostanze preziose e tra tutte quelle, le “proteine incruente”, benedette per la nutrizione e benedette perché incruente. La carne è sempre stata sullo sfondo, rara, e l’agnello ucciso soprattutto per le feste dell’anno che coincidevano con quelle della preghiera. 

Agli occhi degli umani e del Signore, ogni carne era sacrificio prima di diventare alimento.

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