Intervista video a Giovanni Anceschi

14 Aprile 2011

Giovanni Anceschi è un incrocio, un trivio o più probabilmente un quadrivio: arte programmata, scuola di Ulm, grafica di pubblica utilità, insegnamento universitario, dal Dams di Bologna allo Iuav di Venezia. La sua persona ha attraversato, ed è stata attraversata, da mezzo secolo di cultura italiana, quella che ha praticato l’innovazione dei linguaggi e delle forme espressive nel modo più utile e sintetico: mediante il fare. Anceschi rappresenta la linea lombarda, come recita il titolo di un libro del padre, il grande Luciano, filosofo, studioso di estetica. La sua casa nel cuore di China Town, a Milano, è ingombra di scatoloni e pacchi: ha appena ristrutturato ed è ancora per aria. Ci sediamo nella cucina-ingresso-sala, ad un tavolo quadrato. Sopra, in bella vista un pieghevole della mostra che si è appena aperta alla Galleria Nazionale d’Arte Modena di Roma: Gli Ambienti del Gruppo T. Dentro una fotografia che ritrae i giovanissimi Gabriele Devecchi, Davide Boriani, Gianni Colombo e lui. Tengono tra le mani un lungo tubo di plastica. In alto, in un ovale, Grazia Varisco, che s’unì in seguito. Anceschi è nato nel 1939; ha studiato filosofia, a Milano, con Enzo Paci e Cesare Musatti. “Cominciammo il corso commentando Le meditazioni cartesiane di Husserl, un testo arduo che Paci ci spiegava e discuteva con noi. Musatti si dedicava in quegli anni, parlo della metà degli anni Cinquanta, allo studio della Gestalt. Tuttavia nel 1957-58 ho detto a mio padre: “Non mi laureo, voglio fare il pittore”. Mi ha risposto: “Devi imparare a disegnare”. E così mi ha portato da Achille Funi che insegnava a Brera”. Ecco il primo incrocio di Giovanni Anceschi: da una parte l’arte, dall’altra la filosofia. Sceglie l’arte.

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