Case e bambini

3 Novembre 2015

Chi segue Mariangela Gualtieri sa che, negli ultimi anni, le sue letture si concludono con un canto di ringraziamento dal titolo Bello mondo, incluso nella raccolta da poco uscita per Einaudi, Le giovani parole. Uno dei passaggi più belli dice: «Io ringraziare desidero […] per la quiete della casa / per i bambini che sono / nostre divinità domestiche».

 

In questi tre versi, il modo che hanno i bambini di abitare, il risuonare della loro presenza in muri e oggetti, acquista una dimensione portentosa. Mi sono venuti in mente leggendo la sezione Satelliti, nella raccolta Dal corpo abitato (tavole di Guido Scarabottolo; Luca Sossella Editore 2015) che l'autore, Matteo Pelliti, dedica a sua figlia Sara. In particolare la poesia In auto:

Quando torniamo a casa,

di notte, mentre dormi

nell'auto che diventa casa

del tuo sonno itinerante

tra case, so che il tuo sonno

sarebbe un carburante

sufficiente per continuare

la strada oltre ogni destinazione.

Quel sonno mi veglia,

mi rende attento alla strada

più d'ogni caffè imbarcato

prima del casello d'avvio

e fa dell'abitacolo,

per il tempo breve del viaggio,

l'unica casa davvero abitabile

per il tuo come per il mio sonno.

 

Questa idea di unica casa davvero abitabile a cui tutto lo spazio si restringe torna in un'altra poesia, dal titolo Abitacolo: «Un paio di anni fa mi sentivo a casa / solo mentre guidavo» racconta Matteo Pelliti.

 

 

La poesia Nome (in Esempi, 1992), di Umberto Fiori, nella cui produzione poetica le case sono da sempre un tema centrale (Case è il titolo della sua prima raccolta del 1986, edita da San Marco dei Giustinani, oggi presente nella racconta Poesie 1986-2104, Oscar Mondadori) dice:

Come in piazza un bambino

ancora col chiaro in alto

vede le cose diventare buie

lì intorno, e resta seduto sul prato

dove ha giocato tutto il giorno,

tocca la terra calda

e guarda, e ascolta,

da questa voce che mi vuole

e continua a chiamarmi,

impari che cos'è

avere un nome,

trovarsi qui,

nei posti che ci reggono

e ci risparmiano.

 

Nelle parole di questi poeti l'esserci e lo stare del bambino in uno spazio coincide con l'esperienza del manifestarsi improvviso e chiaro della verità di esso. Una conoscenza resa possibile da quell'attitudine dell'infanzia a saper prendere posto nei luoghi, riportandoli alla misura della loro evidenza: i posti che ci reggono e ci risparmiano. Casa, così, per i bambini non è solo il luogo che ospita istituzionalmente e funzionalmente la famiglia, ma le molte occasioni che manifesta lo spazio di essere casa, facendo appello al talento infantile di riconoscere le forme di essa in ogni oggetto, situazione, luogo, in una dichiarazione fiduciosa e naturale di abitabilità della vita. Pochi temi, per questo, sono congeniali all'infanzia come quello della casa e del mondo come luogo dei possibili modi dell'essere abitato.

 

 

Negli ultimi anni, diversi autori e illustratori hanno dedicato libri illustrati alle case. Nella maggior parte dei casi il racconto assume la forma dell'elenco. Nel bellissimo Casa dell'autrice canadese Carson Ellis, edito da Emme nel 2015, la narrazione procede cercando di offrire al lettore una possibile definizione di abitazione. «Casa per qualcuno è la campagna. Per qualcun altro è un appartamento. Casa è la nave per i pirati. E la capanna per gli indiani. Certe case sono palazzi, altre nascondigli sotto terra. Oppure scarpe. Casa in Francia è maison. Ad Atlantide si vive sott'acqua. C'è chi vive on the road. Casa seria. Casa pazzerella. Casa alta. Casa bassa. Casa nel mare. Casa delle api. Casa nell'albero...»

 

 

Il racconto visivo articola una sequenza-catalogo che procede mescolando paesaggi, vedute di città, ritratti di edifici, architetture mitiche, case fiabesche, dimore storiche, strutture fantascientifiche. Si incontrano case di animali, di popoli lontani, di personaggi di racconti, e persino di dèi, in un viaggio attraverso le forme dell'abitare che si rivelano via via vere e proprie forme dell'essere. All'ultima pagina, il racconto torna all'inizio: la prima casa incontrata si scopre essere anche l'ultima, accompagnata da un testo che dice: «Questa è casa mia. E questa sono io. E casa tua com'è? E tu chi sei?».

 

 

Nel libro di Gaia Stella edito da La Joie de lire nel 2014, Et toi, où habites-tu?, la sequenza narrativa si configura come una passeggiata. La voce narrante intrattiene il lettore accompagnandolo lungo la strada da cui si possono osservare le facciate delle case: «Marek vive in una casa che sa di pesce affumicato e cetrioli sottaceto. Zofia raccoglie mirtilli e funghi nella foresta per venderli al mercato. Taxi gialli e grattacieli da perderci la testa: è là che abita Rose. Il suo amico Jeffrey vende hot dog e ciambelle. Dove abita Charlotte spesso si cammina con una baguette sotto il braccio. Si mangiano anche escargot all'aglio, Paul le adora. Fa così freddo dove abita Yuri, che lui preferisce stare al caldo. Insieme a lui Vladislav decora delle graziose matrioske...».

 

 

A ogni giro di pagina la passeggiata continua, ma la nazione o addirittura il continente in cui si cammina cambiano. Lo si capisce osservando le facciate delle case, i loro stili architettonici, o ascoltando i nomi dei cibi che vengono descritti o, ancora, quelli degli abitanti. L'autrice del libro non ci dice mai esplicitamente dove abitino i personaggi citati nel testo e quali siano le loro case, piuttosto ci invita a indovinarlo. Al termine del racconto, sul risguardo finale, le case abitate dai personaggi nominati sono associate alla città in cui si trovano, perciò il lettore può verificare se ha dato le risposte giuste. Un posto centrale gli abitanti delle case lo occupano nel libro Le case degli altri bambini di Luca Tortolini Claudia Palmarucci (Orecchio Acerbo 2105). La struttura anche qui è quella dell'elenco: all'attenzione del lettore sono offerti i molti modi dell'esser casa e del venire abitata. Ma questa volta sono gli interni degli edifici a essere esplorati e lo sguardo è quello di un bambino ospite che va di casa in casa, di amico in amico.

 

 

C’è la casa di Giacomo che sta nel rione Monti, e se ti affacci dalla finestra puoi vedere il Colosseo. Giacomo fa i compiti in cucina e gioca in bagno. La casa è piena di oggetti e sulle pareti non c’è un solo spazio libero per appendere un quadro.

C’è la casa di Matteo che è piccolissima e ci vivono in undici. La mamma bionda di Matteo. Il papà canuto di Matteo. La sorella grassa di Matteo. Il fidanzato grasso della sorella grassa di Matteo. La nonna e il nonno vecchissimi di Matteo. La zia sempretriste di Matteo e suo marito sempreallegro. Il cugino di Matteo, figlio della ziasempretriste e dello ziosempreallegro. Un parente che prima stava lontano: si chiama il Parentelontanodimatteo. Pure un cane. Barbino si chiama, e si nasconde sempre. Ah, dimenticavo: ci vive anche Matteo. C’è la casa di Lorena che è una casa antica di secoli fa. A casa sua la gente va a far visita come in un museo. Fotografano affreschi e sedie. Qualche volta, per sbaglio, fotografano anche Lorena che cammina a casa sua.

C’è la casa di Sindel che non è una vera casa Però Sindel dice sempre cose tipo: “Vieni a casa mia”, “Andiamo a casa mia”, “Torno a casa mia”. È una specie di capanna di legno e metallo vicino al fiume. C’è la casa di Mimmo che sa di cavolo lesso a tutte le ore. Però è una bella casa. Grande. C’è la stanza della musica dove il papà di Mimmo suona e lavora. Così nella casa di Mimmo, a tutte le ore, c’è odore di cavolo lesso e musica di sottofondo.

 

 

Gli appartamenti che, pagina dopo pagina, incontriamo si osservano dalle finestre aperte che lasciano uscire il dentro della casa oppure sono offerti come veri e propri spaccati. Dalla strada il lettore non è invitato, da ciò che non si rivela agli occhi, al gioco dell'immaginazione, ma ad entrare invece direttamente nelle stanze per osservare la vita fatta di oggetti, atmosfere e varia umanità. Le case, qui, come nel libro di Carson Ellis, possono essere luoghi inattesi: scatoloni, automobili, capanne, alberghi, addirittura case d'aria, oppure interni di case che diventano 'interni' di chi le abita: case per così dire, interiori, come la casa del silenzio, o come l'ultima casa, quella di Claudia, illustratrice del libro, così propria da essere solo immaginaria e che un giorno forse esisterà.

 

 

Quando ho scritto il testo di Casa di fiaba (Topipittori 2012), avevo in mente la casa come luogo archetipico, fondamento stesso dell'essere. In questo senso credo siano emblematiche le pagine che Carl Gustav Jung ha dedicato alla sua celebre casa sul Lago di Costanza, costruita nel corso di una vita, seguendo le evoluzioni delle proprie trasformazioni psichiche. In particolare, scrivendo, mi sono tornate alla mente le molte case incontrate nella letteratura, a partire da quelle delle fiabe classiche, in cui la casa occupa da sempre un posto centrale.

Casa di fiaba casa stregata

Casa di foglie e di rami, di nebbia

Casa che brucia, casa incantata

 

Casa di ghiaccio, di polvere e terra

Nido d’uccello, casa sbagliata

 

Casa che canta, con muri di voce

Casa mattone, parete di vento

Casa perduta, casa crollata

 

Casa di carta, casa alveare

Casa che ronza, casa lumaca

Guscio di noce, ampolla incantata

 

Casa di fuoco che accende la notte

Casa di scale, di passi e silenzio

casa di vetro che sale nel cielo

casa di bestia, spelonca nascosta

buia caverna, reggia fatata.

 

 

Nella fiaba la casa è il luogo che si lascia e in cui si ritorna. È dove si annida il male e dove si trova il bene. È emblema di povertà o di ricchezza. È luogo di incantamenti. È il rifugio nel bosco. Il luogo dello sperdimento, ma anche della salvezza. La sicurezza nella tempesta e nel gelo. La tana degli animali. La via di fuga sugli alberi eccetera. Anche in questo caso, il libro si configura come catalogo di architetture, che tuttavia qui, in maniera esplicita, coincidono con stati dell'essere. Anche in questo caso il libro ha struttura circolare, chiudendosi con il rimando al luogo abitato dalla voce narrante. Le illustrazioni della finlandese Anna Emilia Laitinen, dal tratto inconfondibilmente nordico, accompagnano il testo descrivendo una galleria di abitazioni provvisorie, fatte di stoffe, rami, legni, a volte sospese, a volte aperte, a volte minuscole, come costruite di volte in volta nel corso di un gioco in cui la casa è fatta di quello che c'è a disposizione, in una costante reinvenzione di oggetti, luoghi e materiali.

 

 

In Velluto. Storia di un ladro, con testo di Silvana D'Angelo, e in Case stregate, con testo di Massimo Scotti (Topipittori 2007 e 2014), l'illustratore Antonio Marinoni dà fondo alla propria passione per l'architettura. Nel primo libro, la casa è letteralmente violata dallo sguardo del personaggio che la attraversa, un ladro anomalo che, anziché ricchezze, cerca nientemeno che le tracce, perdute nell'infanzia, della propria casa. Il lettore in questo modo, approfittando dell'invisibilità del ladro, senza sforzo può introdursi nell'intimità di un appartamento e delle quattro vite che contiene, osservandole da vicino. Il percorso attraverso le stanze si configura anche come viaggio nel tempo e negli stili di narrazione, attraverso gli oggetti, le forme e le opere d'arte che popolano la casa e la raccontano.

 

 

Case stregate è ideato come una vera e propria galleria di modi architettonici, cronologicamente ordinati, dalla classicità ai giorni nostri: dalle strutture sacre esoteriche dei templi fino agli edifici di vetro acciaio dedicati a contenere il lavoro immateriale dei nostri tempi. Anche in questo caso un viaggio nel tempo, ma anomalo. Gli abitanti di tutti i luoghi umani chiamati in causa sono in verità i più sfuggenti e misteriosi che si possano immaginare: gli spiriti, i morti, o meglio le loro presenze che affollano gli spazi dei vivi. Il tema della presenza come pratica del prendere dimora, istintiva sapienza degli spazi torna, qui, amplificato e in negativo da quell'immaginario gotico che fin dall'inizio della storia della letteratura ha accomunato case e fantasmi in un binomio inscindibile. E non sarà un caso che da sempre i fantasmi e le loro apparizioni, le case stregate e i Brutti Posti, siano in film e libri fra i soggetti più temuti e insieme amati da bambini e ragazzi.

 

 

Scrive Stephen King nel suo saggio sull'horror, Danse Macabre, che molto spiega delle paure dell'infanzia e dei modi in cui bambini trovano il coraggio, immaginativamente, di affrontarle, «...le macchine e le stazioni stregate sono brutte, ma la casa è il posto in cui ci si immagina di potersi togliere l'armatura e mettere da parte lo scudo. Nelle nostre case ci concediamo l'assoluta vulnerabilità: sono i posti in cui ci togliamo i vestiti e andiamo a letto senza che qualcuno stia di sentinella […]. Robert Frost disse che la casa è il posto in cui, quando ci vai, devono lasciarti entrare. I vecchi aforismi dicono: la casa è dov'è il cuore, non c'è niente come la casa, un po' d'amore fa diventare casa l'abitazione. Ci viene insegnato a tenere acceso il focolare domestico, e quando i piloti militari finiscono le missioni comunicano per radio che stanno «tornando a casa». E anche se siete stranieri in terra straniera, troverete sempre un ristorante che smorzerà per un attimo la vostra nostalgia di casa e la fame con un bel piatto di patate fritte. Non è male sottolineare che la narrativa horror rappresenta una fredda carezza nel bel mezzo di tutto ciò che ci è familiare, e il buon horror vi darà questa carezza con una pressione improvvisa inaspettata. Quando si va a casa e si chiude la serratura, ci piace pensare di aver lasciato fuori i problemi. Il buon romanzo horror sui Brutti Posti ci sussurra che non abbiamo chiuso la porta del mondo; ci siamo chiusi dentro con loro.». Forse i bambini intuiscono che tutti nostri guai cominciano quando le chiavi del nostro mondo ci fanno prigionieri in spazi piccoli, piccolissimi, invivibili, angusti.

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