Generazione TVB / Adolescenza, stato interminabile

20 Marzo 2017

“Come va?”, “Tutto ok”, “Com’è andata a scuola?” “Solito”. L’adolescente è laconico. Quando è costretto a comunicare con il mondo altro, quello adulto, adotta un sistema monosillabico e risponde per gentile concessione a quell’evidente tentativo di estorsione. La comunicazione tra i grandi e chi cammina nelle sabbie mobili di un’età storicamente ingrata, ora incerta, è la parte più ardua di quella missione formativa che già Freud definiva impossibile.

I testi che parlano di adolescenti appaiono spesso stereotipati, gli usi e i costumi dell’età incappano nelle definizioni della patologia, in ammiccamenti verso le forme che assume la sessualità: lo sguardo dall’alto di una generazione rivolto verso il basso di quella che cresce ripropone, ogni volta e di nuovo, il confronto tra passato e futuro, modelli sociali e aspettative genitoriali e, a ognuno, i propri ricordi di gioventù. Ai miei tempi non era così, né poteva esserlo perché ogni generazione che avanza costruisce il proprio volto in un mondo diverso. 

 

Tiziana Iaquinta, pedagogista, e Anna Salvo, terapeuta di formazione psicoanalitica, evitano le trappole della moralizzazione e della demonizzazione, e partono da un punto di osservazione terzo: che empatizza, senza far comunella, con il soggetto adolescente. Generazione TVB. Gli adolescenti digitali, l’amore e il sesso (il Mulino, 2017) indaga, in particolare, la sfera degli affetti, quella zona inesorabilmente inquietante attraversata da ambivalenze e contorsioni segrete. La ricerca, che vuole costruire ponti tra la teoria e la pratica di diverse discipline, è comune, ma ogni capitolo, con inserti di racconti dei ragazzi, è scritto al singolare.

 

L’adolescenza non esiste più nel suo ruolo di transizione, si annuncia piuttosto come l’esordio di una lunga durata. Emerge una figura mobile, insieme tarda e precoce, che l’allungamento della vita media dilata e contrae. Come nella nostra epoca capita a ogni passaggio d’età, anche la pubertà si annuncia fin da subito come una perdita, uno stato ignoto che allontana dal paradiso perduto dell’infanzia – e un film come Inside out aiuta genitori e figli uniti dal desiderio di un infinito postpone.  

 

Ph Mike Brodie.

 

“Cosa accade quando la fine dell’adolescenza viene costantemente rimandata? Quando viene tollerato se non addirittura promosso il fatto che questa età della vita straripi e invada il tempo che dovrebbe consegnare all’ingresso nell’epoca adulta? Accade (…) che l’ideale di perfezione trovi poco freno e scarso contenimento e insista a esercitare la propria tirannia ben oltre gli anni delle turbolenze e delle battaglie interne fisiologiche del teatro psichico adolescenziale. Più semplicemente, ciò che voglio dire è che l’abbraccio mortale con cui l’ideale stringe in genere il soggetto adolescente, sembra stringere e dominare, da qualche tempo a questa parte, anche soggetti apparentemente adulti”.

Anna Salvo usa il termine di furto per descrivere il rovesciamento del costume che può portare una madre a volersi vestire come la figlia, un padre a fumarsi una canna insieme al figlio. Un processo di mimesi, dove è il mondo adolescente a contagiare quello adulto. 

Una mescolanza che annulla i confini, mette un punto interrogativo al senso del limite. Dalla verticalità di una gerarchia all’orizzontalità del genitore emotivo, il primo a temere il no. 

E già cinquant’anni fa il lavoro dello psicoanalista americano Peter Blos si interrogava sugli effetti perversi dell’idillio in famiglia, quando tra genitori e figli prevale l’armonia. E se un conflitto non è più tale, il genitore non ha ragione di provare a “resistere”.

 

Troppo quieti, tranquilli, solo apparentemente rassicuranti in pubblico: il mondo interno dei nativi digitali può spaventare l’adulto che riesce a intercettarlo.

Per entrambe le autrici sono ancora le riflessioni di Winnicott quelle capaci di descrivere una figura dove l’azione prevale sulla riflessione, dove l’apatia pare depressione e l’anaffettività crudeltà. Proprio Winnicott ha parlato di odio nella relazione terapeutica a partire dalle sue esperienze con adolescenti. 

Secondo i dati più recenti, la popolazione tra i 14 e i 17 è di circa due milioni e 300 mila persone, di cui circa 190 mila stranieri. Il 92,6% non abbandona mai il cellulare nel corso della giornata, il 64% dichiara di consumare alcol, tabacco o cannabis, l’11,5 gioca d’azzardo on line, uno su due dice di aver subito azioni di bullismo o di cyber bullismo.

Per i nativi digitali, separati fisicamente ma in connessione permanente, è nel silenzio dello schermo che la comunicazione si fa pervasiva: sembrano vivere in una bolla per il timore di doversi staccare dal contatto visivo. 

 

“La costante presenza in Rete del gruppo degli amici (…) o l’invio continuo di immagini di sé, scrive Tiziana Iaquinta, mettono in rilievo quanto per questa generazione sia importante l’apertura o la chiamata in causa dell’altro. All’altro ci si rivolge con differenti sfumature e attese: di volta in volta può essere destinatario, interlocutore o testimone. Ma l’altro è sempre presente, viene sempre chiamato a interagire, a sostenere, a chiarire o a definire”. 

Un botta e risposta che muta le modalità della comunicazione, un incessante dialogo verbale, non orale ma scritto, che lascia il tempo di avere sotto controllo le emozioni e di agire anche l’aggressività attraverso la rete.

 

Nell’adolescenza di oggi età mentale ed età cronologica non coincidono, come è più evidente nella sfera della sessualità e dell’affettività. L’ambiente che sollecita alla precocità, all’ostentazione, produce in parallelo stati di sospensione, rimandi infiniti, accelerazioni brusche. Il desiderio si teme e si astiene. Sono saltati gli stadi tradizionali, la sessualizzazione è precoce, la latenza può essere una fase che arriva dopo le prime esperienze sessuali. Ora che l’orientamento sessuale è una materia scolastica – un libro come L’insegnante di astinenza sessuale lo descrive con grande ironia –, la repressione della spinta sessuale risulta meno necessaria. Rimane comunque difficile interrompere la relazione così gratificante con gli adulti, accettare l’eros del proprio corpo. L’assenza di codici produce ansia, tutto può diventare un modello – la pubblicità, la moda, una serie televisiva, un racconto romantico.

Definirsi sessualmente vuol dire andare incontro all’altro, sentirsi pronti a un contatto non virtuale, accettare l’insormontabilità del corpo. Che, liberato dall’etica, è diventato dominio dell’estetica. Il corpo, feticcio e limite, delude la rappresentazione di un sé splendido. È il corpo il soggetto impresentabile, che non può mostrarsi nudo all’altro, perché c’è sempre qualcosa che impedisce la perfezione – il seno, i glutei, il pene. 

 

Da ritoccare e da rifare. Così il sesso, una volta invisibile, ardentemente fantasticato, è diventato ora una “cosa sessuale”, dove la troppa realtà inibisce l’immaginazione. 

Non ci sono, per le autrici di Generazione TVB, conclusioni da proporre, ma aperture e inviti alla riflessione per alfabetizzare le emozioni, educare ai sentimenti, senza spaventarsi per l’incontro con un soggetto inedito. D’altronde, il passaggio in pochi decenni dalla famiglia etico-normativa a quella affettivo-soddisfattiva, da un rapporto genitori-figli autoritario a uno paritario, in un “rapporto dialogico” che nasce già durante la vita intrauterina, non prevede risposte univoche.

Un mondo emotivo e affettivo che, con la crescita dei figli, rischia di deludere le aspettative di tutte le figure in gioco, costrette improvvisamente ad affrontare l’estraneo, a rischiare la mancanza di riconoscimento, a scoprire i lati in ombra e le comuni fragilità. Fragilità, la parola che nessuno vuole sentire.

L’identità insicura e l’irresolutezza nella relazione amorosa non appartengono più solo al giovane Holden, sono diventati la condizione umana della contemporaneità. Dove siamo tutti eterni ragazzi e ragazze.

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