Le brioche dopo la battaglia

12 Ottobre 2015

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Quando al mattino, nel bar sotto casa, intingo la brioche ancora tiepida nel cappuccino, che si è immediatamente freddato, non posso fare a meno di pensare alla mia amata Polonia e all’assedio di Vienna del 1683. Data storica di straordinaria importanza: l’avanzata degli ottomani verso la conquista di tutta l’Europa fu fermata definitivamente e da lì iniziò il declino del loro impero. L’assedio alla capitale dell’Impero asburgico era iniziato il 14 luglio con un esercito immenso, guidato dal feroce gran visir Merzifonlu Kara Mustafa Pasha. Ma, nei due mesi successivi, gli assedianti non riuscirono a espugnare Vienna nemmeno con le cannonate e vennero a poco a poco sfiniti da varie epidemie (soprattutto dissenteria). Gli ottomani tentarono persino di entrare in città scavando ardite gallerie sotterranee, in modo da prendere di sorpresa gli assediati durante la notte. Ma, dice la leggenda, furono scoperti dai fornai viennesi che stavano cuocendo il pane per il mattino seguente. Per celebrare lo scampato pericolo, si narra che un pasticciere di nome Vendler inventò il “cornetto” e, per la forma del dolce, si ispirò proprio alla mezzaluna, simbolo dello sconfitto Impero ottomano. Ma la vera storia è un’altra. Dopo due mesi di assedio, anche i viennesi erano allo stremo. Il comandante della guarnigione Ernst von Starhemberg inviò un messaggio disperato all'imperatore Leopoldo I che si era rifugiato a Passau (Passavia): «Non perdete più tempo, clementissimo signore, non perdete più tempo». Grazie anche alle pressioni di Papa Innocenzo XI (1611-1689) i re cristiani trovarono finalmente un accordo e si formò una coalizione alla guida della quale fu messo il re polacco Jan III Sobieski (1629-1696), della Confederazione Polacco-Lituana. Salito al trono nel 1674, era un tipo grassottello, baffuto e dotato di un geniale istinto militare. Fu soprannominato dai turchi “leone di Lehistan”. Il suo esercito era così composto: 30.000 polacchi; 18.500 austriaci e italiani (toscani, veneziani e mantovani), al comando di Carlo V duca di Lorena; 19.000 franconi, svevi e bavaresi al comando di Giorgio Federico di Waldeck; 9.000 sassoni, al comando di Giovanni Giorgio III di Sassonia. Tutti futuri divoratori di brioche.

 

Circa 80.000 uomini contro 140.000 ottomani. Ma, l’11 settembre, approfittando del fatto che non tutte le truppe assedianti si trovavano sotto le mura di Vienna, impegnate a saccheggiare i territori circostanti, Sobieski sferrò un attacco con una manovra a tenaglia della sua cavalleria (i leggendari Ulani alati). Nella battaglia i turchi persero circa 15.000 uomini, a fronte dei 2.000 dei cristiani, i quali recuperarono anche una gran parte del bottino accumulato dagli ottomani nel corso delle loro scorrerie nei Balcani. Poiché la cavalleria polacca fu la prima a entrare nel campo turco, arraffò tutto il bottino lasciato dagli ottomani in precipitosa fuga, creando non pochi malumori con i tedeschi e gli austriaci con i quali non venne diviso niente. I turchi abbandonarono, tra l’altro, dei sacchi contenenti dei grani di uno strano colore, tanto che gli austriaci lo scambiarono per cibo per cammelli. Stavano quindi per liberarsene quando un certo Jerzy Franciszek Kolszyrski (1640-1694), un polacco residente a Vienna, si accorse che si trattava di caffè. Era infatti caffè crudo, non tostato, il che spiegava lo strano colore verde. Kolszyrski germanizzò il suo nome in Franz Georg Kolschitzky e aprì, nel 1684, la prima caffetteria viennese. Da qui cominciò la fortuna di quel tipo di locali: la moda dei “Caffè” si diffuse rapidamente nel mondo. Secondo alcune dicerie, egli aggiunse anche latte e miele per addolcire il gusto amaro della bevanda (iniziando così anche la fortuna del “cappuccino”). Oggi la sua Bottega del caffè non esiste più, ma rimane il suo nome nella via che l’ospitava (Kolschitzky-gassen, 4), nonché una sua statua, posta sullo spigolo del palazzo d'angolo della strada stessa, che lo ritrae vestito da turco con una caffettiera in mano. C’è però chi sostiene che colui che seppe sfruttare così genialmente il bottino di guerra abbandonato nell’accampamento turco, aprendo la prima bottega che vendeva caffè, sia stato un altro polacco: Jerzy (Georg) Michaelowicz, una giovane spia inviata attraverso le linee turche a chiedere aiuto a Carlo di Lorena. Per ricompensarlo del suo buon lavoro, a vittoria avvenuta, gli diedero in premio dei sacchi contenenti strani chicchi abbrustoliti, ritenuti cibo per animali. Georg, giovane assai sveglio e furbo, sapeva bene che questi semi altro non erano che caffè ed erano usati dai turchi per preparare una gustosa bevanda. Così ottenne facilmente, e gratuitamente, l’intera partita di sacchi di caffè e poté avviare il primo Caffè a Vienna.

 

Che sia stato l’uno o l’altro a valorizzare la bevanda nera, amara ed energetica, pare che l'invenzione del “cappuccino” si debba a padre Marco d'Aviano: il frate cappuccino di origini friulane al quale il papa affidò la missione di mettere d’accordo i re cristiani per fermare l’avanzata dell’Islam. La mattina dell’11 settembre, Marco d’Aviano celebrò una Messa sulla montagna di Kalhenberg e benedisse Sobieski e le sue truppe (anche per questo fu beatificato da Giovanni Paolo II nel 2002). Quello che è certo è che, proprio a Vienna, coloro che diffusero la bevanda caffè e si appropriarono dell’invenzione del cappuccino, inventarono (o commissionarono proprio al pasticciere Vendler) un dolcetto che doveva servire a incrementare i propri guadagni: la brioche, ispirata alla mezzaluna delle insegne ottomane. Ma la brioche era troppo buona per rimanere confinata a Vienna e presto oltrepassò il confine entrando in Francia con il nuovo nome di croissant. A portarcela fu una sua grande estimatrice: la viennese Maria Antonietta d’Austria, figlia dell’imperatrice Maria Teresa, che sposando Luigi XVI sarebbe diventata nel 1774 regina di Francia (e poi perderà la testa, mediante ghigliottina, anche per aver suggerito al popolo affamato: «Se non hanno pane, mangino brioche!»). Il legame con l’assedio di Vienna e la sconfitta del popolo della mezzaluna spiega l’origine della parola croissant, che in francese significa “crescente” (cioè “luna crescente”, mezzaluna). La preparazione di base della brioche è detta ancor oggi “viennoiserie” (e la sua tecnica di produzione è più simile a quella del pane che a quella della pasticceria vera e propria). Il croissant, del resto, è il discendente del dolce tedesco “kipferl”: un “cornetto” che risale perlomeno al XIII secolo, composto da farina, burro, uova, acqua e zucchero, con l'aggiunta di tuorlo d'uovo spalmato sulla superficie per ottenere una colorazione più dorata. Soltanto che la brioche e il croissant contengono molto più burro...

 

 

 

tratto da: Brioche and the city, la guida slow food per colazioni a milano

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