Giuseppe Baretti / Account of the manners and customs of Italy

19 Aprile 2011

Nel febbraio del 1768 Giuseppe Baretti dava alle stampe a Londra i due volumi dell’Account of the manners and customs of Italy. “Vo’ rispondere ad uno d’un certo Samuello Sharp, cioè ad un Viaggio che costui ha stampato, in cui strapazza l’Italia soverchiamente, trattando tutti gli uomini nostri di becchi, di fanatici e d’ignoranti, e tutte le nostre donne di puttanacce e di superstizione”, annota l'autore a proposito del suo 'ragguaglio'.

L’opera sarà proposta in una sua versione in lingua italiana solamente nel 1818, grazie alla traduzione di Girolamo Pozzoli. Trasposizione assai libera, che discende direttamente da una tempestiva quanto malaccorta traduzione francese del 1773, interpolata con interventi evidentemente condizionati da un pregiudizio sfavorevole sull'Italia, che nell'Europa dei lumi e dei Grand tours si era nel frattempo fatto senso comune. Nel passo originale selezionato, ad esempio, nulla giustifica l'inserimento di quel “naturalmente docili al giogo che loro impone il governo” che Pozzoli ricava dalla traduzione francese. Emblematico è che fino a quella, finalmente attendibile, di Matteo Ubezio, licenziata nel 2003, l'edizione curata da Pozzoli sarà l'unica che si ristamperà in Italia e sarà quella dalla quale Giulio Bollati, ritenendola affidabile, estrapolerà nel suo L'italiano proprio quel luogo, stigmatizzandolo. Proprio per dar conto di come, nel corso dei secoli, sia stato letto questo libro, si riportano tutte e quattro le versioni.

 

 

 

The Italians are no rioters, and hate confusion; and they are, for the greatest part, total strangers to the idea of sedition; so that they scarcely ever rise against government, not even in time of the hardship. Few of the Italian nations will suffer themselves to be seized by a violent and general rage once in a century, except at Naples, when the want of bread grows quite insupportable; but in the Venetian dominions, in Tuscany, in Lombardy, in Piedmont, and in other parts of Italy, I never heard of the least popular insurrection.

 

Les Italiens donnent peu dans les excès de la débauche & du libertinage, & s’ils ne sont pas dissolus, ils sont encore moins séditieux. Naturellement dociles au joug que leur impose le Gouvernement, ils souffriroient les plus dures exactions sans songer à la révolte. Je ne pense pas qu’il y ait en Europe de nations plus soumises, plus promptes à obéir, plus attachées à leurs maîtres. Je ne me souviens pas d’avoir jamais entendu parler, en Italie, de sédition populaire.

 

Gl’Italiani danno poco negli eccessi di dissolutezza e stravizzo, e se non sono sfrenati sono ancora meno sediziosi. Naturalmente docili al giogo che loro impone il governo, soffrirebbero le più dure esazioni senza pensar a fare tumulto: credo che non vi sia nazione in Europa più sottomessa, più pronta ad obbedire e più soggetta a’ suoi padroni. Non mi ricordo di avere mai inteso parlare di sedizione popolare in Italia.

 

Gli Italiani non sono riottosi e odiano la confusione, e sono per la più parte totalmente stranieri all’idea di sedizione: cosicché quasi mai si sollevano contro il governo, neanche nei tempi più duri. Poche nazioni italiane soffriranno d’essere sconvolte da un violento e generale furore una volta in cento anni; eccetto a Napoli, quando la scarsità di pane diventa affatto intollerabile. Ma nei dominî veneziani, in Toscana, in Lombardia, in Piemonte e in altre parti d’Italia non ho mai sentito della minima insurrezione popolare.

 

(Edizioni di riferimento: Giuseppe Baretti, Account of the Manners and Customs of Italy, 1768; Les Italiens, ou Moeurs et coutumes d’Italie, trad. Franc., 1773; Gl’Italiani o sia Relazione degli usi e costumi d’Italia, trad. it. di G. Pozzoli, 1818, Dei modi e costumi d’Italia, trad. it. di M. Ubezio, Aragno, Torino 2003).

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