Trent'anni fa moriva Thomas Bernhard / Ogni cosa è ridicola se paragonata alla morte

12 Febbraio 2019

Domenica 12 febbraio 1989 muore a 58 anni l’autore austriaco Thomas Bernhard. Una delle voci memorabili del secondo novecento europeo se ne va uccidendosi con una overdose di medicinali, arrendendosi così a quella malattia brutta, la sarcoidosi, che per quaranta anni lo ha torturato. La sua morte, nella casa di campagna di Ohlstorf, nei pressi di Gmunden, uno di quei villaggi di montagna dell’alta Austria che ricorda quelli da lui descritti, popolati da malvagi idioti, è comunicata, per sua espressa volontà, il 16 febbraio, a funerali avvenuti, da Peter Fabjan, il fratellastro, che ha assistito all’agonia finale. La sepoltura nel cimitero di Grinzing, nel quartiere viennese di Doebling, è impedita al pubblico. La radio austriaca ne dà notizia in modo lapidario. “Bernhard è morto in modo misterioso come ha vissuto.”

Il testamento lasciato dallo scrittore che affermava “Ogni cosa è ridicola se paragonata alla morte”, reca l’ultima, terribile, invettiva contro lo stato austriaco.

 

“Nulla, né di quanto pubblicato da me stesso in vita, né del mio lascito, ovunque esso si trovi, indipendentemente dalla forma in cui sia stato scritto, potrà essere rappresentato, stampato o soltanto letto in pubblico per la durata dei diritti d’autore all’interno dei confini dello Stato austriaco, comunque tale stato si definisca. Sottolineo espressamente di non volere avere nulla a che fare con lo Stato austriaco, e mi oppongo non solo a qualsiasi forma di intrusione, ma anche ad ogni avvicinamento di tale Stato austriaco alla mia persona e al mio lavoro – per sempre”.

Thomas Bernhard nasce a Heerlen, Olanda, il 9 febbraio 1931 da genitori austriaci. Il padre, Alois Zuckerstatter, è falegname a Heendorf, Salisburgo, dove incontra Herta Bernhard, figlia dello scrittore Johannes Freumbichler. La breve relazione dei due si conclude con la gravidanza di Herta e quando l’uomo viene a sapere che la ragazza aspetta un figlio, scappa in Germania e di lui si perdono le tracce. Anni più tardi si scoprirà che si è sposato con un’altra donna e ha messo al mondo cinque figli prima di suicidarsi nel 1940. 

 

 

Bernhard scrive del rapporto tra i suoi genitori nel romanzo autobiografico Un bambino (Adelphi, 1994), quinto e ultimo, sebbene primo in ordine cronologico, dei volumi dedicati alla propria biografia.

“Mio padre, figlio di un agricoltore dei dintorni, che come allora si usava aveva imparato un mestiere artigianale, la falegnameria nel suo caso [...] dovette entrare in quel periodo in uno stretto contatto con lei [...]. Questo è veramente tutto ciò che so della storia delle mie origini”.

Nel 1936 Herta Bernhard si sposa con Emil Fabjan, attivista del clandestino partito comunista austriaco, e ha due figli. Thomas è l’unico in famiglia col cognome della madre con la quale il conflitto si fa intenso. È dunque mandato in un collegio per bambini difficili in Turingia e poi in un ricovero cattolico a Salisburgo.

Ma per Bernhard la famiglia resta per sempre il nonno, autore anarchico e bisessuale, quel Johannes Freumbichler che trascorre la vita nel tentativo fallito di diventare un autore, nonostante un primo e unico successo.

Thomas abbandona la scuola a 16 anni per fare il garzone in una bottega di alimentari dove si ammala di tubercolosi. Nei due anni trascorsi in sanatorio sfiora la morte. Quando si ristabilisce perde in breve tempo sia la madre, sia il nonno idolatrato. 

La separazione dal nonno, il suo unico e vero educatore, procura a Thomas una grande sofferenza. Sempre in Un bambino scrive:

 

“Continuare a vivere, senza il nonno, sotto la giurisdizione di un uomo estraneo, il marito di mia madre, che il nonno a seconda dell’umore qualificava oggi come tuo padre e domani come il tuo tutore, mi sembrava la cosa più impossibile del mondo. Questa catastrofe voleva dire prendere congedo da tutto, tutto ciò che nel suo insieme era stato in effetti il mio paradiso.”

Thomas sprofonda in una lunga depressione dalla quale emerge deciso a conquistare un posto nel mondo. Con l’aiuto di una donna, Hedwig Stavianicek, che ha trentasei anni più di lui.

Maddalena la pazza sancisce l’esordio del giovane scrittore: si tratta della prima prosa d’arte documentabile, pubblicata nel 1953 sullo stesso giornale di Salisburgo per il quale lavora. A questo debutto fa seguito, nel 1954, la pubblicazione sulla rivista letteraria Stimmen der Gegenwart, la più prestigiosa d’Austria, il racconto Grande, inconcepibile fame. Nel 1955 subisce il primo processo per diffamazione: l’accusa è avere criticato con troppa violenza la gestione del Landestheatre di Salisburgo. Da questo momento in avanti i processi, le querele e le accuse nei riguardi di Bernhard segneranno un’escalation che si placherà appena con la sua morte; il carattere dello scrittore, fondato sulla resistenza e sulla ribellione a tutto, alla scuola, alla malattia, alla famiglia, alla morte, non accetta di piegarsi davanti alle intimidazioni. Conscio della propria forza, Bernhard assume con consapevolezza il ruolo di “disturbatore della pubblica quiete”. 

Scrive, in La cantina:

 

“Per tutta la mia esistenza non ho fatto altro che disturbare. Io ho sempre disturbato e ho sempre irritato. Tutto quello che scrivo, tutto quello che faccio, è disturbo e irritazione. Tutta la mia vita in quanto esistenza non è altro che un continuo irritare e disturbare [...] Ci sono quelli che lasciano la gente in pace e ci sono altri, tra i quali anch’io, che disturbano e irritano. Io non sono un uomo che lascia in pace la gente, e nemmeno vorrei avere un carattere del genere”.

L’ultimo lavoro teatrale di Bernhard, Piazza degli Eroi, tre mesi prima della sua morte, aveva provocato a Vienna l’effetto di una bomba. Racconta una giornata, quella del funerale di un anziano professore ebreo, Josef Schuster, suicida nella primavera del 1988. Cinquanta anni prima, subito dopo l’Anschluss, Schuster era fuggito in Gran Bretagna ma nel dopoguerra era ritornato a Vienna dove la moglie era impazzita. La donna aveva ancora nelle orecchie le grida di giubilo con cui i viennesi avevano accolto l’ingresso di Hitler e delle camicie brune in piazza degli Eroi. Nel Burgtheater, i Sieg Heil, diffusi dagli altoparlanti, si mescolano ai “fuo-ri, fuo-ri” degli austriaci nostalgici che protestano davanti al teatro. Il pubblico diventa a sua insaputa testimone della perennità del nazismo austriaco. Schuster pare intenzionato a rifare i bagagli e tornare a Oxford, ma all’ultimo momento preferisce uccidersi. 

La violenta critica all’Austria di oggi è una costante nell’opera di Bernhard. L’autore descrive il paese in preda agli antichi demoni. “Ci sono più nazisti oggi che nel 1938”, dice il protagonista di Piazza degli Eroi. E ancora “I metodi di educazione cattolica e nazionalista sono rimasti in Austria i più diffusi e hanno su questo popolo effetti perversi”, dice in Estinzione.

L'epitaffio all’Austria è scritto nel romanzo L'Origine

 

"La mia città d'origine è in realtà una malattia mortale e in questa malattia i suoi abitanti vengono partoriti e avviluppati e, se non scappano via nel momento decisivo, compiono prima o poi, direttamente o indirettamente, un repentino suicidio, oppure, direttamente o indirettamente, vanno verso una lenta e misera rovina in questa terra di morte". 

Bernhard descrive l'ideologia hitleriana nella sua variante cattolica. Intere pagine de L'Origine girano intorno a questo tema: 

"Il giovane che cresce e che comunque soffre di solitudine in questa città e in questo paesaggio, viene immesso fin dal momento della nascita in un'atmosfera in tutto e per tutto cattolica e nazionalsocialista [...]. All’interno del collegio non avevo potuto constatare alcun mutamento di rilievo, se non il fatto che la stanza cosiddetta di soggiorno nella quale eravamo stati educati al nazionalsocialismo era adesso diventata una cappella, e al posto del podio su cui prima della guerra era salito Grünkranz per insegnarci la dottrina della Grande Germania c’era adesso un altare, e alla parete dove prima c’era il ritratto di Hitler pendeva adesso una grande croce, e al posto del pianoforte che, suonato da Grünkranz, aveva accompagnato i nostri inni nazionalsocialisti come Die Fahne hoch! oppure Es zittern di morschen Knochen c’era adesso un harmonium.”

È stata la grande poetessa austriaca Ingeborg Bachmann ad accorgersi, più di cinquant' anni fa, in una intervista, della dimensione allora sconosciuta del suo compatriota Bernhard, di come l'intensità con cui questi libri mostrano il loro tempo sarà riconosciuta da un tempo futuro, un tempo futuro che è il nostro presente. 

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