Uccideresti l'uomo grasso?

26 Gennaio 2015

Questa domanda, inquietante e paradossale, è il titolo di un saggio di filosofia morale, che l'arguzia e il talento letterario del suo autore rendono avvincente e ironico pur nella sua indubbia solidità. Un felice connubio di serietà e piacevolezza, chiaramente espresso nel titolo completo del suo sottotitolo: Uccideresti l'uomo grasso? Il dilemma etico del male minore. Edito da Raffaello Cortina, è opera di David Edmonds, professore di etica pratica all'Università di Oxford, ma anche brillante divulgatore scientifico e ottimo scrittore, capace di divertirsi e divertire nel rendere semplici questioni difficili, mostrando quanto spesso ci troviamo ad affrontare, nella vita concreta, problemi che di primo acchito sembrerebbero squisitamente teorici. Oltre ad avere scritto diversi libri, Edmonds ha realizzato, insieme al collega Nigel Warburton, studioso di estetica ed etica applicata, un podcast, Philosophy Bites, più volte premiato dalla BBC, in cui sono affrontate diverse tematiche attinenti all'etica e alle considerazioni che, consciamente o meno, facciamo ogniqualvolta compiamo scelte che abbiano una valenza morale. Nella versione inglese, il saggio di Edmonds ha un sottotitolo che in italiano sarebbe eccessivamente lungo, e però sintetizza bene di che cosa precisamente vuole parlare l'autore: The Trolley Problem and What Your Answer Tells Us about Right and Wrong.

 

 

Il problema del carrello è diventato un quesito classico della filosofia morale negli ultimi cinquant'anni, qualcosa di simile a quello che uno standard è per la musica jazz, al punto da avere dato origine, come racconta Edmonds, a una sorta di sottobranca della filosofia morale contemporanea chiamata appunto, tra il serio e il faceto, carrellologia (trolleyology). Nella sua prima e basilare formulazione, il problema è stato posto dalla filosofa inglese Philippa Foot, il cui nonno era il presidente americano Grover Cleveland. Insieme a due sue grandi amiche e colleghe, la scrittrice Iris Murdoch (nota al grande pubblico come romanziera ma che fu anche un'apprezzata filosofa) e l'allieva di Wittgenstein Elizabeth Anscombe, Philippa Foot ha riportato in primo piano una branca della filosofia nota come "etica della virtù", alla cui rinascita hanno certamente contribuito i tremendi quesiti morali suscitati dagli eventi atroci della Seconda guerra mondiale.

 

Prima di raccontare in che cosa consiste il problema del carrello, conviene sapere in quali circostanze Philippa Foot l'ha elaborato. Fu in occasione della proposta di conferimento di una laurea honoris causa da parte dell'Università di Oxford al presidente Harry S. Truman nel 1956, per conferire la quale era necessaria l'approvazione degli accademici di Oxford. La Anscombe dichiarò pubblicamente che avrebbe votato contro, perché Truman, autorizzando l'uso della bomba atomica contro il Giappone, aveva, sì, fatto cessare la guerra ma a prezzo della vita di centinaia di migliaia di innocenti. Questo, sosteneva la Anscombe, "era pur sempre un omicidio" e Truman, di conseguenza, un assassino. La Foot sostenne la collega in questa circostanza, ma poi le posizioni delle due filosofe diversero sul tema dell'aborto, che per la Anscombe era analogo a quello posto dalla decisione del presidente americano (l'amicizia con la Murdoch, invece, si raffreddò per alcuni anni per questioni personali).

Nel caso di Truman, il quesito fondamentale era se egli, lanciando la bomba, avesse avuto l'intenzione, anche se non prioritaria, di uccidere quegli innocenti che morirono o se invece avesse soltanto previsto che sarebbero morti degli innocenti come conseguenza della propria decisione. Una questione solo apparentemente di lana caprina, che rimanda a una teoria, formulata per la prima volta da Tommaso d'Aquino nel XIII secolo, nota come Dottrina del Duplice Effetto (DDE), secondo la quale un'azione deve essere giudicata in base alle intenzioni che l'hanno provocata e alla mancanza di alternative che impedirebbero il verificarsi di danni collaterali – che non devono essere sproporzionati rispetto al risultato che si vuole ottenere con l'azione – per realizzare uno scopo in se stesso non sbagliato. Nel caso dell'aborto, invece, Philippa Foot riteneva che il problema centrale riguardasse lo status morale del feto, e pertanto a esso non fosse applicabile la Dottrina del Duplice Effetto. Per dimostrare il suo punto di vista, nel 1967 scrisse un articolo in cui introdusse alcuni esperimenti mentali divenuti classici nel dibattito filosofico etico e morale, raggruppati oggi sotto il nome, come abbiamo detto, di "carrellologia".

 

A questo punto possiamo affrontare il problema del carrello, detto anche del Ramo Deviato. Vedete un carrello ferroviario che sta viaggiando senza controllo su un binario sul quale cinque persone sono legate; saranno sicuramente uccise. Vi accorgete, però, che potete azionare una leva che devierà il carrello su un altro binario su cui, però, sfortunatamente, è legata una persona. Che cosa fate? Edmonds ci informa che la maggioranza delle persone cui è stato posto questo interrogativo, in tutto il mondo, a prescindere dalla cultura di provenienza e dalla condizione personale, ha risposto istintivamente che avrebbe deviato il carrello.

 

 

In seguito un'altra filosofa, Judith Jarvin Thomson, ha proposto di immaginare una situazione leggermente diversa: questa volta siete sopra un ponte, il binario col carrello impazzito è sotto di voi e ci sono sempre i cinque poveretti legati; accanto a voi, però, c'è un uomo molto grasso e se lo spingete giù dal ponte fermerà certamente il carrello. Come nel primo esempio, uno morirà ma cinque saranno salvi. Che cosa fate questa volta? Spingete l'uomo grasso giù dal ponte? A differenza che nel primo caso, ora la maggioranza degli interrogati, riferisce sempre Edmonds, dice di no. Perché? Dal punto di vista di una razionalità utilitaristica non cambia niente nelle due situazioni: il male minore è che uno muoia per salvare gli altri. Eppure se istintivamente in questo caso la maggioranza dice che non spingerebbe l'uomo giù dal ponte, nonostante sembri sempre vantaggioso rispetto al numero delle vittime, deve esserci qualche differenza. Che cosa fa sembrare immorale in questo caso, rispetto al precedente, la medesima azione? In un terzo esempio, è introdotta un'altra piccola variante: non si deve spingere l'uomo, ma si può azionare una leva che apre una botola, lui cade e i cinque si salvano. La risposta, però, non cambia: alla maggioranza deviare il carrello sembra moralmente accettabile, ancorché non piacevole, ma ritiene ingiusto far cadere l'uomo dal ponte. Altre varianti si sono aggiunte nel corso degli anni, riportate e discusse nel saggio di Edmonds, ma questi esempi iniziali e basilari bastano per chiarire le questioni in gioco.

È ancora la dottrina del duplice effetto a fornire una chiave per comprendere cosa differenzia il caso del Ramo Deviato da quello dell'Uomo Grasso e perché la nostra reazione è diversa. Nel primo caso non solo non abbiamo la volontà di uccidere l'uomo sul binario, ma la sua morte non è neppure necessaria, in senso stretto, al nostro scopo, che è quello di salvare gli altri cinque; sappiamo che probabilmente morirà, ma potrebbe, ad esempio, riuscire a slegarsi e a scappare in tempo, nel qual caso noi saremmo felici, perché avremmo raggiunto l'obiettivo senza vittime. Nel secondo caso, invece, la morte dell'uomo grasso è necessaria al nostro scopo; se, infatti, dopo essere caduto sul binario egli riuscisse a rotolare via e a non essere travolto dal treno, i cinque che volevamo salvare morirebbero, e la nostra azione fallirebbe. Dunque, noi vogliamo uccidere un innocente, anche se per una buona causa; per salvare gli altri, dobbiamo volerlo uccidere. È questo il motivo per cui la maggioranza degli intervistati, pur non sapendo spiegare perché, dice di sentire intuitivamente che sarebbe un'azione moralmente sbagliata.

 

L'intuito rimanda a un istinto, a qualcosa d'innato e comune al genere umano ed è questa, infatti, la tesi del filosofo John Mikhail. Allievo di Noam Chomsky, che tra gli anni Cinquanta e Sessanta aveva sostenuto che l'istinto linguistico è innato, Mikhail raffronta linguaggio e istinto morale e afferma che anche le intuizioni morali più profonde e generali, come quella che ci inibisce dall'uccidere un innocente, sono universali e innate. Ecco perché le intuizioni morali sono "quasi istantanee e predicibili per qualsiasi numero di casi unici". E nella parte conclusiva di questo affascinante e divertente saggio, che tra l'altro rappresenta una bella carrellata – il gioco di parole è intenzionale – nella storia della filosofia morale, anche attraverso riferimenti biografici a diversi suoi protagonisti, Edmonds offre la sua risposta personale alla domanda che costituisce il titolo del libro e rivela finalmente se lui ucciderebbe l'uomo grasso e perché sì o no. Ma, mi domando, è giusto che vi anticipi la risposta, soddisfacendo la vostra curiosità o sarebbe più giusto che non vi togliessi il piacere di scoprire da soli come va a finire questa storia?

 

Chi è interessato alle questioni messe in campo dalla carrellologia e, più in generale, da un approccio filosofico all'etica, può trovare molti stimoli e informazioni nel sito www.justiceharvard.org in cui sono disponibili i video di alcune avvincenti lezioni di Michael Sandel, docente di etica e filosofia morale ad Harvard. Davanti a classi affollate da mille studenti ogni volta, Sandel sottopone delle situazioni concrete chiedendo, poi, agli studenti quale sia, a loro avviso, la cosa giusta da fare. Per esempio: È sempre giusto dire la verità? È sempre ingiustificabile la tortura? Quanto vale la vita umana? È giusto rubare ai ricchi per dare ai poveri? La tassazione è una forma di lavoro forzato? Argomentando le loro risposte, li porta a rendersi conto ben presto di quanto bene e male siano talvolta così intrecciati da rendere molto più complicato di quanto sembri decidere quale scelta sia moralmente la più etica. Per concludere, un ultimo quesito, che non troverete nelle lezioni di Sandel o nel saggio di Edmonds: Un giovane chiede al suo confessore gesuita: "Padre, posso fumare mentre prego?" e questi risponde: "Certamente no figliolo! Però puoi pregare mentre fumi!" Come giudicate questa risposta?

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