Fumetti / Lucca Comics, gli ultimi americani

29 Ottobre 2020

È il 1982, Adrian è un ragazzino di otto anni ed è il suo primo giorno in una nuova scuola a Fresno, in California. È un nuovo arrivato, deve presentarsi alla classe, e lo fa parlando della sua passione: disegnare e collezionare fumetti. Per i suoi compagni, e per la sua maestra, i fumetti sono quelli di Walt Disney (Topolino, Paperino), invece Adrian è un avido lettore di fumetti di supereroi e il suo idolo è John Romita (storico disegnatore dell’Uomo Ragno): i suoi nuovi compagni di classe ci mettono pochissimo a etichettare Adrian come un nerd, uno sfigato e, di conseguenza, a bullizzarlo a ogni intervallo.

 

Ma nonostante questi inizi turbolenti, Adrian Tomine non ha abbandonato la sua passione e oggi è uno dei più affermati cartoonist americani. Ed è con questo episodio che apre il suo ultimo libro, La solitudine del fumettista errante, uscito a giugno per Rizzoli Lizard. È l’autobiografia ironica e a tratti spietata di un autore di fumetti “indipendenti” negli Stati Uniti. Una nicchia nel panorama dell’editoria a fumetti nordamericana, che ruota attorno a due case editrici di culto, la Fantagraphics di Seattle e la Drawn&Quarterly di Montreal, e ad autori che sono forse più celebrati in Europa che in patria. Come in ogni nicchia, tutti si conoscono, ci sono amicizie,  rivalità, pettegolezzi, ma tutto si svolge come lontano dai riflettori. Anche al Comicon di San Diego, la principale manifestazione del settore (un po’ l’equivalente della nostra Lucca Comics), le star sono ormai i protagonisti delle serie tv, e gli stand dei fumetti indie sono un’oasi di tranquillità dove trovare rifugio quando si è stanchi della ressa.

 

Il 2020 è un ottimo anno per imparare a conoscere questo mondo, perché proprio in questi mesi sono arrivati sugli scaffali delle librerie italiane le opere di alcuni degli autori più importanti, e sono lavori che arrivano a conclusione dopo un arco di circa 20 anni. Come Clyde Fans del canadese Seth, Rusty Brown di Chris Ware e Berlin di Jason Lutes (tutti pubblicati quest’anno da Coconino Press). Ma prima di entrare nel dettaglio dei singoli libri, vale la pena raccontare il contesto in cui queste opere sono nate, e La solitudine del fumettista errante di Tomine può essere un’ottima guida.

 

La solitudine del fumettista errante.


Chris Ware, Seth, Jason Lutes (e a loro possiamo aggiungere Daniel Clowes) sono tutti nati negli anni ’60, Tomine è un po’ più giovane, è del ’74, ma appartiene allo stesso mondo. Fanno parte di una generazione cresciuta in un momento in cui i fumetti erano davvero considerati una cosa “da sfigati”, soprattutto negli Stati Uniti, ed è lecito immaginare che tutti loro abbiano avuto un’adolescenza e una pre-adolescenza simile a quella raccontata da Tomine. Oggi sono tutti autori importanti, illustrano le copertine del New Yorker, i loro lavori sono pubblicati in tutto il mondo, eppure sembrano portarsi sempre dietro un certo disagio, la sensazione di essere veramente molto distanti da tutti gli altri. Almeno a giudicare dalle storie che raccontano, che sono spesso storie di sconfitti, esclusi, disadattati, o comunque di personaggi che si trovano a disagio nel tempo in cui vivono.

 

Dal comic book al graphic novel

 

Forse nel frattempo le cose sono cambiate (si spera!), ma la controprova è abbastanza semplice: proviamo a pensare a come il mondo del fumetto viene rappresentato nell’immaginario di massa, dal cinema e dalla tv made in Usa. Gli appassionati di fumetto non compaiono molto spesso, ma quando lo fanno sono sempre estremamente nerd. Pensate al proprietario del negozio di fumetti nei Simpson, e ai suoi pochi clienti. Una fumetteria compare anche nella serie The Big Bang Theory, assiduamente frequentata dai due protagonisti, due giovani scienziati che sono il prototipo di tutti i nerd. Un collezionista di fumetti è anche il protagonista del film Unbreakable: non si può dire che sia uno sfigato (è Samuel L. Jackson!), ma forse è peggio, perché si rivela (spoiler) essere un cattivo psicopatico.

 

C’è una differenza con l’Italia (e direi col fumetto europeo in generale): da noi, per molto tempo e in parte ancora oggi, i fumetti sono stati visti come una lettura per bambini, per ragazzi, o comunque unicamente come una lettura d’evasione. Ma non come una lettura “da sfigati”. Probabilmente questo pregiudizio dipende anche dal tipo di fumetto popolare che contraddistingue le diverse situazioni. Negli Usa, a parte i cartoons (le strisce pubblicate sui quotidiani, come i Peanuts), il grande filone del fumetto popolare è sempre stato quello dei supereroi.

 

La solitudine del fumettista errante.


In particolare il mondo dei supereroi Marvel (l’Uomo ragno, i Fantastici quattro, gli X-men) ha una caratteristica peculiare che si chiama continuity: si presuppone cioè che tutte le avventure di tutti i personaggi accadano nello stesso universo e secondo una precisa cronologia. A differenza di Tex, per esempio, le cui vicende sono autoconclusive e si svolgono (più o meno) in un eterno presente, le storie dei supereroi continuano nel tempo, come in un feuilleton o in una telenovela: e anche se i protagonisti non invecchiano veramente, vivono in un mondo in cui il tempo passa. Questo comporta un livello di complessità simile a certi mondi della letteratura fantasy, e se sei un ragazzino è molto facile venire catturati da questo universo, e diventare, nel caso, dei collezionisti: perché naturalmente la continuity serve a vendere più fumetti: non puoi capire cosa succede in questo numero se non hai letto anche quell’altro.

 

I supereroi hanno imposto negli Usa anche il formato dell’albo a fumetti. L’albo spillato di 24 o 32 pagine è il tradizionale veicolo delle loro avventure. È proprio in contrasto a questo formato che ha origine il termine graphic novel, a indicare una storia a fumetti che nasce direttamente per il formato libro. Tradizionalmente si fa risalire la nascita del graphic novel alla pubblicazione di Contratto con Dio di Will Eisner, nel 1978: un volume di circa 200 pagine che raccoglie però una serie di racconti (quindi attenzione a tradurre novel con romanzo). Una qualsiasi storia di Tex ha almeno 100 pagine e, dal punto di vista del formato, è già un graphic novel. In realtà quasi tutti i fumetti che hanno reso di uso comune l’espressione graphic novel sono nati a puntate, a partire da Maus di Art Spiegelman, comparso nell’arco di 13 anni sulla rivista Raw.

 

La solitudine del fumettista errante.


Insisto su queste questioni tecniche ed editoriali perché servono a capire il contesto in cui sono nate le opere di cui parliamo in questo articolo. A partire dagli anni ’80, questi albi hanno trovato anche un loro mercato specializzato: le fumetterie. Anche se sono malviste e considerate come luoghi nerd per eccellenza, sono proprio le fumetterie ad aver permesso ad autori come Tomine di diffondere il proprio lavoro. Perché si tratta di una rete di negozi specializzati, nati per servire un pubblico di appassionati: una nicchia nel mondo dell’editoria, ma una nicchia preziosa. E abbastanza grande da permettere ad autori e case editrici indipendenti di proporre storie di tutt’altro genere rispetto ai comic book di supereroi. A partire dalla seconda metà degli anni ’90, i costi di produzione e di stampa si sono ridotti e per tutti gli autori di cui parliamo qui è stato possibile creare il proprio comic book: una sorta di rivista-contenitore in cui proporre le proprie storie a puntate, autoproducendosi o affidandosi a editori come Fantagraphics e Drawn & Quarterly (soprattutto per la distribuzione). Pubblicare a puntate è importante: consente agli autori di avere un introito, anche se piccolo magari, ma soprattutto di avere un riscontro dal pubblico, di capire se una storia funziona. Dopo 20 anni e più ora queste storie sono raccolte in volumi (tra l’altro curatissimi) di 400, 500, 600 pagine: sono opere che ambiscono ad avere il respiro dei classici della letteratura, che si ispirano dichiaratamente a James Joyce, Melville, Virginia Woolf, Tolstoj… in altre parole, i ragazzini nerd sono cresciuti e si stanno vendicando, prendendo il linguaggio e il formato dei tanto amati comic book per dimostrare che sono, e sono sempre stati, una cosa “seria”.

 

Rusty Brown e l’arte della memoria 

 

Rusty Brown, il ragazzino che dà il titolo all’ultima opera di Chris Ware (già autore di Jimmy Corrigan e Building Stories), è in pratica una versione del preadolescente nerd portata alle estreme conseguenze, o volendo una sorta di Charlie Brown deviato (rusty significa arrugginito). Rusty si è talmente rifugiato nelle sue fantasie da convincersi di avere dei super poteri (un superudito) e da innamorarsi di Supergirl, anche se nella realtà è solo un’action figure, un pupazzetto. Ware ha spiegato così l’idea iniziale del libro: è “una fantasia di vendetta nei confronti di uno dei miei insegnanti che, per un motivo o per l’altro, un giorno permise a tutti i miei compagni di dire tutto quello che volevano su di me per un’intera ora. Visto che ero già etichettato come il nerd supremo della scuola, che doveva ogni tanto stare attento a quali angoli svoltare nel caso mi saltassero addosso, questa esperienza non fu di molto aiuto per la mia autostima (anche se fu molto utile ad assicurarmi un futuro come cartoonist)”.

 

Rusty Brown.


Da qui il lavoro si è evoluto in qualcosa di molto più complesso: l’ambizione di Ware è quella di costruire un libro senza un vero protagonista, fatto di storie intrecciate (anche graficamente) che partono tutte dalla stessa cornice: un singolo giorno di scuola nel 1975. Da qui ci si può spostare nel passato, per seguire le vicende del padre di Rusty, “Woody” Brown, che in gioventù sognava di diventare uno scrittore di fantascienza, oppure, per un intero capitolo, seguire l’intera vita di Jordan Lint, al ritmo di un anno a pagina. Per Ware il fumetto è l’arte della memoria, e la memoria è fatta di viaggi nel tempo (anche se interiori): “è qualcosa che facciamo ogni giorno, se non ogni minuto, delle nostre vite, e scrittori come James Joyce hanno dedicato la loro vita a trovare un modo di catturarlo con le parole; io sto semplicemente cercando di farlo con le immagini”.

 

Rusty Brown.


Anche quest’opera così ambiziosa (questa è solo la prima parte!) nasce però da un comic book. Acme Novelty Library è la serie che Ware ha pubblicato dal 1993 al 2010, e ha una particolarità: se il primo numero è il classico comic book, per tutti i successivi Ware ha cambiato formato, esplorandoli forse tutti, dall’A5 al volume cartonato, appoggiandosi prima alla casa editrice Fantagraphics e poi autoproducendosi. Le storie che compongono Rusty Brown sono apparse per la prima volta qui, nel 2001.

 

Clyde Fans, o come fermare il tempo

 

Il fumettista canadese Seth nel 1991 decide di pubblicare un suo comic book, Palookaville (edito da Drawn & quarterly), che negli anni è diventato un contenitore per le sue storie: i suoi graphic novel, La vita non è male malgrado tutto e Clyde Fans, sono apparsi a puntate qui prima di essere raccolti in volume. Clyde Fans, in particolare, è uscito sottoforma di albo dal 1998 al 2017, mentre l’edizione integrale è stata pubblicata quest’anno da Coconino Press. È la storia di due fratelli, Abe e Simon, che negli anni ’50 prendono in mano l’azienda di famiglia, un negozio di ventilatori (che si chiama appunto Clyde Fans), già a rischio chiusura per colpa dell’arrivo dei primi condizionatori.

 

Clyde fans.


Già da questo accenno di trama si riconosce un tema fondamentale nella poetica di Seth: la nostalgia per un passato più semplice, in cui anche gli oggetti della vita quotidiana avevano una loro importanza, sottolineata dalla cura e dallo stile con cui erano costruiti. Mentre Abe, nel corso del libro, è abbastanza attivo e fa il commesso viaggiatore nel tentativo di piazzare i suoi ventilatori a clienti non molto interessati, suo fratello Simon è rimasto intrappolato nel passato e nella casa-bottega in cui ha sempre abitato. Le sue uniche attività sono assistere l’anziana madre e collezionare cartoline d’epoca di contadini che raccolgono ortaggi e frutti giganteschi (detto per inciso, sono convinto che questo sia un richiamo alla maniacalità che può raggiungere un collezionista di fumetti).

 

Clyde fans.


La vera particolarità di Clyde Fans però è nella sua struttura, fatta di lunghissimi piani-sequenza a fumetti, come quello che apre il volume: per quasi 100 tavole seguiamo Abe, ormai anziano, girare per il negozio di ventilatori e la casa-retrobottega mentre ci racconta la sua storia e quella di suo fratello. Quello che fa Seth è provare a rallentare il tempo, il più possibile, fin quasi a fermarlo, come forse vorrebbero fare i suoi personaggi. E difatti in un’intervista Seth ha spiegato di aver letto almeno dodici volte Gita al faro di Virginia Woolf: “Il capitolo centrale, Il tempo passa, è praticamente una guida a ciò che io considero una storia ideale”.

Seth parlerà del suo ultimo lavoro, insieme al suo traduttore Leonardo Rizzi, in uno degli eventi on line dell’edizione 2020 di Lucca Comics. L'appuntamento è alle 13 di domenica 1 novembre a questo link.

 

Berlin e gli ultimi giorni di Weimar

 

Berlin di Jason Lutes si distacca dagli esempi precedenti perché è un’accurata ricostruzione storica degli anni che in Germania segnarono la fine della Repubblica di Weimar e l’ascesa del nazismo, dal 1928 al 1933. Tutto però è raccontato attraverso le vicende di personaggi ordinari (tutti di finzione), come Kurt, giornalista e pacifista, Marthe, aspirante artista che arriva a Berlino da Colonia, David, ragazzino ebreo che vende di nascosto l’Aiz, il giornale del Partito comunista tedesco, e Silvia, figlia di un disoccupato nazionalsocialista e di una mamma comunista che rimane uccisa nella repressione delle manifestazioni del 1° maggio del 1929.

 

Berlin.


Tutti i personaggi si muovono in una città attraversata dagli scontri tra nazionalsocialisti e comunisti, ma anche da fermenti culturali e artistici e da una liberalizzazione dei costumi. La storia con la S maiuscola rimane sullo sfondo: Lutes ha scelto ad esempio di essere molto parco nel disegnare svastiche e sono poche anche le tavole in cui compare Hitler. Tutte immagini troppo cariche di significati, che rischiavano di rendere “impossibile per il lettore sperimentarle come le vivevano le persone allora”, come ha spiegato lo stesso Lutes in un’intervista. Da segnalare anche l’omaggio a Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders: in alcune tavole in cui seguiamo una carrellata di personaggi, ognuno accompagnato dalla propria nuvoletta del pensiero. Questo immenso lavoro è stato raccontato originariamente nell’arco di più di 20 anni, in 22 albi pubblicati da Drawn & Quarterly, tutti di 28 o 24 pagine e senza una periodicità fissa. Il primo è uscito nell’aprile del 1996, l’ultimo nel marzo del 2018. L’edizione integrale è da poco uscita per Coconino Press.

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