Camminando fra i boschi e l’acqua / Attraverso l'Europa sulle tracce di Fermor

10 Giugno 2020

Camminando fra i boschi e l’acqua è un libro di viaggio che narra l’itinerario a piedi di Nick Hunt attraverso Olanda, Germania, Austria, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Turchia, dal 9 dicembre del 2011 al 16 luglio dell’anno seguente.

È un percorso di circa quattromila chilometri realizzato camminando per strade asfaltate e boschi, campi e città, salendo montagne, costeggiando per lunghi tratti prima il fiume Reno e poi il Danubio. Hunt segue le tracce di un viaggio compiuto con poche sterline in tasca, quasi ottant’anni prima, dal diciottenne Patrick Leigh Fermor, detto Paddy, inglese come lui. Nello zaino porta i tre libri nei quali il suo predecessore aveva raccontato l’impresa: Tempo di regali, Fra i boschi e l’acqua e La strada interrotta. Il primo racconta il percorso dall’Inghilterra sino al ponte Maria Valéria che unisce Slovacchia e Ungheria; il secondo, i mille chilometri successivi, sino alle Porte di Ferro, una profonda gola attraversata dal Danubio lungo il confine tra Serbia e Romania; il terzo, il cammino sino a Istanbul, che Fermor, per passione storica, cita sempre con l’antico nome di Costantinopoli.

Quando inizia il suo viaggio Hunt ha trent’anni e, oltre ad aver coltivato passioni letterarie che ne stimolano il desiderio di avventura, è affascinato dal mito dello zio John Hunt, l’alpinista che nel 1953 aveva guidato la prima salita alla cima dell’Everest.

 

I libri di Fermor lo avevano così coinvolto che maturò presto l’idea di intraprendere quel viaggio e lo affrontò senza aver mai nemmeno provato a contattare lo scrittore, o a spedirgli una lettera a Kardamyli in Grecia, dove da tempo abitava. 

Forse ne fu intimorito; Patrick Leigh Fermor era un mito per lettori e viaggiatori di tutto il mondo: un gentiluomo e avventuriero, un abile raconteur, a suo agio in tutte le situazioni, uno scrittore di qualità, che a distanza di decenni e con il supporto dei suoi diari aveva raccontato paesaggi e civiltà europee ormai scomparsi, travolti dalla guerra e dall’omologazione dello sviluppo urbanistico. Era anche un eroe di guerra: entrato nei servizi segreti, era stato inviato più volte nell’isola di Creta occupata dalla Wermacht per aiutare i partigiani greci; il 26 aprile del 1944, insieme a un altro agente inglese, Stanley Moss, era riuscito nell’impresa impossibile di catturare il generale tedesco comandante di divisione nell’isola. Travestiti da tedeschi e a bordo dell’automobile del generale, con lui legato e imbavagliato, avevano superato ventidue posti di blocco e raggiunto le pendici del Monte Ida, dove avevano lasciato l’auto e proseguito la fuga a piedi. Erano poi sfuggiti alla forsennata caccia all’uomo scatenata dai tedeschi e, grazie all’aiuto dei partigiani greci, erano giunti venti giorni dopo a sud dell’isola, imbarcandosi verso l’Egitto su una motolancia inglese. 

 

Fermor racconta quel viaggio attraverso l’Europa quasi quarant’anni dopo, in modo sostanzialmente veritiero, quel viaggio avvenuto tra il dicembre del 1933 e il gennaio del 1935: A time of Gifts fu pubblicato nel 1977, Between the Woods and the Water nel 1986, e The Broken Road: Travels from Bulgaria to Mount Athos, uscì postumo nel 2013. I tre libri, grazie alla vasta e poliedrica cultura accumulata negli anni successivi al viaggio, risultano arricchiti dalle digressioni storiche, artistiche, antropologiche e, in alcuni passaggi, dal senno del poi. Certi personaggi incontrati realmente vengono fusi in uno solo, certi episodi sono ricostruiti in modo da risultare narrativamente più interessanti. 

Hunt non ha la bella fisionomia e il fascino da gentiluomo di fortuna di Fermor, che gli consentivano di accattivarsi sia gli aristocratici della Mitteleuropa sia gli zingari e i contadini della Transilvania, ma la sensibilità e lo spirito di adattamento gli consentono di entrare in sintonia con i più svariati interlocutori che incontra durante il cammino. Il suo libro viene scritto e pubblicato a breve distanza dal viaggio, per il lettore è facile immedesimarsi in vicende raccontate con immediatezza e sincerità. Così, si finisce per provare ammirazione per Fermor e simpatia per Hunt. 

 

 

Nei loro libri si manifesta il fantasma di un’Europa scomparsa: paesaggi e ambienti naturali, civiltà e tradizioni, antichi patrimoni urbani ricchi di storia e d’arte, svaniti da tempo. Un’Europa che esiste ancora nelle pagine di Fermor, ma quando tanti anni dopo scrive il libro l’autore è ben consapevole del suo dissolvimento, e il rimpianto è palpabile. L’arguzia e l’ironia dello stile lasciano affiorare a tratti nostalgia e malinconia. 

Hunt scoprirà solo durante il viaggio cosa è cambiato e cosa è rimasto uguale; pur consapevole che troverà tante cose diverse evita di documentarsi sui luoghi che attraverserà, decide di utilizzare come guida solo i libri di Fermor.

Non è facile scrivere seguendo le tracce di un famoso scrittore, c’è il rischio di una mera ricostruzione per turisti letterari. Altri hanno ripercorso i sentieri di grandi autori: Geert Mak aveva seguito a distanza di cinquant’anni i viaggi americani di Steinbeck, Dick North era andato alla ricerca degli spostamenti di Jack London, dopo più di ottant’anni dalla corsa all’oro, in Alaska e in Canada.

Hunt però cerca anche altro, intende affrontare le incognite del non conosciuto, cerca il senso di meraviglia del viaggiatore vero, che va incontro all’ignoto e ai suoi rischi, così da rendere la sua esperienza una storia nuova, tutta sua.

Non cura nemmeno la preparazione fisica e scoprirà presto che camminare per tanti chilometri sull’asfalto determina fastidiosi inconvenienti per piedi e gambe. 

 

Dopo la traversata in nave attraverso la Manica, il primo impatto è già una delusione: Rotterdam, spianata dai bombardamenti tedeschi nel maggio del ‘40, è una città moderna e anonima, con una periferia identica a quella di tanti altri centri Europei. Neppure l’Olanda, quella dei canali d’acqua, dei marinai, degli antichi piccoli centri raccontati da Fermor, esiste più; Hunt ritrova solo una chiesa del XV° secolo e una statua di Erasmo intento a leggere, rimasti indenni quasi per miracolo; anche la campagna invernale raccontata da Fermor, con i ragazzini che scivolavano sui canali in fantasiose slitte a vela, come fossero immagini tratte dai dipinti di Bruegel, è svanita nel tempo. 

Hunt non segue mappe, solo le indicazioni riportate nelle pagine di Fermor. Unico ma importante ausilio, i riferimenti per sistemazioni di fortuna acquisiti su internet tramite la rete di Couchsurfing: un servizio di scambio di ospitalità tra persone che non si conoscono. 

Giunto in Germania, il susseguirsi di anonimi agglomerati urbani e nastri di asfalto, di McDonald’s e di traffico automobilistico ne deludono le aspettative; lo conforta invece il senso di ospitalità e di umanità percepito negli incontri con persone sconosciute, attraverso i quali rivive il sapore dell’avventura di Fermor. Scrive Hunt: “Ascoltare storie per puro caso in seguito a incontri fortuiti diventò una delle ragioni essenziali del mio viaggio”. 

 

 

Ogni tanto ripensa ad Anna, la sua ragazza, “ma l’esaltazione della solitudine, del vagabondare in posti sconosciuti, era un’altra forma d’amore che si andava delineando dentro di me”. 

Il viaggio ritrova gusto paesaggistico e consonanze con i ricordi del suo predecessore quando arriva a scorgere le antiche torri lungo il Reno, castelli come quello di Petersberg, resti di roccaforti come la Roccia di Lorelei, il castello di Rheinfels e quello di Gutenfels, tra le cui mura diroccate trova un angolo riparato dove dormire.

A Heidelberg si ferma in un luogo che aveva colpito Fermor, la locanda del Roten Ochsen, il Bue rosso, antica e identica ad allora, stracarica di oggetti e cimeli: le foto di Mark Twain e della signora Eisenhower, un biglietto di ringraziamento di Otto von Bismarck, e molti altri ricordi di nomi celebri. 

Heidelberg è cara a Hunt non solo per il passaggio di Paddy ma anche perché suo nonno Taid nel 1936 vi aveva soggiornato per studiare il tedesco. Sia il nonno sia Fermor ricordarono con simpatia l’ospitalità trovata nel luogo, ma anche sgradevoli confronti con alcuni nazisti locali. Paddy nel 1934 non aveva ancora chiare idee politiche ma quei ragazzotti in divisa e svastica trasudavano volgarità e prepotenza. 

La Germania raccontata nei viaggi di Hunt e di Fermor ci rivela che la maggior parte delle distruzioni si verificò negli ultimi dodici mesi di guerra; lo stravolgimento delle città richiama alla mente un drammatico conteggio: milioni di esseri umani – ebrei nei campi di concentramento, militari, civili – morirono tra il luglio del ’44 e il maggio del ’45.
La storia non si fa con i se, ma è inevitabile pensare con rammarico al fallito attentato a Hitler di von Stauffenberg, nel luglio del 1944.

 

 

Arrivando in Baviera, Hunt scopre città più ricche e con una forte identità culturale, ne conosce anche il freddo, insopportabile quando è costretto a dormire in capanni sperduti. Un giorno finisce per perdersi in un bosco innevato: “Quel mio breve incontro con la mancanza di sentieri era una fantasia di libertà. Ma c’era anche dell’altro, e mi sorprese identificare un sottofondo di paura che emerse non appena mi resi conto cosa significava sentirsi veramente soli. Non c’era nessuno ad aiutarmi a ritrovare la strada, nessun manufatto umano capace di fornirmi un’indicazione. Non potevo fare altro che continuare, augurandomi di uscire da quel bosco prima che calasse la notte”. 

Degli incontri con persone estranee, ma interessanti e accoglienti, ricorda con intensità quello avvenuto con “Luisa dai penetranti occhi azzurri e una faccia segnata dal vento” che aveva lasciato il graphic design per realizzare il sogno di allevare cavalli. 

 

In tema di arte Hunt e Fermor hanno gusti differenti: Hunt non ama il barocco, e non si lascia affascinare né dallo sfarzoso castello di Bruchsal (ricostruito dopo che fu distrutto durante la guerra) né dal monastero di Sankt Florian, nei pressi di Linz in Austria, che invece riempirono Fermor di ammirato senso di meraviglia. Entrambi sono invece accomunati dagli orizzonti ampi, dalla natura non ancora imbrigliata o devastata dall’uomo. Il viaggio di Hunt, da questo punto di vista, è inevitabilmente più sofferto, ma non manca di evidenziare i disastri evitati grazie all’iniziativa di una parte illuminata e tenace di abitanti, come la mancata costruzione di dighe che avrebbero sommerso boschi, valli e dimore ricche di storia, in Austria e in Bulgaria. 

Hunt cammina anche vicino a due luoghi dell’orrore, Dachau e Mauthausen. Fermor aveva visto il conformismo violento dei nazisti ma non poteva certo immaginare la creazione di lager di sterminio; negli anni Trenta era percepibile il male che permeava l’ideologia hitleriana, ma l’uccisione di milioni di esseri umani era impensabile.

 

 

Solo in Romania e in Bulgaria Hunt troverà strade senza asfalto e un mondo contadino simili a quelli visti da Leigh Fermor. Non troverà più invece quell’aristocrazia terriera, già fuori tempo negli anni Trenta, e neppure le sue antiche case e i piccoli castelli, quasi tutti andati in rovina. La città termale di Băile Herculane, che sino alla guerra fu elegante crocevia culturale di viaggiatori e vacanzieri francesi e tedeschi, è un caso emblematico di desolato declino.

Sempre selvagge e impressionanti invece le boscose montagne della Transilvania, con le cime ancora innevate a fine primavera; lì Hunt si lascia tentare dalla salita del monte Retezat, prosegue poi in una lunga discesa per monti e laghi, smarrendo a volte le tracce dei sentieri e correndo seri rischi.

Se nei primi giorni del viaggio, tra Olanda e Germania, Hunt appare un viaggiatore fragile e incerto, tra le montagne rivela una determinazione almeno pari a quella di Fermor. 

Anche nei paesi slavi Hunt ottiene spesso ospitalità e garbata attenzione. L’affinità linguistica con alcuni idiomi dell’Europa Occidentale permette di farsi comprendere sia in Romania sia in Bulgaria; più difficile comunicare in Ungheria, la cui lingua e cultura la rendono una sorta di isola nel continente europeo.

Per singolare scherzo del destino, Patrick Leigh Fermor muore il 10 giugno del 2011, mentre sta per concludersi il viaggio di Hunt sulle sue orme; non saprà mai di quella ricerca. Per l’infinita curiosità che lo animò sempre, avrebbe certo gradito sentirsela raccontare. 

Di questi libri, ancor più delle interessanti esperienze individuali dei due protagonisti, è soprattutto l’Europa che rimane nella memoria: le tempeste che l’hanno attraversata, le culture, le bellezze paesaggistiche e artistiche scomparse e quelle rimaste. Un vecchio continente con tanta storia alle spalle e innumerevoli incognite per gli anni a venire. 

La tolleranza e l’ospitalità incontrate dai due viaggiatori, in epoche distanti l’una dall’altra, il desiderio di scoperta e conoscenza di nuovi viandanti, sono, nonostante tutto, segni di civiltà e di speranza per il futuro. 

 

Due annotazioni: 

Camminando fra i boschi e l’acqua, pubblicato da Neri Pozza nel 2020, era stato pubblicato in Gran Bretagna nel 2014. Il secondo libro di Nick Hunt, Dove soffiano i venti selvaggi, del 2017, è stato pubblicato da Neri Pozza nel 2018. Quest’ultimo è un diario di viaggio nei luoghi dove soffiano l'Helm, la Bora, il Föhn, il Mistral e altri venti, che Hunt attraversa scoprendone storia e cultura, e incontrando personaggi di ogni tipo.

Per chi volesse saperne di più sull’incredibile avventura della cattura del generale tedesco da parte di Patrick Leigh Fermor e William Stanley Moss, consiglio il libro di quest’ultimo, Brutti incontri al chiaro di luna, pubblicato per la prima volta in Gran Bretagna nel 1950 e in Italia nel 2018 da Adelphi. L’edizione italiana contiene anche una postfazione di Patrick Leigh Fermor, scritta nel 2001. 

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