Letto in un'altra lingua / Lidija Sejfullina. Racconto su Lenin

12 Gennaio 2018

In seguito all'attentato di cui Lenin fu vittima nell'agosto del 1918 si accrebbe notevolmente la sua popolarità. Nelle prime settimane di governo bolscevico, come racconta la moglie Nadežda Krupskaja, «nessuno conosceva Lenin di faccia […] e nessuno lo riconosceva poiché i suoi ritratti allora non c’erano». Il primo ritratto fotografico ufficiale risale al gennaio del 1918 e raffigura un Lenin leggermente sorridente, sguardo intenso, baffi e pizzetto brizzolati e abbondanti piccole rughe intorno agli occhi. La fotografia divenne una delle più famose del leader e piacque così tanto anche ai vertici del partito che spianò la strada alla carriera del suo autore, Moisej Nappel’baum. Prima di allora erano apparsi sulla stampa alcuni componimenti su Lenin e un breve profilo biografico in cui veniva espressa l’idea che il capo dei bolscevichi rappresentava una moltitudine, il partito, la classe dei lavoratori, e teneva unita la società.

 

Il primo ritratto fotografico ufficiale di Lenin. 


Dopo l’attentato, Lenin cominciò a essere esaltato come un santo, un apostolo, un profeta, un martire che senza scorta aveva partecipato ogni giorno alle assemblee sottoponendosi consapevolmente al pericolo. Gli epiteti religiosi si fusero con l’ideologia e il misticismo: era stata la «volontà del proletariato» a impedire alle due pallottole sparate da Fanni Kaplan di ferire a morte Lenin. A Mosca, però, cominciò a correr voce che il leader fosse morto e che fosse stato seppellito di nascosto. Si rendeva quindi necessaria un’apparizione pubblica che rassicurasse sulle sue condizioni di salute, ma i medici gli avevano imposto di non pronunciare discorsi per tre mesi. Allora Bonč-Bruevič, suo segretario e stretto collaboratore, pensò di filmarlo nei cortili del Cremlino, inizialmente a insaputa del leader che non gradiva essere ripreso. Ovviamente Lenin si accorse di quanto avveniva intorno a lui, ma ciò non impedì al documentario La passeggiata di Vladimir Il’ič per il Cremlino di essere realizzato e trasmesso nell’autunno del 1918. La guarigione fu rapida, dopo due settimane Lenin era di nuovo al lavoro e pare che, raccapricciato da ciò che i giornali erano andati pubblicando dopo l’attentato, avesse intimato di mettere fine alla retorica del martire. Ma il suo mito aveva ormai preso il via e nello stesso 1918 furono pubblicate due nuove biografie.

 

Già prima di allora avevano cominciato a circolare una gran quantità di leggende su Lenin che quell’anno furono rinfocolate dai nuovi accadimenti. Una di queste storie è narrata in Mužickij skaz o Lenine (Racconto contadino su Lenin, trad. mia) dalla scrittrice Lidija Sejfullina (1889-1954) che scrive di averla sentita raccontare proprio nell'inverno del 1918 in un remoto distretto ai piedi degli Urali, «lontano dalle capitali e dalle grandi città». Questo grande territorio, ricchissimo di materie prime, era la culla delle più varie usanze, religioni e sette poiché era abitato da una variegata popolazione composta da cosacchi locali e da coloni provenienti da diversi governatorati. I giornali e le notizie arrivavano da Orenburg, ma raggiungevano solo la città distrettuale e i villaggi più grandi che si estendevano intorno alla strada principale servita dal telegrafo. Alle scarse notizie che gli abitanti ricevevano si accompagnava il loro più totale disinteresse per le questioni politiche o governative. Su zar e ministri non circolavano né leggende né dicerie, e quelle che raccontavano i soldati di ritorno dal servizio militare venivano dimenticate in fretta. Molti contadini, poi, confondevano Kerenskij con Rozdjanko. Ma nell’inverno del burrascoso 1918 il nome di Lenin giunse dirompente anche nel recondito distretto e non lasciò indifferenti i suoi abitanti. Anzi, solleticò a tal punto l'immaginazione popolare che si cominciarono a raccontare mirabolanti storie che tratteggiavano Lenin come una creatura di un mondo ultraterreno o come l’anticristo. Il racconto che l'autrice afferma di ricordare meglio degli altri è quello che, quasi come un mito eziologico, narrava di come Lenin era riuscito a prendere il potere sottraendolo astutamente allo zar.

 

Lidija Sejfullina (1889-1954).


La storia era questa: un giorno Nicola II era stato informato dal più importante dei suoi generali che un tale senza passaporto, soprannominato Lenin, minacciava di portargli via tutti i soldati e di annientare i generali, i comandanti, gli ufficiali e persino lui stesso. Impaurito, preoccupato e anche un po' arrabbiato, Nicola mandò a dire a Lenin che era disposto a dividersi con lui il regno, a patto che il rivale rinunciasse a fare tutto ciò che gli era stato riferito. Lenin fu d'accordo, ma gli fece sapere che la spartizione sarebbe dovuta avvenire nel seguente modo: lo zar avrebbe preso la parte agiata, cioè gli ufficiali, i generali, i mercanti, gli industriali, i proprietari terrieri insieme alle loro ricchezze; mentre lui avrebbe preso la parte disagiata: i contadini, i soldati e gli operai «con tutta la loro triviale paccottiglia». Letto il messaggio di Lenin, lo zar euforico diede il suo totale assenso. Mentre lo zar e i sudditi gioivano festanti per l'accordo raggiunto, i contadini protestavano rimproverando a Lenin di aver fatto male i conti. Ma Lenin, scoppiando a ridere, li rassicurò e previde ciò che di lì a poco sarebbe successo: i generali non avrebbero avuto soldati a cui dare ordini, i proprietari terrieri non avrebbero avuto i loro contadini, e gli industriali i loro operai. Non tardò, infatti, ad arrivare a Lenin una lettera in cui, lamentandosi di essere stato imbrogliato, lo zar descriveva lo stesso scenario che aveva previsto Lenin. Si combatté infine una guerra tra i due schieramenti e Lenin ebbe la meglio.

 

Il breve racconto, che non sarebbe sbagliato tradurre “leggenda”, data la forte componente di oralità racchiusa nel significato della parola russa skaz del titolo (Mužickij skaz o Lenine), riproduce la lingua parlata con le sue forme popolari, con un lessico dal colorito arcaico e “regionale”. Fu la rivista settimanale «Krasnaja niva», inserto del quotidiano «Izvestija», ad accoglierlo sulle sue pagine agli inizi del 1924: Lenin era appena morto per un'emorragia cerebrale. Una versione notevolmente abbreviata del racconto, incentrata su Lenin e lo zar, e priva della sua ambientazione folclorica, risale al 1923 ed è intitolata all'incirca allo stesso modo, ma con l'aggiunta di un sottotitolo: estratto dal romanzo “Humus”. Humus (Peregnoj, 1923) è il primo romanzo della Sejfullina, apparso abbastanza presto in Italia grazie alla grande opera di divulgazione di Ettore Lo Gatto che lo tradusse nel 1928 e poi nuovamente nel 1946 con il titolo Il concime. Nello stesso volume dell'edizione del '28 è contenuto anche il racconto lungo I trasgressori della legge (Pravonarušiteli, 1922), definito dal traduttore uno dei racconti «più riusciti e commoventi» della Sejfullina. Il secondo romanzo Virinea (Virineja, 1924), da cui è stato tratto un dramma, messo in scena per la prima volta a Mosca nel 1925, e poi un film del 1968, fu tradotto nel 1930 da Raisa Ol'kenickaja Naldi e nel 1946 da Antonio Velini. Della Sejfullina si possono leggere in italiano anche alcuni racconti, raccolti in Verso il domani: racconti di vita sovietica (1929) e ne Il burrone delle betulle (1931).

 

Scena dello spettacolo Virineja (1925).


Socialista-rivoluzionaria nei primi anni della Rivoluzione, la Sejfullina abbandonò il partito nel 1919 e continuò a dedicarsi all'attività letteraria e all'insegnamento nelle più abbandonate circoscrizioni rurali. Per un breve periodo fu anche attrice, ma soprattutto girò a lungo per la Russia così che poté descrivere gli ambienti contadini nei primi anni della Rivoluzione, la vita dei bambini abbandonati, la lenta evoluzione della campagna e «la tumultuosa penetrazione dello spirito dei tempi nuovi nei lontani villaggi dalla popolazione mista della Russia orientale». Suo maestro riconosciuto fu Tolstoj, di cui scrisse: «Io venero Tolstoj il quale senza alcun timore – da vero veggente – descrisse i piccoli e i grandi uomini, la vanità della fiacca bonarietà umana, l'imperfezione dell'amore in ambo i sessi, l'ingiustizia nei rapporti sociali, l'inferiorità degli eroi, tutta la vita insomma devastata dagli uomini stessi». Una repulsione altrettanto netta esprimeva poi per l’opera di Dostoevskij. Di Lenin, invece, ha raccontato anche nelle sue memorie. Lo vide e lo sentì parlare per la prima volta nel 1920 a Mosca, in occasione del terzo congresso per l’istruzione extrascolastica. Ricorda che la sala del congresso era fredda e tutti indossavano il cappotto. Parlava la Kollontaj, «splendida oratore» («non oratrice»), quando improvvisamente qualcosa distolse l’attenzione del pubblico: alla porta che conduceva sul podio era comparso un ometto basso, con un cappotto nero sbottonato e un cappello in mano. In un istante tutto smise di esistere, rimase soltanto lui, Lenin, come un gigante.

 

La versione più breve del Racconto contadino su Lenin fu pubblicata in un volume, edito nel 1938, intitolato Lenin i Stalin v tvorčestve narodov SSSR (Lenin e Stalin nell'opera dei popoli dell'SSSR, trad. mia) che raccoglie racconti, leggende, canti su Lenin e Stalin provenienti da ogni angolo dell'Unione Sovietica. Apertamente edificanti, ma più spiritosi che retorici, sono invece i Rasskazy o Lenine (Racconti su Lenin, trad. mia) di Michail Zoščenko, raccolta di quaranta racconti per bambini pubblicati nel 1940 e diventati un must della letteratura sovietica dell'infanzia. Aneddoti e fatterelli sulla vita di Lenin esaltano i pregi caratteriali del leader bolscevico, come la sua volontà di ferro che gli aveva permesso di smettere di fumare in un solo giorno o la proverbiale modestia che aveva mostrato in più occasioni e in particolare dal barbiere, quando si era rifiutato recisamente di saltare la fila. (Alla fine aveva dovuto accettare di passare avanti agli altri solo per non offendere chi gli stava cedendo il posto con tanta insistenza.) Tra la sterminata letteratura di racconti, fatti, testimonianze e aneddoti su Lenin, in traduzione si possono leggere i Racconti su Lenin di Aleksandr Kononov e i Racconti su Lenin di Anatolij Lunačarskij, editi in Italia rispettivamente nel 1944 e nel 1971.

 

Il Racconto contadino su Lenin fu scritto sulla scia delle emozioni più immediate che la morte del leader suscitò, come suggerisce la seguente affermazione tratta dal racconto: «In questo articolo, urgente e commosso, che scrivo nel momento in cui la tomba di Lenin non è ancora stata chiusa, io non riesco a ricordare di più». Allora era ancora presto per sapere che la sua tomba non sarebbe mai stata chiusa. L'esposizione della salma, che attirò folle oceaniche in un brulicante pellegrinaggio laico, fu dapprima prolungata con un'imbalsamazione provvisoria che permettesse a quante più persone possibili di renderle omaggio. Poi due mesi dopo, a marzo, quando le temperature aumentarono e il corpo cominciò a deteriorarsi, iniziarono i lunghi trattamenti per una speciale imbalsamazione che sarebbe dovuta durare per sempre, malgrado la risoluta contrarietà di Trockij, Kamenev, Bucharin, della moglie, delle due sorelle e del fratello di Lenin. L'idea di conservare il corpo, già caldeggiata da alcuni membri del partito – tra cui Stalin – prima che Lenin morisse, si rafforzò a seguito delle migliaia di lettere che arrivarono al comitato centrale: molti si rammaricavano di non poter arrivare in tempo dalle lontane province in cui risiedevano per porgere il loro ultimo saluto al leader, e proponevano quindi di conservarlo in una teca. 

 

Così, dal mese di agosto del 1924 Lenin è in esposizione nel suo Mausoleo sulla Piazza Rossa, accanto al quale oggi si aggira il suo sosia con cui potersi fotografare. Grazie a costose, sofisticate e segretissime tecniche di imbalsamazione che richiedono interventi di manutenzione ogni diciotto mesi, il corpo appare ben conservato. Periodicamente viene affrontata la questione della sepoltura che è auspicata, secondo i sondaggi, dalla maggioranza della popolazione. Ma la volontà di Lenin, che desiderava essere sepolto accanto alla madre a Pietroburgo, è destinata a rimanere inesaudita, almeno in questo momento storico in cui la Russia esalta l'unione del Paese tentando di mantenere lo status quo. I cambiamenti di un certo impatto simbolico, come rimuovere definitivamente Lenin dalla Piazza Rossa, vengono evitati, così come si evita – in questo significativo centenario – di parlare di Rivoluzione e di chi ne fu il fautore. Pare che a chi gli chiede se Lenin è vivo, il suo sosia risponda che è più vivo che mai. Non specifica, però, se si riferisce al vero Lenin o a se stesso. 

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