Sandel e Cottarelli / La tirannia del merito

11 Aprile 2021

Nel suo libro All’inferno e ritorno. Per la nostra rinascita sociale ed economica, (Feltrinelli, Milano 2021, che ha in copertina l’immagine stilizzata di un labirinto, et pour cause) Carlo Cottarelli afferma una verità inconfutabile: la tutela del merito è «un fondamentale principio di efficienza economica». La parte seconda dell’opera, quella che narra il ritorno dall’inferno (vogliamo sperare) è infatti dedicata al merito, principio tanto lodato e magnificato quanto spinoso e non scevro di problemi.

Lo mostra infatti, con dissimili conclusioni, un altro testo di un altro autore ma della stessa casa editrice: La tirannia del merito (Feltrinelli, Milano 2021), che traduce la versione originale The Tyranny of Merit, di Michael Sandel. Sandel, la star mondiale della filosofia politica, il docente ad Harvard che incanta migliaia e migliaia di studenti nelle sue lezioni nella prestigiosa università statunitense ma anche sul web. Bene. Il testo di Sandel è integralmente dedicato al merito, all’efficienza della scelta effettuata secondo il merito, ma anche ai suoi effetti collaterali non sempre positivi e, nei confronti della giustizia, decisamente pessimi.

 

Un grado sufficiente di possibilità

Torniamo all’economista e all’efficienza produttiva che richiede il merito per distribuire incarichi e compensi individuali. Per lasciar operare correttamente questo criterio bisogna puntare, afferma Cottarelli, sul dare a tutti le stesse chances o uguaglianza di possibilità o meglio, per essere realisti, «un grado sufficiente di possibilità». Quando si cominciò a parlare di questi temi anni fa si usava l’immagine della corsa a condizioni impari: è ovvio che se si allineano sulla linea di partenza la gazzella e la tartaruga, al traguardo arriverà la gazzella, come Achille del resto, a meno che non ci metta lo zampino Zenone e gli faccia percorrere tutti i punti della linea uno dopo l’altro accordando un piccolo vantaggio alla tartaruga. Ma se la tartaruga venisse adeguatamente allenata? Ce la potrebbe fare? Fornire a tutti il grado sufficiente di possibilità vorrebbe dire equiparare le condizioni di partenza con espedienti tali da annullare i vantaggi di cui godono le gazzelle alla nascita: zampe lunghe e elastiche, allenamento costante per sfuggire ai leoni della savana: talenti ed esercizi che alla tartaruga non sono dati. Commenteremo dunque questo esempio con le parole di John Rawls, grande filosofo politico e teorico del liberalismo egualitario del Novecento, nonché forte critico della meritocrazia: «Nessuno merita il posto che ha nella distribuzione delle doti naturali, più di quanto non merita la sua posizione di partenza nella società. L’affermazione che un uomo merita il carattere superiore che lo mette in grado di fare uno sforzo per sviluppare le sue capacità è altrettanto problematica; il suo carattere infatti dipende in buona parte da una famiglia e da circostanze sociali a lui favorevoli, cose per cui non può pretendere alcun merito» (J. Rawls, Una teoria della giustizia, Milano 1982, p. 89). 

 

Merito passivo e merito attivo

Davanti a talenti assegnati dal destino o merito passivo, zampe lunghe o alto Q.I., è facile dire che se non c’è responsabilità individuale non c’è merito. Ma anche la posizione che riconosce il merito attivo, quello che ha a che fare con la componente dello sforzo, la posizione cioè che mette in conto le diseguaglianze perché esse riflettono non le doti ma le ambizioni degli individui e le loro scelte responsabili, è indebolito dalla critica di Rawls. E se l’ambizione e la capacità di sforzarsi e di compiere scelte astute non fossero nient’altro che doti naturali, o capacità che si apprendono socialmente in certi contesti educativo-ambientali e non in altri, come sostiene Rawls? Per una scelta pienamente consapevole nei confronti dell’impegno e dello sforzo sono infatti necessarie premesse quali capacità di previsione, fiducia in se stessi, forza di volontà, costanza ecc., qualità in gran parte dipendenti da fattori ereditari, ambiente di nascita, cure parentali ed educative. Insomma Rawls mette a tacere entrambe le componenti del merito, entrambe ingiuste: il talento/ doti naturali, e la capacità di impegnarsi. 

 

Umiliati e meritevoli

Ma la critica più forte al merito era arrivata vent’anni circa prima di quella di Rawls, e proprio dall’inventore, nel 1958, del termine meritocrazia, il sociologo inglese Michael Young. Ed era stato lo stesso Young a ideare l’equazione del merito universalmente accettata, ovvero:

 

Q.I. (talento, doti naturali) + sforzo (impegno, applicazione) = merito.

 

Attenzione però, perché nel suo The Rise of Meritocracy Young descrive la società meritocratica come una distopia della peggior specie, mostrando tramite l’espediente dell'ironia, le due facce della medaglia, cioè vantaggi e svantaggi della società meritocratica. Uno degli svantaggi peggiori, dal punto di vista sociale, è la divisione della società in intelligenti e stupidi; in istituzioni di serie A, popolate da persone per lo più arroganti, competitive, aggressive e prive di valori morali, e istituzioni di serie B che raccolgono persone in gran parte demoralizzate, avvilite e umiliate nella loro autostima. Si può ridurre a «invidia» il sentimento che proveranno questi ultimi nel vedersi relegati in simile condizione? Nella società meritocratica inoltre competitività e aggressione trionferebbero a tutto svantaggio di doti come la gentilezza e il coraggio delle persone, la loro immaginazione e sensibilità, simpatia, mitezza e generosità, mentre giovani privi di esperienza, saggezza e maturità, nota Young, potrebbero vantarsi dei loro meriti e spadroneggiare su persone più mature ma meno privilegiate.

 

La ricetta di Sandel

Le argomentazioni di Young e Rawls vengono riprese in toto nel volume di Sandel e condite con un po’ del Max Weber dell’etica protestante, con la colossale intuizione ivi contenuta della tensione insita, soprattutto nel Calvinismo, tra merito umano e grazia divina; con un pizzico di Pelagio e della sua idea (eresia! eresia!) che l’essere umano possa meritare la salvezza dell’anima senza l’intervento della grazia divina. Infine, con un po’ di critica alla retorica di Obama, il presidente che fuse merito ed eccezionalismo americano facendone il tema centrale delle sue campagne e presidenze: «Ciò che rende l’America così eccezionale, ciò che ci fa così speciali ... è questa idea di base che in questo paese, non importa il tuo aspetto, non importa da dove vieni, non importa qual è il tuo cognome ... se lavori duro e sei pronto ad assumerti responsabilità, puoi farcela, puoi andare avanti» (p. 14).

 

 

Se le opportunità sono uguali, e qui rientra Cottarelli a rafforzare le parole di Obama, le persone andranno dove talento e sforzo le porteranno e il successo sarà merito loro. Ma se talento e sforzo sono entrambi socialmente e culturalmente condizionati (per riprendere Rawls), e se la retorica del merito umilia e demoralizza la società e la spacca in vincenti convinti che il successo sia merito loro, e in perdenti indotti a pensare di aver meritato l’insuccesso (per riprendere Young) la conclusione di Sandel è drastica: «A condizioni di rampante disuguaglianza e di mobilità bloccata, ripetere il messaggio che siamo responsabili della nostra sorte e meritiamo quel che abbiamo erode la solidarietà e demoralizza i lasciati indietro dalla globalizzazione, etc. » (p. 17).

 

Merito e sorteggio

Dunque gli argomenti di Sandel, benché presentati nella solita maniera vivace e attraente e ricca di «casi», sono lungi dall’essere inediti. Forse un momento di originalità lo si può individuare nel suo introdurre un elemento di scelta particolare: il caso, il sorteggio. Prendiamo tutte le buste con le domande presentate dagli studenti per iscriversi a facoltà prestigiose o a corsi di laurea a numero chiuso e che soddisfino le condizioni date (cui io aggiungerei il pio desiderio della conoscenza del latino e della cultura classica), propone Sandel, buttiamole giù dalle scale dei templi della cultura universitaria e poi tiriamole su a casaccio, nel numero che corrisponde ai posti a disposizione, e forse riusciremo a eliminare un po’ di ingressi privilegiati...

 

Il caso, questo sconosciuto

Eh, un bel ritorno al sorteggio, con cui forse otterremmo qualche punto in più per la giustizia e anche per l’efficienza e saremmo tutti più contenti.

Del ruolo del caso nella scelta democratica si occupano Nadia Urbinati e Luciano Vandelli in una bella vela einaudiana del 2020: La democrazia del sorteggio, in cui si riscopre un metodo antico che ritrova oggi nuova energia. Nella richiesta del sorteggio si legge sfiducia nei confronti delle competenze; ma anche un rimedio alla crisi di risentimento, rancore e umiliazione che getta gli esclusi dai successi della globalizzazione nelle braccia dei partiti di estrema destra. Se infatti la scelta nasce dal caso non è necessario incolparsi dei propri insuccessi e si sta meglio; o se deriva, come accadeva per es. nell’Ancien Régime, da privilegi invalicabili di sangue, di ceto o di sesso come quelli cui si trova davanti, in Il Rosso e il nero di Stendhal, Julien Sorel, giovane dotato costretto a indossare la tonaca nera dell’ecclesiastico perché non può indossare la divisa rossa dei militari.

 

Il sorteggio in democrazia

In Italia la proposta di far intervenire il caso nella democrazia integrando le elezioni con il sorteggio è venuta dal Movimento 5 Stelle. Trovo l’idea attraente anche se viene proposta, per come mi posiziono io, da un avversario politico. Ma se c’è una cosa che ho imparato in questa pandemia è che ci si trova a correre il rischio di lodare il peggiore avversario politico, se dice qualcosa di ragionevole che i tuoi amici non dicono, o essere dal tuo peggior nemico lodato, in sintonia con le parole di Andrea Voßkuhle, Presidente della Corte Costituzionale tedesca.

 

Il libro, soprattutto nella parte di Urbinati, dà conto delle ragioni teoriche e delle esperienze storiche del sorteggio, che qui non ripercorreremo. Esso mostra soprattutto come l’introduzione della scelta per sorteggio potrebbe apportare alle società democratiche misure di difesa dell’eguaglianza legale e politica nonché di argine contro la corruzione. Di nuovo un bel modo per coniugare efficienza e giustizia. Interessante, nell’analisi di Urbinati, è l’idea della necessità che chi lo pratica sia convinto che il sorteggio sia neutrale, non influenzato, ed equivalga, ecco il punto, al caso assoluto. Ma non c’è anche una questione di convinzione alla base del «riconoscimento egualitario», che solleva le persone dalla condizione di umiliazione e depressione economica, assegnando loro una dignità che può essere utile per puntare a riscattarsi?

 

Il suffragio e la sorte

La sorte deve essere davvero centrale se si è pensato di poterle affidare decisioni anche importanti. Soprattutto essa ci deve apparire imparziale, sopra le parti, neutrale e non influenzata da fattori esterni, in una parola, giusta: non è un caso che entrambe le personificazioni, della giustizia e della fortuna, portino una benda sugli occhi. Nella scelta condotta a caso non concorrono né la ragione determinata né la volontà intenzionale; essa avviene per accidente, avrebbe detto Aristotele, e non in vista di un fine, anche perché la sorte, come sappiamo, non ci vede tanto bene.

 

Per noi occidentali moderni che abbiamo attraversato il pensiero platonico, il quale ci attribuisce una razionalità che guida al bene, nonché il pensiero cristiano che ci riconosce una volontà libera che svolge la stessa funzione, per noi che continuiamo a credere fortemente nel peso di questi fattori, volontà, ragione, intenzionalità, merito, è difficile convivere con l'idea greca arcaica di poter essere controllati da forze esterne a noi, di essere attaccati a un filo da cui pendiamo (sorte viene dal latino sérere, annodare, legare insieme). Ci illudiamo invece di essere guidati unicamente da ragione e volontà, intenzione e impegno, come se contenessero più saggezza del destino. I greci antichi procedevano spesso alle elezioni di governanti e magistrati per sorteggio: che avessero ragione loro? Che ci sia nel caso una nuova possibilità di tenere insieme merito, efficienza e giustizia?

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