Marion Fayolle e Valeria Parrella / F come fica

7 Luglio 2017

Gli amanti è un libro dell’illustratrice Marion Fayolle pubblicato in Italia dall’editore Gallucci, che lo definisce “un piccolo scrigno dell’erotismo senza parole, in cui tutto è permesso”. In Francia questo brillante catalogo muto, che mostra un uomo e una donna (ma qualche volta due donne, o una donna e tre uomini, o due uomini) intenti a darsi reciproco o solitario piacere genitale nei modi più giocosi e surreali (lui ha una lumaca, lei una lattuga; lui ha uno struzzo che affonda la testa nella sabbia, lei ha la sabbia; lei ha un porcospino, lui si punge; lui si annaffia da solo con la sua proboscide d’elefante, lei disseta la sua gatta da un seno) si intitola Les coquins, ovvero i birichini, i monelli, un titolo più calzante: intanto non di erotismo si tratta ma di sesso, e le parole hanno diritto a essere utilizzate esatte. Erotismo e pornografia hanno un significato preciso se usati correttamente, peccato siano tirati in ballo quasi sempre a sproposito con l’obiettivo di rendere elegante oppure volgare ciò che non ha bisogno né dell’una né dell’altra cosa; questa giovane artista francese (oggi non ha neanche trent’anni, la prima edizione di Les coquins risale a cinque anni fa) si prende tutta la libertà del mondo – o meglio, tutta la libertà che c’è in natura – per raccontare il sesso, e disegnare con precisione divertita cosa succede quando usiamo il corpo per il piacere del gioco, oppure per il piacere e basta, che poi non è sempre diverso e mai meno nobile.  

 

Non dissimile alla donna senza nome di Fayolle è Amanda, protagonista di Enciclopedia della donna. Aggiornamento, di Valeria Parrella, uscito per Einaudi, protagonista di un altro catalogo e di altrettante possibilità, la precisione è la stessa e la sicurezza pure, solo che al posto delle illustrazioni ci sono le parole, accompagnate da una storia: ricordate la miliare Enciclopedia della donna? Negli anni Sessanta spiegava alle donne tutto quello che dovevano sapere per affrontare la vita quotidiana, dalla manutenzione della casa alla cucina, dalle arti minori alle porcellane di Limoges, dalla cottura delle uova all’educazione dei figli. Peccato ignorasse un dettaglio non da poco: nessuna traccia, in nessun volume, di sessualità, né orgasmi né riproduzione né masturbazione, nulla di nulla. Amanda, che ha passato l’infanzia seduta a cavalcioni su quella pila di fascicoli pieni di regole e l’adolescenza in mezzo alla rivoluzione sessuale, a cinquantatré anni decide di supplire a quel difetto insopportabile e scrivere il fascicolo mancante, la F di fica.

 

Illustrazione di Marion Fayolle.


Anche perché l’Enciclopedia non andava in ordine alfabetico, e dunque quella voce può sparpagliarsi dappertutto, può essere sempre e in ogni luogo, purché, per carità, non sia un compito o un dovere: “Se è il momento si fa, e per fortuna dell’umanità: è spesso il momento. Ma se non è il momento è meglio passare ad altro, e per fortuna dell’umanità: il mondo è pieno di altro”. 

Amanda è napoletana, insegna architettura all’università, ha due figli gemelli adolescenti, ha avuto un marito architetto pure lui, anzi archistar, l’ha tradito poco, si è innamorata di un altro, l’ha lasciato un’antivigilia di Natale uscendo dall’indecisione in un istante, mentre guardava il pescivendolo scegliere il capitone a cui tagliare la testa. Amanda conosce il suo corpo in ogni molecola ma è spesso pronta a scoprirlo di nuovo, per natura e per esperienza è molto brava a scegliersi con chi (“la manovalanza e i colletti bianchi sono di gran lunga da preferire ai professori universitari, ricercatori, associati, o ordinari. Agli intellettuali in generale, e soprattutto agli artisti, agli scrittori, ai registi”), e ha ironia e sicurezza di sé per comprendere che il sesso, anche in due, anche in tre, anche nel “trimestre lesbo”, è un’estasi solitaria (“ho un vantaggio e uno svantaggio: non sono bionda, e di quello che preferiscono gli uomini non me ne frega niente”).

 

Anche se uno che le dice “ti amo” troppo in fretta la fa smosciare, il fatto che Amanda disgiunga il sesso dall’amore non significa che non persegua sentimenti, come prova a spiegare al fratello che se n’è andato in India: “come te che vai a conoscere te stesso a Dharamsala: io mi sento davvero felice solo se non vedo in prospettiva nulla che si diparta da quel punto che sono io lì in fondo, sprofondata in un letto sprofondato in un vicolo della città vecchia. Non dico che gli altri sbaglino a montar su da lì, ma io la mia casa su quella distesa non ce la costruisco, perché è una distesa d’acqua: e il mare che mi si dispiega davanti quando nuoto deve poter avere le sue tempeste”. La connessione si perde, le orecchie maschili non sono pronte.

 

Amanda (singolare: la donna da amare, oppure plurale neutro: le cose da amare) è femmina e femminista, le due cose non sempre coincidono e lei ha fatto il giro largo per ricomprenderle entrambe; con naturalezza usa per sé termini tradizionalmente maschili, e a proposito del galateo del sesso si definisce, in due momenti diversi, un gentiluomo e un guerriero, in entrambi i casi in poche righe capovolge una parola consueta – no, qui non è Amanda, qui è la scrittrice Valeria Parrella – con stupenda sorpresa per il lettore, che si diverte e ridacchia e intanto vede come si può rivoltare una parola abusata, illuminare un termine noto in una luce diversa. Rispetto al catalogo della Fayolle, qui non solo l’autrice è una donna ma non c’è una pagina in cui quella donna arretra, in cui quell’affermarsi non sia presente, anche quando ce lo stiamo scordando, anche quando verrebbe da dire: no, ora basta esagerare, questo non è vero, così pensa un uomo. Lo si capisce meglio giorni dopo aver finito questo libro, diverse settimane dopo aver voltato l’ultima pagina (meglio: dopo l’indice analitico, che va da Califano a Eros e Priapo): che proprio lì era il tranello, e Parrella l’ha mostrato nudo.

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